La testimonianza per Cristo e la Sua Chiesa fino alla morte

di

Prof. Bruno Forte, Bruno

 

 

La Chiesa, come comunione dei santi, abbraccia non solo coloro che sono santificati nel battesimo e continuamente ricorrono alle sorgenti della grazia per divenire ciò che sono divenuti nell'acqua della salvezza, ma anche quelli che hanno già compiuto il loro esodo senza ritorno e vivono ora nella gioia della luce intramontabile di Dio: fra questi risplendono in primo piano i martiri, coloro cioè che hanno reso testimonianza del loro amore a Cristo e della loro fedeltà alla Sua Chiesa fino all’offerta suprema della vita. Ai pellegrini nel tempo la presenza dei martiri è di modello e di aiuto: e poiché sempre nuovamente abbiamo bisogno di questo modello e di questo aiuto, la Chiesa non si stanca di indicarci nei santi martiri l’esempio e gli intercessori di cui abbiamo bisogno. I martiri sono i compagni di strada che fanno bello il cammino, perché, esperti in umanità come noi, sono ormai già esperti della pace futura, e sanno meglio guidarci a Dio, dando a Lui il primato assoluto nel nostro cuore e nella nostra vita.

Varie sono le motivazioni per cui la Chiesa venera i martiri e li indica come esempio di Vangelo vissuto. La prima è la motivazione teologica: se "la gloria di Dio è l'uomo vivente" (Sant'Ireneo: gloria Dei vivens homo), cioè l'uomo pienamente realizzato secondo la volontà dell'eterno amore, riconoscere il pieno compimento della vita e dell'amore in una creatura umana, pur fragile e limitata, significa confessare le meraviglie del Signore. Dio è glorificato nei suoi martiri: in essi risplende l'inesauribile bellezza dell'Altissimo; in essi Dio si racconta ancora come amore da preferire ad ogni altro amore. E poiché infinita è la ricchezza della carità eterna, senza fine saranno anche i possibili riflessi di essa: la fantasia e la creatività della santità che si esprime nel martirio è senza limiti, al punto che ogni martire è una nota ed un accento nuovo nella sinfonia di lode della Chiesa. Per questo, come la comunità dei credenti non può cessare di cantare le lodi del Dio vivo, così non cessa di confessare la grazia del martirio e di guardare a coloro la cui vita e la cui morte è stata lode vivente della gloria divina: farlo è un'esigenza d'amore, un bisogno di ringraziamento, di glorificazione del Santo nei Suoi santi, in particolare in quelli che hanno cantato la Sua gloria con l’eloquenza silenziosa dell’offerta della vita, preferendo la dignità e la bellezza della vita consegnata per Lui alla vita stessa.

La seconda motivazione delle venerazione speciale dei martiri è di carattere antropologico: il martire dimostra con la cattedra ineccepibile della sua morte come la "visione di Dio sia la vita dell'uomo" (Sant'Ireneo: vita hominis visio Dei), rivela cioè come la vita nutrita dalla grazia apra all'esistenza umana straordinarie potenzialità, consentendo alla persona di realizzare in pienezza il desiderio del Dio vivente, inscritto nella profondità del suo essere. La santità del martirio manifesta le infinite possibilità, cui Dio chiama l'uomo: e se la Chiesa non si stanca di celebrare la gloria dei martiri, lo fa anche per ricordare all'uomo le sue potenzialità nascoste ed inesauribili, i sentieri così vari e diversi lungo i quali può costruire se stesso, denunciando in tal modo la miopia di ogni pregiudizio ideologico che voglia costringere gli esseri umani in schemi astratti fissati sulla carta ed eventualmente imposti col potere. Il martirio è protesta contro le massificazioni, i totalitarismi, le seduzioni della forza, in nome della libertà e della ricchezza del cuore dell'uomo e delle sue possibilità. Esso è l’annuncio dell’impossibile possibilità dell’amore donato a chi crede in Gesù Signore e Cristo e per Lui ha voluto dare non solo qualcosa di sé, ma se stesso, senza riserve e senza condizioni.

La terza motivazione dell’attenzione speciale che la fede della Chiesa dedica ai martiri è quella che riconosce in essi le figure della nostra speranza: nei martiri è già compiuto ciò che per noi non è ancora realizzato. Essi sono la riprova che la promessa di Dio è senza pentimento e viene a realizzarsi nella vicenda umana: a chi è pellegrino nell'esilio, il martire testimonia la bellezza della patria, il suo essere amabile al di sopra di ogni altra cosa. Questo amore puro a Dio e all’orizzonte ultimo che Lui ci dischiude e ci dona di raggiungere, non induce in alcun modo a fuggire il tempo presente, aiuta anzi a viverlo con lo spirito e il cuore dei testimoni della speranza, che anche nel dolore presente sanno tirare la pace e la libertà del domani promesso. E poiché è sempre viva la tentazione di rinunciare alla speranza e di perdere il senso che dà valore al cammino, la sempre nuova attenzione ai martiri ha per la Chiesa il significato di un sempre nuovo render ragione della speranza che è in noi (cfr. 1Pt 3,15). Nei martiri risplende già la luce della mèta: da essi viene lo stimolo a credere nella possibilità umanamente impossibile, che Dio solo può realizzare.

Infine, è dalla storia, dal suo faticoso divenire, dall'avvicendarsi dei tempi e dei bisogni, dei dolori e delle gioie, che viene alla Chiesa lo stimolo a venerare i martiri e a indicarne il valore esemplare: il martire è un messaggio scritto sulla tavola viva dei cuori, che sa parlare in modo particolarmente intenso a situazioni storiche differenti. E come la riscoperta di un martire del passato getta spesso nuova luce su problemi vivissimi dell'ora presente, così una rinnovata attenzione ai martiri può dire a un'epoca, a un contesto concreto, una parola di vita più forte di tanti altri messaggi. I martiri parlano ancora, e parlano per noi, voci dell'unica Parola di Dio, che in essi si è fatta evento, vita, condivisione. L'ascolto del loro messaggio tanto nuovo, eppure tanto antico, richiede un cuore accogliente, che sappia avere il senso delle cose di Dio, e che a Lui si apra nell'invocazione della preghiera: il martire accende per contagio nei cuori la passione per la verità, senza la quale non si può trovare il senso della vita né le ragioni per spenderla per gli altri con generosità nel concreto delle scelte di ogni ora.

Proprio per la ricchezza di significato che ha la testimonianza resa a Cristo e alla Sua Chiesa fino alla morte, è bello concludere ascoltando la voce di un martire, che può dirci dalla sua cattedra ineccepibile più e meglio di quanto si sia riusciti ad esprimere riguardo al valore e all’attualità del martirio. Nella notte del 26 marzo 1996 sette monaci dell'abbazia trappista di Tibhirine in Algeria vennero rapiti. Per due mesi di loro non si seppe nulla. Il 21 maggio un agghiacciante comunicato dei fondamentalisti islamici annunziava: "Ai monaci abbiamo tagliato la gola". Il 30 dello stesso mese vennero trovati cadaveri. Si trattava di una morte annunziata, che questi monaci avevano potuto prevedere nella fede. Ne è testimonianza il testamento spirituale del loro priore, frère Christian de Chergé, splendido esempio di come il martirio sia coronamento di un’intera vita di fede e di amore a Cristo e alla Chiesa: "Se un giorno mi capitasse - e potrebbe essere oggi - di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere attualmente tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia, si ricordassero che la mia vita è stata donata a Dio e a questo paese. Che essi accettassero che l'unico Signore di ogni vita non potrebbe essere estraneo a questa dipartita brutale. Che essi pregassero per me: come essere degno di una tale offerta? Che essi sapessero associare questa morte a tante altre, ugualmente violente, lasciate nell'indifferenza e nell'anonimato. La mia vita non ha più valore di un'altra. Non ne ha neanche meno. In ogni caso, non ha l'innocenza dell'infanzia. Ho vissuto abbastanza per sapermi complice del male che sembra, ahimè, prevalere nel mondo, e anche di quello che potrebbe colpirmi alla cieca. Venuto il momento, vorrei potere avere quell'attimo di lucidità che mi permettesse di chiedere il perdono di Dio e quello dei miei fratelli in umanità, perdonando con tutto il cuore, nello stesso momento, a chi mi avesse colpito. Non potrei augurarmi una tale morte. Mi sembra importante dichiararlo. Non vedo, infatti, come potrei rallegrarmi del fatto che questo popolo che io amo venisse indistintamente accusato del mio assassinio. Sarebbe pagare un prezzo troppo alto ciò che verrebbe chiamata, forse, la grazia del martirio, doverla ad un Algerino, chiunque sia, soprattutto se egli dice di agire in fedeltà a ciò che crede essere l'Islam. So di quale disprezzo hanno potuto essere circondati gli Algerini, globalmente presi, e conosco anche quali caricature dell'Islam incoraggia un certo islamismo. È troppo facile mettersi la coscienza a posto identificando questa via religiosa con gli integrismi dei suoi estremismi. L'Algeria e l'Islam, per me, sono un'altra cosa, sono un corpo e un'anima. L'ho proclamato abbastanza, mi sembra, in base a quanto ho visto e appreso per esperienza, ritrovando così spesso quel filo conduttore del Vangelo appreso sulle ginocchia di mia madre, la mia primissima Chiesa, proprio in Algeria, e già allora, nel rispetto dei credenti musulmani. La mia morte, evidentemente, sembrerà dare ragione a quelli che mi hanno rapidamente trattato da ingenuo, o da idealista: Dica adesso quello che pensa!. Ma queste persone debbono sapere che sarà finalmente liberata la mia curiosità più lancinante. Ecco, potrò, se a Dio piace, immergere il mio sguardo in quello del Padre per contemplare con lui i Suoi figli dell'Islam così come li vede lui, tutti illuminati dalla gloria del Cristo, frutto della Sua Passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre di stabilire la comunione e di ristabilire la somiglianza, giocando con le differenza. Questa vita perduta, totalmente mia, e totalmente loro, rendo grazie a Dio che sembra averla voluta interamente per questa gioia, attraverso e nonostante tutto. In questo grazie in cui tutto è detto ormai della mia vita, includo anche voi, certo, amici di ieri e di oggi, e voi, amici di qui, insieme a mia madre e a mio padre, alle mie sorelle e ai miei fratelli e a loro, centuplo regalato come era stato promesso! E anche tu, amico dell'ultimo istante, che non saprai quello che stai facendo, sì, anche per te io voglio dire questo grazie, e questo Ad-Dio, nel cui volto ti contemplo. E che ci sia dato di incontrarci di uovo, ladroni colmati di gioia, in paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, Padre di tutti e due. Amen. Inch'Allah" (Padre Christian M. de Chergé, Priore del monastero di Nôtre-Dame dell'Atlas a Tibhirine, Algeria: Algeri, 1 dicembre 1993 - Tibhirine, 1 gennaio 1994).