FRA CESAROPAPISMO E SEPARAZIONE NEMICA – la lezione della storia

Prof. Silvio Cajiao, Bogotà

 

Sebbene da un punto di vista teorico si possa giungere a stabilire i principi che debbono regolare le relazioni tra Chiesa e Stato in modo che l’autonomia di ognuna delle due identità si renda necessaria affinché l’ordinamento di ognuna di esse in funzione degli uomini, che esse debbono servire, si mantenga nell’ambito della sua validità – la Chiesa nella sua missione di offrire agli uomini una proposta di salvezza trascendente in Gesù Cristo e lo Stato quella di offrire un benessere temporale a tutti i suoi cittadini – tuttavia la storia ci mostra che l’interpretazione del potere temporale e di quello conferito dal Signore a Pietro e ai suoi successori ha subito le più diverse varianti. Lasciamo che la storia, in quanto "maestra di vita", ci insegni in questo breve tratto da essa percorso.

L’età dei padri

Possiamo fissare come inizio di questa relazione tra Chiesa e Stato l’Editto di Milano (313) stipulato tra Licinio, Imperatore d’Oriente (311-324) e Costantino I, Imperatore d’Occidente (306-337) e anche Imperatore d’Oriente a partire dal 324. Tale editto, indubbiamente, rappresenta una dichiarazione di libertà religiosa per ogni confessione, anche se in realtà sarà la Chiesa cattolica, con il primato del Papa, quella che andrà imponendosi. Si potrebbe affermare anzi che tale situazione si andrà verificando in tutto il primo millennio del cristianesimo, ma è anche vero che il protagonismo dell’Imperatore e, più tardi, quello dei prìncipi cristiani dei regni occidentali avrebbero dato origine, nella cristianità, a una convivenza non sempre facile tra il supremo potere ecclesiastico e il potere secolare.

Infatti, l’idea che l’unità del cristianesimo e l’unità dell’impero si condizionino reciprocamente si tradusse nell’assunzione da parte dei vescovi di funzioni statali, nel quadro di un’ampia assimilazione delle unità dell’organizzazione ecclesiastica nelle unità amministrative dell’Impero Romano. Un’altra espressione furono i privilegi statali concessi alla Chiesa e al clero, oppure l’intervento giurisdizionale da parte dell’Imperatore quando vedeva minacciata l’ortodossia, ad esempio contro l’arianesimo nel Concilio di Nicea (325). Con l’edificazione di Costantinopoli come "seconda Roma" sarebbe nata la teoria dell’identificazione dei due poteri con l’idea dell’imperatore visto come sacerdos imperator, mentre nell’Impero Romano avrebbe preso piede la teoria della differenziazione dei poteri.

Da un punto di vista teologico sarà Agostino di Ippona (354-430) che, con la sua opera De civitate Dei, avrebbe contribuito a stabilire la superiorità e l’autonomia della Chiesa (civitas caelestis) nei confronti dello Stato (civitas terrena) a motivo del suo fine superiore, contribuendo così alla visione del papalismo medievale o ierocrazia.

Nei secoli IV e V, Papa Damaso (366-384) sarà il primo a dare alla Chiesa romana l’appellativo di "Sede Apostolica" e il suo successore Siricio (384-389) promulgò la prima bolla papale diretta al Vescovo Imerio di Tarragona (2 feb. 385), trasformandone lo stile, da un linguaggio non unicamente pastorale ma di ordine legislativo allo stile degli editti imperiali. Il pontificato di Leone Magno (440-451) rivestirà una particolare importanza per il primato, dimostrando come il Papa sia l’erede e il vicarius Petri e a lui spetti la sollicitudo di tutte le Chiese. In questo stesso contesto, toccò a Papa Gelasio I (492-496) affrontare il primo scisma, detto "Scisma di Acacio", la prima rottura tra Roma e Costantinopoli, che sarebbe durata trent’anni. Gelasio scrisse una lettera all’Imperatore Anastasio I (491-518) in cui formulava la "teoria delle due spade" sulla superiorità del potere spirituale.

L’Impero Romano Barbarico

In questo contesto, verranno delimitati con maggiore chiarezza il territorio e l’intensità dell’esercizio di tale primato romano in tre ambiti: i primi due sono quello dell’Italia "suburbicaria" e quello dei regni occidentali, specialmente grazie alla conversione dei regni germanici ariani. L’influenza del primato romano si esercita mediante i decretali e mediante la nomina di "vicari apostolici". Il terzo ambito, quello dell’Oriente, avrà un segno contrario, dal momento che la cosiddetta "guerra gotica" produrrà come conseguenza che tanto la città di Roma quanto il resto dell’Italia passeranno sotto il dominio dell’Impero Bizantino, essendo stati espulsi gli Ostrogoti dall’Italia ed essendosi prodotto un certo distacco tra Roma e i regni occidentali. Allo stesso tempo si stava indebolendo l’Impero Romano, con la moltiplicazione e la frammentazione dei vari regni e il predominio dei Franchi, grazie all’ascesa di Clodoveo (481-507).

I Visigoti - gli unici re occidentali ariani e che consideravano Bisanzio il loro nemico – approfittarono di questa distanza e pretesero di esercitare una certa autonomia, benché nel Concilio di Toledo del 589 la nobiltà e otto vescovi ariani avessero accettato il cattolicesimo. Tali circostanze ebbero come conseguenza il cosiddetto "Primato di Toledo" e la nomina dei vescovi da parte del re, pratica che sarebbe continuata per 120 anni e che avrebbe portato alla decadenza il cattolicesimo in quella regione, nonostante l’opera di figura di spicco come quella di Isidoro di Siviglia (600-636). Poco dopo ci sarà l’invasione araba (711) e la posteriore riconquista di Toledo (1085) e quella di Lisbona (1147).

Agli occhi dell’Oriente cristiano, fu un fatto il riconoscimento del primato dottrinale del Papa, nonostante che le rotture ariana, nestoriana e monofisita avessero dato origine a Chiese indipendenti tanto nelle dispute sulle due nature (Calcedonia 451) come in quella sulle due volontà (III Concilio di Constantinopoli, 680). Le rispettive espressioni erano state: "Pietro ha parlato per bocca di Leone" tratto dal "Tomus ad Flavianum", come "È Pietro che parla per bocca di Agatone"; tuttavia, quel medesimo Concilio, al canone 28, disconosceva l’autorità giurisdizionale del primato romano sull’Oriente cristiano. Nonostante che il Concilio di Sárdica (343-344) avesse stabilito che un vescovo destituito da un Concilio provinciale potesse ricorrere al Papa affinché quest’ultimo risolvesse il caso rimettendo la questione ai vescovi di un’altra provincia vicina con la possibilità che il Papa inviasse dei sacerdoti a tale Sinodo. La disputa è stata messa nero su bianco da Giovanni Scolastico nella "collezione dei 50 titoli", la cui importanza non può essere trascurata, visto che arrivò al punto di essere patriarca di Costantinopoli.

Allo stesso modo farà ricorso a Roma per la questione degli iconoclasti, così come per quella della controversia, nel secolo IX, tra Ignazio e Focio per la sede di Costantinopoli, facendo richiesta a Papa Giovanni VIII (872-882) affinché dirimesse la questione come istanza ultima e definitiva e mediante un Concilio, al quale inviò i propri delegati e diede il proprio consenso su quanto deliberato durante il medesimo. Arriviamo così al triste lancio della scomunica contro Miguel Cerulario (16 luglio 1054) e al sollevamento contro Roma, che per fortuna verrà in seguito disconosciuta sia da Papa Paolo VI che dal Patriarca Atenágoras I (7-XII-1965). Tuttavia, è necessario registrare gli eventi altrettanto deplorevoli della conquista e saccheggio di Costantinopoli da parte dei crociati nel 1204 e le effimere riconciliazioni stipulate nei Concilii di Lione (1274) e di Firenze (1438), dovute più che altro a motivi di convenienza da parte dei Greci che cercavano un aiuto per opporsi ai Turchi.

Cristianità medievale

Il Natale dell’800, in cui Carlo Magno viene incoronato a Roma come Imperatore, segna l’inizio del Sacro Romano Impero (germanico). Egli infatti aveva sconfitto i Longobardi e in tal modo si era assicurato anche il regno dei Franchi e quello dei Germani. In questo modo i due poteri sarebbero stati esercitati: quello spirituale dal Papa e quello temporale dall’imperatore, affinché gli uomini conquistassero – per mezzo di un’armonia costruita in questo mondo – il premio eterno; tuttavia, l’equilibrio tra questi due poteri risultò difficile da trovare.

Carlomagno (768-814) ritenne di poter intervenire nelle materie disciplinari ecclesiastiche così come nella vita del clero e nelle riforme monastiche, ma anche nelle dispute dottrinali, come quella sul cosiddetto "adozionismo" e quella del "Filioque" del Credo; il Papa – come scrisse l’Imperatore a Papa Leone III (795-816) – sarebbe stato relegato al servizio liturgico. Tuttavia, la rapida decadenza carolingia, con il progredire del nuovo secolo, liberò il papato da questo influsso, in modo particolare grazie all’influenza di Papa Nicola I (858-867). Accadde però che la presenza a sud dei musulmani e al nord di orde scandinave, il tutto accompagnato dall’anarchia feudale, contribuì al decadimento del regime consolidato, dal quale non si salvò neppure la disciplina interna della Chiesa romana. In questo contesto si collocano le "collezioni pseudoisodoriane" che volevano contribuire a liberare la Chiesa da tali mali.

Il Novecento fu il cosiddetto "secolo di ferro", nel quale il prestigio del pontificato soffrì un duro colpo con la preponderanza delle famiglie feudali romane Teofilatti, Crescenzi, Tuscolani e la deplorevole condotta di alcuni Papi, anche se questo non ha impedito che alcuni monasteri e chiese si sottomettessero all’autorità della Santa Sede in virtù dell’"esenzione" e che il cristianesimo si diffondesse nell’Europa centrale e meridionale.

Il papato della "riforma gregoriana"

Papa Gregorio VII (1073-1085), un uomo pacifico, si trovò ad affrontare alcune dure ribellioni e – un gesto senza precedenti – prese la decisione di destituire e scomunicare niente di meno che il Re Enrico IV, essendosi quest’ultimo beffato delle decisioni da lui prese per riformare la Chiesa. Inoltre, esonerò i suoi vassalli dal giuramento di fedeltà nei suoi confronti. Grazie a tale decisione il Pontefice riuscì a fare in modo che i vescovi e i nobili fedeli al Re ritornassero a Roma. Ad Enrico non rimase altra scelta che domandare il perdono del Papa, che glielo concesse presso il Castello di Canossa (28 gennaio 1077), non senza alcuni dubbi del Papa sulla sua sincerità, motivo per cui, alcuni anni dopo, il Papa avrebbe rinnovato la scomunica contro Enrico di fronte alla sua colpa recidiva e avrebbe riconosciuto l’autorità di Rodolfo di Svezia.

Le grandi linee direttrici di questa riforma possono essere sintetizzate nelle suguenti tre. La prima era la "Libertas Ecclesiae" che postulava la liberazione della Chiesa a tutti i livelli del potere secolare. La seconda era la centralità di Roma, che riservava per sé le cosiddette "causas maiores". I legati papali avrebbero percorso l’Europa in lungo e in largo e, mediante concili regionali, avrebbero imposto l’unità disciplinare e liturgica, facendo in tal modo scomparire i riti particolari. La terza erano i "Dictatus Papae", un sillabario con 27 "propositiones" che precisavano il primato del Papa. Alcune erano già riconosciute ma altre erano nuove. Ad esempio, la Tesi 12, che autorizzava il Papa a destituire gli imperatori, o la Tesi 27, secondo cui il Papa ha il potere di esonerare dal giuramento di fedeltà il proprio re quando quest’ultimo si dimostra ingiusto, con tutte le conseguenze che questo comportava.

La "teocrazia pontificia"

Con Innocenzo IV (1243-1254) e i contributi dei canonisti pontifici Gilberto Romano e Agostino Trionfo venne esposta la dottrina della "plenitudo potestatis" in virtù della quale il Papa è l’unico "vicarius Christi", titolo usato da alcuni monarchi. Chi possedeva la monarchia assoluta era il Papa, nella Chiesa tutto dipendeva da lui; come capo del corpo mistico egli non riceveva né forza né autorità dai membri, è invece il capo che le infonde sui membri.

Con Bonifacio VIII (1294-1303) e la sua Bolla "Unam Sanctam" (18-V-1302) veniva portata alle sue ultime conseguenze la dottrina di Innocenzo IV. Bonifacio avvertì il Re di Francia Filippo il Bello (1285-1314) che l’autorità suprema sulla terra è una e indivisa, e spetta alla Chiesa con il potere delle "due spade", quella spirituale e quella temporale. Concludeva il Papa che "ogni creatura umana è sottomessa al Pontefice per necessità di salvezza".

La crisi della cristianità

Lo scontro tra il papato e gli imperatori della dinastia Hohenstaufen a partire da Gregorio IX (1227-1241) si sarebbe conclusa con l’irruzione dei francesi nel palazzo papale di Anagni (7 novembre 1303) e il tentativo di fare prigioniero Bonifacio VIII, il quale si rifiutò di ritirare la scomunica proferita contro Filippo il Bello, ma il trauma causato dall’aggressione portò il Papa alla tomba il mese seguente. Quell’avvenimento mise in evidenza la debolezza delle forze armate del pontificato ma, allo stesso tempo, ne mostrò la forza morale.

Si potrebbe dire che era iniziato il "Basso Medio Evo" con il trasferimento del Papa a Avignone (1309) con Clemente V (1305-1314). Le nuove monarchie faranno di tutto per imporsi alle Chiese particolari imitando l’autorità papale. In quel periodo operarono Guglielmo di Ockham e Marsilio di Padova, che con le loro dottrine si opposero all’autorità pontificia.

Arriviamo in tal modo al cosiddetto "Scisma d’Occidente" (1378-1417) con due Papi che governavano la Chiesa, uno da Roma e l’altro da Avignone, ma allo stesso tempo si riscontra un desiderio di tornare all’unità. Si riprende il capitolo VI del "Decreto di Graziano": il Papa non può essere giudicato da nessuno, salvo nel caso in cui si sia allontanato dalla fede. Per alcuni infatti l’allontanamento da Roma costituiva un’apostasia. Similmente nacque l’ipotesi del "Conciliarismo" che intendeva attribuire al Concilio un’autorità uguale a quella del Papa. Mediante il Concilio di Costanza (1411-1417) e il suo decreto "Haec sancta" (6-IV-1415) i padri conciliari proclamano che il loro potere gli proviene direttamente da Cristo e si dichiarano superiori al Papa per quanto si riferisce alla fede, alla riforma della Chiesa e allo scisma.

Il 4 luglio 1415 il Papa di Roma, Gregorio XII (1406-1415), abdicò, non senza aver prima convocato il Concilio di Costanza, rendendolo in tal modo legittimo. Nell’ottobre del 1417 il Concilio di Costanza promulga il decreto "Frequens" che intendeva istituzionalizzare la partecipazione sinodale come forma suprema di governo per la Chiesa, e il conclave della Kaufhaus di Costanza elesse Ottone Colonna con il nome di Martino V (1417-1431) ponendo fine allo scisma. Ci sarà però un nuovo tentativo di conciliarismo nel Concilio di Basilea, al quale si opporrà Eugenio IV (1431-1447) confermando il Concilio di Costanza, "ma senza pregiudizio del diritto, della dignità e della preminenza della Sede Apostolica". In tal modo si pose fine alla crisi conciliarista.

L’età moderna

La cessazione delle relazioni tra Chiesa e Stato nel secolo XVI non deve essere vista tanto nella protesta della Riforma quanto piuttosto nella nuova idea della "ragion di Stato", i cui esponenti intendevano sottomettere anche la Chiesa allo Stato per arrivare a considerarla una parte del medesimo.

La dottrina di Lutero dei due regni, fondata sull’agostinismo, benché distingua chiaramente le funzioni o i due regimi, quello temporale (potestas terrena) e quello spirituale (potestas ecclesiastica), finisce per fissare le condizioni perché si stringa un forte vincolo tra Chiesa e Stato, collocando nelle mani dell’autorità civile il governo della Chiesa, in quanto esercita un’autorità sui cosiddetti affari esterni della Chiesa, per esempio la provvigione dei parroci, l’amministrazione dei beni ecclesiastici, ecc. Si vedrà poi rafforzata da Melanchton e dalla sua dottrina, secondo cui lo Stato possiede la custodia utriusque tabulae. Non così Calvino, che si avvicinava maggiormente alla tradizione cattolica e che, su questo punto, propose l’idea di un ideale politico teocratico ed espresse la necessarietà di vincolare i poteri statali alla Chiesa.

Ed ecco la proposta di una Chiesa nazionale riformata, petizione che, benché fosse stata negata nell’editto di Worms del 1521, avrà successo, nonostante il fatto che le diverse tendenze religiose, con la pace religiosa di Augsburg del 1555, le attribuissero un certo riconoscimento, una volta che si rinunciava all’unità religiosa.

Il Concilio di Trento, benché non avesse ristabilito l’unità intorno alla Chiesa di Roma, trasse tuttavia con sé un rinnovamento positivo delle istituzioni ecclesiastiche, la cui conseguenza immediata fu il rafforzamento del pontificato. Il prestigio della Santa Sede, però, subì un abbassamento nel concerto delle nazioni, anche come risultato della sconfitta degli Asburgo cattolici nella cruenta guerra dei trent’anni e del nuovo ordine politico sorto con la pace di Westfalia (1648). A partire da quel momento la Chiesa cominciò a sperimentare l’imposizione regalista sotto forma di imposte sui suoi beni, decise soprattutto da monarchi cattolici e dalla Francia del secolo XVII, convertitasi in prima potenza europea.

La carta magna del "gallicanesimo" furono i "quattro articoli organici" che Luigi XIV volle imporre, dichiarando che il Papa esercitava un’autorità divina sulla dimensione spirituale ma non su quella temporale e che sarebbero tornati in vigore alcuni articoli conciliaristi che sostenevano che l’autorità pontificia avrebbe dovuto regolarsi secondo i costumi del regno, e l’autorità del Papa era indiscutibile unicamente se risultava approvata dal consenso globale della Chiesa.

In seguito si imporrà la visione laica dello Stato, sotto l’influenza della dottrina razionalista del diritto naturale, giungendo così a una profonda trasformazione delle relazioni tra Chiesa e Stato, che incentrano l’unità e l’illimitatezza del potere sullo Stato e esigono la sottomissione della Chiesa, che deriva la sua autorità da quella statale, benché non si sia arrivati a identificare la sfera religiosa con quella profana, benché fosse lo Stato quello che definiva questi limiti.

La situazione contemporanea

Al temine di questo tortuoso percorso tra ritagli di storia del potere statale ed ecclesiastico, vediamo come la competenza della Chiesa non debba riposare sull’autorità dello Stato, dal momento che le deriva dal Signore Gesù che gliela delegò, anche se, a sua volta, l’autorità ecclesiastica non deriva dallo Stato bensì da Dio (cf. Rm 13, 1 ss) e pertanto gode di una certa autonomia per organizzare il benessere temporale dei suoi cittadini nella politica. Tale autonomia, però, deve essere affermata con uguaglianza nei confronti dell’autorità ecclesiastica per quanto concerne l’ambito soprannaturale.

Certo che in alcune circostanze, come sul terreno dell’istruzione, di alcuni servizi pubblici come la salute e il benessere sociale, la difesa dei diritti umani e delle minoranze, le relazioni tra Chiesa e Stato possono arrivare ad accordi di cooperazione. Da qui risulta che le siano state date diverse forme nel corso della storia, e più recentemente sono stati individuati con maggiore chiarezza gli ambiti di cooperazione di ognuna di queste istanze affinché, pur mantenendo la propria autonomia, si possa prestare un adeguato servizio tanto ai fedeli come ai cittadini, che in alcune circostanze risultano essere le stesse persone.

Ne deriva che la Santa Sede – come Stato del Vaticano – abbia stabilito trattati concordatari con moltissime nazioni, o ancora accordi di cooperazione, come presenza occasionale in funzione di osservatrice in organizzazioni internazionali, cercando di conservare sempre la propria libertà per esprimere la liberà del Vangelo e di non incorrere in compromessi di genere puramente politico-partitista.

Le lezioni della storia sono state dolorose. Coraggiosamente Giovanni Paolo II, nella sua recente "purificazione della memoria", umilmente e in nome della Chiesa cattolica ha chiesto perdono per gli errori commessi, ma allo stesso tempo offre precisamente la sua esperienza affinché la tentazione costituita dal potere di qualunque tipo: teocratico, plutocrático, aristocratico, informatico, ecc non porti di nuovo gli esseri umani a ecatombi ricorrenti, come ci mostrano precisamente gli scontri contemporanei, nei quali non è in gioco unicamente l’orientamento ideologico-politico, ma quello religioso e trascendente.