Dignità e vocazione della donna
Introduzione - Eguaglianza e diversità
Della dignità e della sua vocazione della donna, Giovanni Paolo II si è occupato a più riprese e in maniera approfondita, lungo tutto il suo pontificato. Si penserà anzitutto ad alcune catechesi del mercoledì; a Familiaris Consortio (22 XI 1981), ai diversi discorsi, ma soprattutto alla Lettera Apostolica Mulieris Dignitatem, pubblicata il 15 agosto 1988, nella solennità dell'Assunzione della Beata Vergine Maria. Il 25 marzo 1987 durante l'Anno Mariano, il Santo Padre aveva pubblicato l'enciclica Redemptoris Mater. La Lettera apostolica deve essere letta in relazione a questa enciclica. Il 29 giugno 1995, in modo più diretto, "nel segno della condivisione e della gratitudine", il Papa pubblica la Lettera alle donne "del mondo intero", in vista della Conferenza Mondiale sulla Donna, organizzata dalle Nazioni Unite, che si doveva tenere a Pechino nel seguente mese di settembre.
Intendo portare la riflessione su Mulieris Dignitatem. Nel suo Messaggio finale, il Concilio Vaticano II afferma: "Viene l'ora, l'ora è venuta, in cui la vocazione della donna si svolge con pienezza": vocazione e dignità della donna, questi due termini devono essere collegati.
Giovanni Paolo II, nel proseguimento del Concilio, rivolge la sua attenzione ad un segno dei tempi di grande rilievo nel nostro tempo.
È necessario infatti, - sarà il nostro primo punto - interpretare un fenomeno dalle dimensioni mondiali, di cui il femminismo fino alle sue manifestazioni e teorie più estreme e eccessive, è solo una delle espressioni: l'emergenza storica di una presa di coscienza delle donne, delle conseguenze sociali della loro qualità di persone, create a immagine e somiglianza di Dio. Certo, la coscienza cristiana lo sapeva già. La novità è questa presa di coscienza dell'inadeguatezza e spesso della contraddizione, in relazione a tale qualità di persone, delle strutture sociali, delle istituzioni e della mentalità. Rivendicando la loro qualità di persone, le donne pretendono l'effettiva uguaglianza con gli uomini. Nel corso della storia la donna ha subito molte umiliazioni, è stata dominata dall'uomo e quindi privata dei suoi diritti che sono i diritti della persona, molte delle rivendicazioni intendevano uguaglianza nel senso d'identificazione pura e semplice con il maschio: nel femminismo, si è potuto pertanto osservare una duplice tendenza che si esprimeva, l'una con la "mascolinizzazione" delle donne e l'altra seguendo il modello marxista della lotta di classi. Il grande errore comune di questi due atteggiamenti è stato quello di ignorare la vocazione propria della donna: dignità e vocazione.
Per molti spiriti parlare di uguaglianza e diversità insieme sembra impossibile. Eppure questa è l'unica via che si apre a noi.
2. Il Santo Padre chiama la Lettera apostolica une meditazione (cf. n.2). Questa meditazione poggia essenzialmente sulla parola di Dio.
Un primo capitolo ha per titolo Donna - Madre di Dio (Theotókos). Un'obiezione si presenta allo spirito: la riflessione antropologica e teologica sulla donna non rientra nella mariologia? La reazione sarebbe il segno di un profondo malinteso. Poiché la definizione "donna" appare nel testo di Paolo ai Calati (4, 4): "Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna" . La "pienezza del tempo" apre la prospettiva della storia intesa come storia della salvezza. Il termine "donna" stabilisce una concordanza con le parole del Protovangelo (cf. Genesi 3, 15) . La donna è presente nell'evento centrale della storia della salvezza. Questo evento-chiave è la risposta di Dio alla lunga attesa dell'umanità. L'autorivelazione di Dio possiede un carattere salvifico (cf. Dei Verbum, n. 2.).
La donna si trova al cuore di questo evento salvifico. Il Papa aggiunge: "È facile pensare a questo evento nella prospettiva della storia d'Israele, il popolo eletto di cui Maria è figlia; ma è facile anche pensarvi nella prospettiva di tutte quelle vie, lungo le quali l'umanità da sempre cerca risposta agli interrogativi fondamentali ed insieme definitivi che più l'assillano. Non si trova forse nell'annunciazione di Nazareth l'inizio di quella risposta definitiva mediante la quale Dio stesso viene incontro alle inquietudini del cuore dell'uomo? Qui non si tratta solo di parole di Dio rivelate per mezzo dei Profeti, ma, con questa risposta, realmente: "il Verbo si fa carne" (cf. Gv 1, 14). Maria raggiunge così un'unione con Dio tale da superare tutte le attese dello spirito umano" (n.3).
In tal modo "la pienezza del tempo" manifesta la straordinaria dignità della "donna". In questa dignità che consiste "nell'elevazione soprannaturale all'unione con Dio in Gesù Cristo", la "donna", cioè Maria è la rappresentante e l'archetipo di tutto il genere umano: "rappresenta l'umanità che appartiene a tutti gli esseri umani". Però, questa forma di unione con Dio può appartenere sola alla "donna" : è l'unione tra madre e figlio. Questa verità ebbe solenne formulazione nel Concilio di Efeso (431). Dunque, Maria è veramente la Madre di Dio, poiché la maternità riguarda tutta la persona. Leggiamo ancora: "col suo "fiat", Maria diviene l'autentico soggetto di quell'unione con Dio, che si è realizzata nel mistero dell'incarnazione del Verbo consostanziale al Padre".
Queste sono delle verità di fede, Giovanni Paolo II le ricorda, perché hanno avuto delle conseguenze antropologiche.
Ne rileviamo tre:
- A proposito dell'Annunciazione di Nazareth, è scritto: "Questo evento possiede un chiaro carattere interpersonale è un dialogo.
- Si sottolinea l'essenziale dimensione soprannaturale dell'evento, leggiamo: "Ma la grazia non mette mai da parte la natura né la annulla, anzi la perfeziona e nobilita". Pertanto, quella "pienezza di grazia" "..." significa allo stesso tempo la pienezza della perfezione di ciò "che è caratteristico della donna", di "ciò che è femminile". Il Santo Padre conclude: "Ci troviamo qui, in un certo senso, al punto culminante, all'archetipo della personale dignità della donna" (n. 5). Un terzo punto di grande portata antropologica è rilevato.
Riguarda la risposta di Maria "Eccomi, sono la serva del Signore" (Lc 1, 38). La parola "serva" si riferisce a "Cristo, il quale porta sempre in se la coscienza di essere "servo del Signore", secondo la profezia di Isaia (cfr. 42, 1; 49, 3.6; 52, 13) : in cui è racchiuso il contenuto essenziale della sua missione messianica: la consapevolezza di essere il Redentore del Mondo. Maria sin dal primo momento della sua maternità divina, della sua unione col Figlio (...), si inserisce nel servizio messianico di Cristo. È proprio questo servizio a costituire il fondamento stesso di quel Regno, in cui "servire (...) vuoi dire regnare".
Vi cito solo alcuni passi che permettono di misurare la portata della meditazione e di comprenderne il metodo: mettendo in evidenza le corrispondenze tra i testi maggiori dell'Antico e del Nuovo Testamento si scoprono delle ricchezze che potrebbero sfuggire ad uno primo sguardo. Tali corrispondenze non sono arbitrarie, consentono di analizzare il contenuto pieno e profondo di alcune espressioni della parola di Dio.
La meditazione prosegue con l'illustrazione dell'affermazione di Gaudium et spes n. 22: "In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo".
In altre parole, abbiamo un esempio di antropologia teologica, che indica altresì che la mariologia non può essere separata dalla cristologia e dall'ecclesiologia, come spiega il VII° capitolo: La Chiesa - Sposa di Cristo.
Il primo capitolo, sul quale mi sembra utile insistere, rileva in conclusione la pertinenza del tema: donna - Madre di Dio, quale introduzione alla meditazione.
"Tale realtà determina anche il fondamentale orizzonte della riflessione sulla dignità e sulla vocazione della donna. Nel pensare, dire o fare qualcosa in ordine alla dignità e alla vocazione della donna non si devono distaccare il pensiero, il cuore e le opere da questo orizzonte. La dignità di ogni uomo e la vocazione ad essa corrispondente trovano la loro misura definitiva nell'unione con Dio. Maria - la donna della Bibbia - è la più compiuta espressione di questa dignità e di questa vocazione. Infatti, ogni uomo, maschio o femmina, creato a immagine e somiglianza di Dio, non può realizzarsi al di fuori della dimensione di questa immagine e somiglianza".
3. Un'analisi completa di questo documento molto denso non è possibile, perciò propongo di rilevare solo i passi più importanti dal punto di vista teologico. Penso al capitolo III sull'immagine e somiglianza di Dio, che cita un passo della Genesi (1, 27) "Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò". Giovanni Paolo II afferma che questa verità rivelata sull'uomo come "immagine e somiglianza di Dio" "costituisce l'immutabile base di tutta l'antropologia cristiana" (n.6).
L'insegnamento tramandato è presentato nel modo seguente: "Ambedue sono esseri umani, in egual grado l'uomo e la donna, ambedue creati a immagine di Dio". Questa immagine e somiglianza con Dio, essenziale per l'uomo, dall'uomo e dalla donna, come sposi e genitori, viene trasmessa ai loro discendenti. Essendo esseri razionali l'uomo e la donna possono dominare la terra (Gen 1, 28). Questa uguaglianza è fondamentale. Perciò il Santo Padre insiste: "L'uomo è una persona, in eguale misura l'uomo e la donna". Ripete ancora: "essenziale uguaglianza dell'uomo e della donna dal punto di vista dell'umanità", o ancora: "La donna è un altro "io" nella comune umanità". Nella seconda descrizione della creazione (Gen 2, 18-25), troviamo l'istituzione, da parte di Dio, del matrimonio. Pertanto il primo passo è un'affermazione dell'uguaglianza dell'uomo e della donna come persone. È essenziale ricordare questo punto soprattutto nel contesto della cultura contemporanea, in cui diverse correnti di pensiero estendono la qualità di persone a dei primati superiori, oppure escludono da questa qualifica alcuni membri della specie umana. Quanti, per sottolineare la grandezza del matrimonio, vedono l'immagine di Dio nella coppia come tale, non solo propongono un'esegesi poco sostenibile, ma oscurano il senso stesso del matrimonio, il quale suppone precisamente che l'uomo e la donna siano ciascuno, in eguale misura, una persona.
4. Un. 7 è uno dei passi-chiave del documento. Spiega ancora più pienamente "in che consista il carattere personale dell'essere umano, grazie al quale ambedue - l'uomo e la donna - sono "simili a Dio".
Quando Genesi 2, 18 dice che l'uomo non può esistere "solo", questo significa che "può esistere soltanto come "unità dei due", e dunque in relazione ad un'altra persona umana. Si tratta di una relazione reciproca: dell'uomo verso la donna e della donna verso l'uomo. Essere persona ad immagine e somiglianza di Dio comporta, quindi, anche un esistere in relazione, in rapporto all'altro "io". Ciò prelude alla definitiva autorivelazione di Dio uno e trino: unità vivente nella comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo".
Questa pagina è fondamentale. Deve essere capita chiaramente. Essere a immagine e somiglianza di Dio comporta un essere in relazione reciproca, in rapporto con l'altro "io".
Ciò introduce la rivelazione della Trinità. Proprio perché l'uomo e la donna sono delle persone questa relazione è possibile e esiste.
La rivelazione nel Nuovo Testamento della vita intima di Dio, il qual è unità nella Trinità, unità nella comunione, getta una nuova luce sull'immagine di Dio nell'uomo. Significa, quindi, che non solo ciascuno di loro individualmente, l'uomo e la donna come essere razionale e libero, sia immagine di Dio, ma ancora, che creati come "unità dei due", sono chiamati a vivere una comunione d'amore rispecchiando nel mondo la comunione d'amore che è in Dio. Una certa somiglianza della comunione divina è iscritta nella creazione dell'uomo, come qualità personale di tutte e due: qui è radicato tutto l'"ethos" umano, che l'Antico e il Nuovo Testamento svilupperanno e di cui il vertice è il comandamento dell'amore. Così si comprende l'affermazione di Gaudium et spes n. 24, che l'uomo, la persona umana, non può ritrovarsi pienamente se non mediante "un dono sincero di se".
La relazione tra le persone, infatti, ha un carattere sponsale. Questo è un altro aspetto fondamentale che sarà sviluppato nel capitolo VII della "Chiesa, Sposa di Cristo", con riferimento alla Lettera agli Efesini (5, 25-32) .
Dire che l'uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio, è riconoscere che Dio è in qualche misura "simile" all'uomo. Infatti la Bibbia utilizza un certo antropomorfismo. Un. 8 ne spiega il senso, ricordando che la somiglianza deve essere intesa analogicamente. Perciò Giovanni Paolo II cita il IV Concilio del Laterano: se è vera la somiglianza, è ancor più essenzialmente vera la "non-somiglianza", che separa dal Creatore tutta la creazione. Dio "abita una luce inaccessibile" (1 Tm 6, 16). La relazione di Dio all'uomo e quella dell'uomo a Dio non sono simmetriche. Il mistero della Trinità illumina in profondità l'antropologia dell'uomo e della donna, ma l'antropologia non costituisce in se stessa un accesso diretto al mistero della Trinità. Dimenticarsene è offendere la trascendenza, è aprire la porta alla gnosi.
Tuttavia, a causa precisamente del carattere analogico della somiglianza, la generazione eterna in se stessa non possiede qualità "maschili" né "femminili", come la "paternità" divina non possiede carattere "maschile" come la paternità umana.
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Proseguo citando solo in modo breve i capitoli successivi di questo testo molto ricco.
Il capitolo IV Eva - Maria, ricorda il mistero del peccato, come negazione del dono di Dio, riportato nel libro della Genesi 3. Il peccato dei progenitori provoca la rottura dell'unità originaria, dell'unità con Dio, che graverà sul reciproco rapporto dell'uomo e della donna. L'immagine di Dio non è distrutta ma è offuscata. In modo particolare il peccato provoca la perdita de quella fondamentale eguaglianza che possiedono gli sposi secondo il disegno originale di Dio. La triplice concupiscenza (1 Gv 2, 16) attacca il senso del matrimonio. La reciproca relazione degli sposi è stata turbata dal peccato. L'uomo e la donna ne sono ambedue feriti. La donna diventa "oggetto" di "dominio" e di "possesso" maschile. Et, quando l'uomo si crede maestro e possessore della donna, perde il senso del dialogo, è portato a pensare alle reciproche relazioni umane in termini di violenza, sminuisce anche se stesso. Perciò in questo lungo processo storico, nel riconoscere la dignità della donna e del matrimonio, occorre distinguere tra il disegno originale di Dio e le strutture del peccato che si sono introdotte, in certe culture, fino all'interno dell'istituzione del matrimonio, che deve essere redento. Dopo Cristo, alcune situazioni non sono più ammissibili. Perciò l'emancipazione femminile resta illusoria se nello stesso tempo non avviene un profondo cambiamento nella mentalità del maschio.
Eva non è ricordata solo per il peccato del principio. Genesi 3, 15, il Protovangelo, mette la donna al primo posto, annunciando l'"inimicizia" tra la stirpe della donna e la stirpe del "padre della menzogna" . Eva e Maria si congiungono con il nome di donna. Eva è la "madre di tutti i viventi". Con Maria, ha il suo inizio la nuova e definitiva Alleanza nel sangue redentore di Cristo: "All'inizio della Nuova Alleanza, che deve essere eterna e irrevocabile, c'è la donna: la Vergine di Nazareth. Si tratta di un segno indicativo che "in Gesù Cristo" non c'è più uomo né donna"" (Gal 3, 28) (n.11).
In Maria si realizza "tutta l'eterna originalità della "donna" così come Dio la volle, persona per se stessa, e che si ritrova contemporaneamente "mediante un dono sincero di sé". Questo tema che sarà sviluppato nel capitolo VI Maternità - Verginità, meriterebbe un'ulteriore commento. Il precedente capitolo V, Gesù Cristo, presenta una meravigliosa meditazione sulle figure delle donne del Vangelo che Gesù accoglie nella "uguaglianza" evangelica. L'unità non annulla la diversità, costituisce la base di ogni vocazione: "Ogni vocazione ha un senso profondamente personale e profetico. Nella vocazione così intesa ciò che è personalmente femminile raggiunge una nuova misura: è la misura delle "grandi opere di Dio", delle quali la donna diventa soggetto vivente ed insostituibile testimone" (n.16).
Il capitolo Vili Più grande è la carità, ricorda un insegnamento fondamentale dell'Apostolo: il primato della carità, cantato alla nostra epoca da Thérèse de Lisieux, Dottore della Chiesa. Quando afferma che "la dignità della donna viene misurata dall'ordine dell'amore, che è essenzialmente ordine di giustizia e di carità", il Santo Padre parla di quello che è il cuore e l'essenza della Chiesa, al quale tutto è ordinato.
P. Georges Cottier, O.P.