Prof. Gerhard Ludwig Müller, Regensburg – 28 gennaio 2005

IL RAPPORTO TRA TEOLOGIA E FILOSOFIA

Per coltivare la teologia come scienza, bisogna ricorrere agli strumenti ermeneutici della filosofia e formulare anche i suoi temi specifici nel contesto della problematica storica della filosofia, anche se ciò non è condiviso da alcuni apologeti del secolo II o dagli antidialettici della prima scolastica.

La differenza di carattere e di tipo tra il modo di mediazione della rivelazione biblica nel linguaggio umano nel mondo semitico, da un lato, e la formulazione di una teologia naturale nella filosofia greca, dall'altro, sono evidenti. Tuttavia.1a pretesa di essere una religione universale, avanzata dal cristianesimo, comportò per esso anche la necessità di esprimersi riflessamente con gli strumenti di una filosofia sviluppata. La rivelazione biblica di per sé non è affatto ametafisica. Essa presuppone già sempre la trascendenza assoluta di Dio e la possibilità della sua mediazione nello strumento del linguaggio umano e di conseguenza è sostanzialmente più vicina all'orientamento critico e riflessivo della realtà adottato dalla ragione umana nella filosofia, che non alla rappresentazione mitologica immaginifica del divino in seno alle religioni storiche. La teologia non può certo legarsi in modo esclusivo a una determinata concezione filosofica e lasciarsi da essa dettare i principi e i criteri della validità delle sue affermazioni. L'affermazione che la Chiesa primitiva, adottando la concettualità della filosofia greca, si sarebbe resa colpevole di un allontanamento dalla fede biblica ("rimprovero dell'ellenizzazione"), non risulta sostenibile nella maggioranza dei casi. L'adozione di termini e concetti filosofici fu il più delle volte accompagnata da una profonda trasformazione del loro contenuto. Criterio della formazione dei concetti fu il contenuto della fede e non viceversa. I Padri della Chiesa sapevano di essere normativamente legati alla Sacra Scrittura, alla professione e alla regola di fede.

Viceversa il contenuto della rivelazione cristiana non può, sotto i dettami di una gnoseologia scettica nei confronti della trascendenza, essere ridotto a un semplice materiale illustrativo dell'imperativo morale o dei sentimenti religiosi. La rivelazione biblica presenta, sotto il profilo del contenuto e della forma, determinate richieste a una ontologia, una gnoseologia e una antropologia, che essa presuppone come criteri immanenti della propria validità. La teologia deve eventualmente condurre anche un dialogo critico con determinate filosofie circa l'adeguatezza delle rispettive categorie. Opponendosi apertamente allo scetticismo, al naturalismo e al materialismo, la teologia esprimerà di continuo alla filosofia il desiderio di una gnoseologia realistica, nonché di una ontologia dell'orientamento umano alla trascendenza. Al pluralismo filosofico odierno, a quanto pare non integrabile, essa deve rispondere con la ricerca di un ampio dialogo (anche con le cosiddette filosofie "settoriali" della storia, del linguaggio, della cultura, della tecnica ecc.).