Prof. Rino Fisichella, Roma
L'impegno dei cattolici in politica
Videoconferenza, 29 ottobre 2004
La fede non è un'astrazione. E' un cammino che dura tutta la vita e incontra ogni persona nell'esperienza quotidiana della sua esistenza. Poiché la fede è impegno a collaborare per la venuta del Regno di Dio, nella sequela di Cristo, essa deve essere capace di illuminare i credenti che fanno della loro vita una risposta alla vocazione di assumere la responsabilità per il bene di tutti.
Si apre, a questo punto, lo scenario che individua l'impegno dei cattolici quando entrano in politica. Questa dimensione, spesso non valutata o fraintesa, obbliga invece a una seria considerazione, soprattutto nel momento in cui si assiste a un profondo cambiamento culturale. Che siamo dinanzi a un radicale cambiamento, che può essere definito "epocale", appartiene ormai al nostro tessuto quotidiano. Il modo di pensare di agire, perfino di vestirsi, mostra con chiarezza che siamo incamminati verso una nuova epoca della storia, che porta con sé molte incognite. Lasciamo alle spalle la modernità che ha permesso di essere, nel bene e nel male, ciò che siamo e andiamo verso ciò che con poca fantasia, viene denominata post modernità.
Al primato della soggettività che ha caratterizzato il nostro passato, subentra il primato della tecnica, che tende a marginalizzare l'uomo in un angolo, togliendoli il suo vero rapporto con la natura. La cosa non è priva di conseguenze, non solo sul piano delle modalità del vivere quotidiano, ma soprattutto nell'ordine etico. Sarebbe interessante, in questo frangente, porsi la domanda: con quale concezione di uomo, di natura e, perché no, di Dio le prossime generazioni ragioneranno. Quale uomo sarà quello che vuole dominare la scena del futuro: un soggetto ancora al centro di tutto quasi un microcosmo in cui tutto trova sintesi definitiva del suo essere personale, oppure un soggetto ormai schiacciato dal peso della tecnica che lo obbliga a una vita sempre più contraddittoria? E quale natura sarà alla base delle prossime legislazioni? Il concetto di natura immutabile con le sue leggi oppure una natura che è sottoposta alla manipolazione genetica e quindi una natura in cui tutto è possibile perché giustificato previamente dal giudizio etico soggettivo o di una maggioranza numerica che non è informata correttamente sulle conseguenze che la manipolazione comporta?
Dinanzi a questo scenario, è inevitabile che il cristiano si interroghi sull'impegno che è chiamato ad assumere nel momento in cui entra in politica. Non è da dimenticare, infatti, che l'approvazione di una legge crea cultura e per ciò stesso merita tutta l'attenzione dovuta. "La necessità di presentare in termini culturali moderni il frutto dell'eredità spirituale, intellettuale e morale del cattolicesimo appare oggi carico di un'urgenza non procrastinabile, anche per evitare il rischio di una diaspora culturale dei cattolici" (n. 7).
L'espressione della Nota della Dottrina della Fede (24.XI.2002) potrebbe creare lo scenario significativo su cui leggere l'impegno del laicato nella vita politica che richiede, in un periodo come il nostro, una passione particolare che sappia suscitare, soprattutto nei giovani, l'interesse e l'impegno per il bene di tutti. L'intervento del Magistero in questo spazio non manifesta nessuna ingerenza nella vita politica e culturale di un Paese, ma evidenzia obbligo da parte dei Pastori della Chiesa di illuminare la coscienza dei credenti e del singolo parlamentare. Nel momento, infatti, in cui si esprime con il proprio voto la legittimità di una legge, nessuno può dimenticare che in forza della fede il credente ha un'appartenenza che lo riconduce a un principio superiore alla stessa legge degli uomini. Autonomia di voto e confessione di fede possono entrare in conflitto, perché obbligano la coscienza a dover scegliere. Nei rispettivi ambiti di azione, dunque, è richiesta da parte del politico l'assunzione di una responsabilità che si fa carico di dare coerente risposta alle esigenze di tutti i cittadini. La coscienza, tuttavia, non è mai neutrale. E' per questo che l'intervento del Magistero viene a riproporre un codice di comportamento che il credente deve possedere per avere certezza della coerenza nel suo agire politico come cattolico.
Il richiamo perché l'impegno in politica ponga a fondamento la centralità e la dignità della persona, unitamente al bene comune non sono contenuti nuovi; anzi, sono i principi che da sempre sostengono l'insegnamento sociale della Chiesa. Ciò che siamo chiamati a cogliere, comunque, nell'impegno politico è la capacità a saper dare un volto concreto al bene comune per dare risposta coerente e duratura alle attese dei cittadini. Se il bene comune fosse lasciato nella genericità del concetto, il rischio di una politica ondivaga sarebbe reale e la critica, spesso mossa ai politici, di agire solo per alcuni interessi privati non sarebbe priva di senso. D'altra parte, la dignità della persona e il bene comune non possono rimanere contenuti generici; vanno esplicitati e individuati storicamente, proprio come sta avvenendo per diverse problematiche all'ordine del giorno di diversi parlamenti . Su questi temi, come si sa, si gioca la concezione stessa della vita, della natura e dell'uomo che apparterranno alle prossime generazioni. Pensare che la qualità della vita migliori, solamente perché si qualificano alcuni servizi di benessere, è illusorio e deludente se poi la concezione stessa della vita è lasciata all'arbitrio individuale.
Evitare la diaspora dei cattolici in politica non coincide necessariamente con la formazione di nuove identità. Pericoloso, o forse comodo, cadere in una lettura riduzionistica di questo tipo quando si affrontano questi argomenti. Le strategie che vengono assunte dinanzi a ipotetiche maggioranze non toccano l'interesse né la diretta competenza del Magistero della Chiesa. La pluralità di appartenenza, tuttavia, non può significare pluralismo di soluzioni politiche. La pluralità e le strategie sono un fatto contingente, il pluralismo è una questione che tocca i principi.
Sui valori essenziali della fede nessun cristiano può pensare di agire nel rigido schema di un'appartenenza politica, come se questa fosse superiore alla sua appartenenza ecclesiale. Su temi che sono essenziali per la realizzazione del bene comune, l'impegno dei credenti in politica dovrebbe essere quello di aggregare al massimo il consenso, sapendo che tali questioni partono da principi che prima ancora di essere contenuti di fede, sono inscritti nella natura che, come tale, non ha una particolare qualifica confessionale. Una legge composta sulla base di un relativismo etico, avrebbe fondamenta talmente fragili da non poter neppure pretendere di essere assunta a norma dell'agire universale dei cittadini. In questo senso, ciò che si richiede al politico cattolico è la capacità di recuperare al meglio quella forma di razionalità politica, per far emergere i fondamenti del suo agire e la credibilità delle scelte che compie e di cui chiede la condivisione indipendentemente dalla propria fede e oltre gli schemi ideologici. Certo, quando ci si impegna in politica si dovrà porre particolare attenzione alla mediazione, che è la condizione previa per l'azione del politico. Sappiamo, infatti, che la verità è nascosta in tante espressioni e che dovunque essa si trovi è sempre segno della presenza dello Spirito Santo.
Non si dovrà sottovalutare, comunque, che senza la visione cristiana della vita, della persona e del mondo, sarebbe stato impossibile per la democrazia raggiungere i livelli che oggi ha acquisito; la conquista in tal senso piaccia o no, porta l'indelebile presenza del cristianesimo. L'autonomia (laicità) dello Stato è un presupposto fondamentale perché il politico credente possa esprimere se stesso in conformità con la sua coscienza. Se non esistesse un'autorità morale capace di andare oltre la sfera dello Stato, allora sì, la libertà sarebbe realmente distrutta, perché di fatto un potere politico diventerebbe fondamento dell'istanza etica. Nel qual caso, la caduta in una strumentalizzazione del potere a proprio vantaggio, non sarebbe più solo un rischio e la porta al totalitarismo sarebbe spalancata. L'autonomia di cui il politico cattolico si fa garante è sostenuta da una concezione di libertà, a cui ogni legge deve essere orientata, che è radicata nell'intimo di ogni uomo e che nessuno gli può sottrarre senza offendere la dignità della persona e della stessa legge. Fuori da ogni fraintendimento, comunque, non è pensabile che su questioni etiche che toccano le grandi sfide del futuro venga meno una forma di unanimità che dà certezza ai cittadini dell'attenzione verso il bene di tutti, oltre gli schieramenti individuali. Su questo punto, abbiamo il compito di un servizio di chiarezza per quanti nella politica hanno posto al centro della loro azione la responsabilità per costruire il futuro su solide fondamenta. Le problematiche etiche, soprattutto in questo frangente storico, sono sotto riflettori e interrogano la coscienza dei cittadini come mai in precedenza. Le provocazioni che giungono sono spesso del tutto nuove e, per questo, creano in molti disorientamento e confusione. La sacralità della vita non sarà mai sufficientemente ribadita con forza e convinzione nei diversi ambiti del vivere civile, sociale e religioso. I cattolici che operano in politica, comunque, hanno la responsabilità di essere i primi garanti della sua dignità. E' un impegno che chiede loro di farsi interpreti convinti, promulgando leggi che sostengano il carattere di mistero e intangibilità della vita umana in tutte le sue manifestazioni. Quando uno Stato democratico, d'altronde, è posto dinanzi a delle sfide che per il loro carattere hanno una valenza etica, umanitaria e culturale allora oltre la lungimiranza è richiesta una volontà di agire all'unisono, indipendentemente dall'opzione politica di ognuno, perché solo attraverso questo tipo di collaborazione è possibile pensare che la Nazione cresca e il Paese si solidifichi nella convivenza pacifica e responsabile.
Mi sia concesso concludere affermando che l'impegno nella vita politica è una vocazione. Richiede, passione, dedizione pazienza e lungimiranza accompagnati da intelligenza e disinteresse. Priva della dimensione vocazionale, la politica si trasformerebbe facilmente in mestiere e non permetterebbe di far trasparire la ricchezza che possiede. Rimarrebbe obnubilata dalla frenesia del potere e vincolata dalla sete di guadagno. Chi si dedica alla politica, invece, è necessario che intraveda in essa una forma peculiare di attività attraverso cui far emergere con responsabilità l'intento di preparare concretamente il futuro di intere generazioni. In ultima analisi, è l'attenzione alla persona e il desiderio per il bene comune che spinge a immettersi su questa strada, spesso impervia e ingrata, ma necessaria per lo sviluppo e la crescita di tutti. E', insomma, un bene che va oltre le proprie prospettive, perché obbliga ad allargare lo sguardo verso un orizzonte che possa abbracciare tutti. Giovanni Paolo II lo ha ricordato a più riprese nel suo insegnamento sociale: "Il cristianesimo vede l'ordine sociale non solo nella dimensione della giustizia, ma anche in quella dell'amore e non può rinunciarvi, nonostante la dialettica materialista della storia. E "Amore" significa sempre l'irruzione dello Spirito nel mondo dell'uomo" . Un impegno politico e sociale, come si può osservare, che si pone con la carica della sua forza profetica nel contesto del mondo contemporaneo, a volte confuso e incerto, per orientare lo sguardo verso finalità che solo nella responsabilità partecipata e nella comune ricerca possono aprire un orizzonte carico di senso.