L’Istruzione Redemptionis Sacramentum:

un aiuto particolare per il ministero sacerdotale

Prof. Silvio Cajiao, S.I., Bogotà

"Questa Istruzione, redatta, per disposizione del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti d’intesa con la Congregazione per la Dottrina della Fede, è stata approvata dallo stesso Pontefice il 19 marzo 2004, (...) il quale ne ha disposto la pubblicazione [25-03-2004] e l’immediata osservanza da parte di tutti coloro a cui spetta" (num. 186).

Quindi, questa Istruzione non può essere considerata semplicemente come un insieme di raccomandazioni, bensì, come indica il testo stesso, ha carattere vincolante; coloro che non vi si atterrano saranno perciò passibili delle pene che il diritto ecclesiastico prevede per ogni fattispecie e, a seconda della natura di queste (graviora delicta o "atti gravi"), verranno loro comminate sanzioni proporzionate alla gravità degli abusi commessi.

Questo fatto che, a prima vista, potrebbe apparire come un gesto che tarpa l’iniziativa e la creatività, va considerato precisamente alla luce della conservazione integrale di un tesoro, poiché fa riferimento alla celebrazione dell’Eucaristia e al culto che le è dovuto, il quale, in una comunità che conta con più di un miliardo di fedeli sparsi per il mondo, deve avere alcuni fondamentali punti di riferimento affinché la diversità delle iniziative spontanee e degli adattamenti culturali malintesi non finisca per sfigurare il vero senso di ciò che la Chiesa universale celebra in questo sacramento eccezionale: la perenne attualizzazione dell’azione salvifica del Signore Gesù nella sua vita, nella sua passione, nella sua crocifissione, nella sua morte e nella sua risurrezione (cfr. num. 40).

La struttura del documento chiarisce che la liturgia eucaristica deve avere un referente gerarchico, come si vede, in particolare, dai titoli dei capitoli I e II. Capitolo I: La regolamentazione della sacra Liturgia [14-18]; 1. Il Vescovo diocesano, grande Sacerdote del suo gregge [19-25]; 2. Le Conferenze dei Vescovi [26-28]; 3. I Sacerdoti [29-33]; 4. I Diaconi [34-35]; capitolo II: La partecipazione dei fedeli laici alla celebrazione dell’Eucaristia. 1. Una partecipazione attiva e consapevole [36-42]; 2. I compiti dei fedeli laici nella celebrazione della Messa [43-47]. I capitoli III-VII sono orientati a mostrare la corretta celebrazione del sacramento dell’Eucaristia, la comunione eucaristica, altri aspetti collegati all’Eucaristia, la riserva eucaristica e il culto tributato all’Eucaristia fuori dalla messa, nonché i ministeri straordinari dei laici. L’ultimo capitolo, l’VIII, indica i "rimedi" a cui ricorrere per correggere gli abusi.

La "Premessa" del documento ricorda, in maniera molto sintetica, ma non perciò meno solenne, che: "Nella Santissima Eucaristia la Madre Chiesa riconosce con ferma fede, accoglie con gioia, celebra e venera con atteggiamento adorante il sacramento della Redenzione, annunciando la morte di Cristo Gesù, proclamando la sua resurrezione, nell’attesa della sua venuta nella gloria, come Signore e Dominatore invincibile, Sacerdote eterno e Re dell’universo, per offrire alla maestà infinita del Padre onnipotente il regno di verità e di vita" (num. 1). E nel num. 2 viene ricordato che la Chiesa ha ereditato una plurisecolare elaborazione teologica e del Magistero su questo sacramento "in cui è contenuto l’intero bene spirituale della Chiesa, ovvero Cristo stesso, nostra Pasqua, fonte e culmine di tutta la vita cristiana, il cui influsso causale è alle origini stesse della Chiesa". Queste parole si fanno eco della recente dottrina del Vaticano II nella Costituzione Lumen Gentium nel num. 21 e rinviano alla ancor più recente Enciclica Ecclesia de Eucharistia, nella quale Giovanni Paolo II ha "nuovamente esposto sul medesimo argomento alcuni aspetti di grande importanza per il contesto ecclesiale della nostra epoca" (num. 2). Per queste ragioni, ciò che si espone in questo documento "va, pertanto, letto in continuità con la citata Lettera Enciclica Ecclesia de Eucharistia" (num. 2).

Il paragrafo successivo indica poi che "non si ha l’intenzione di offrire in essa l’insieme delle norme relative alla Santissima Eucaristia, quanto piuttosto di riprendere con tale Istruzione alcuni elementi, che risultano tuttora validi nella normativa già esposta e stabilita, per rafforzare il senso profondo delle norme liturgiche, e indicarne altri che spieghino e completino i precedenti, illustrandoli ai Vescovi, ma anche ai Sacerdoti, ai Diaconi e a tutti i fedeli laici, affinché ciascuno li metta in pratica secondo il proprio ufficio e le proprie possibilità" (num. 2).

Ci viene chiesto di assumere con un senso di integrità la celebrazione di un mistero tanto grande, poiché "Una osservanza puramente esteriore delle norme, come è evidente, contrasterebbe con l’essenza della sacra Liturgia, nella quale Cristo Signore vuole radunare la sua Chiesa perché sia con lui "un solo corpo e un solo spirito". L’atto esterno deve essere, pertanto, illuminato dalla fede e dalla carità che ci uniscono a Cristo e gli uni agli altri e generano l’amore per i poveri e gli afflitti. Le parole e i riti della Liturgia sono, inoltre, espressione fedele maturata nei secoli dei sentimenti di Cristo e ci insegnano a sentire come lui: conformando a quelle parole la nostra mente, eleviamo al Signore i nostri cuori" (num. 5).

"Non si possono, pertanto, passare sotto silenzio gli abusi, anche della massima gravità, contro la natura della Liturgia e dei sacramenti, nonché contro la tradizione e l’autorità della Chiesa, che non di rado ai nostri giorni in diversi ambiti ecclesiali compromettono le celebrazioni liturgiche. In alcuni luoghi gli abusi commessi in materia liturgica sono all’ordine del giorno, il che ovviamente non può essere ammesso e deve cessare" (num. 4).

"Gli abusi non di rado si radicano in un falso concetto di libertà. Dio, però, ci concede in Cristo non quella illusoria libertà in base alla quale facciamo tutto ciò che vogliamo, ma la libertà, per mezzo della quale possiamo fare ciò che è degno e giusto. Ciò vale invero non soltanto per quei precetti derivati direttamente da Dio, ma anche, considerando convenientemente l’indole di ciascuna norma, per le leggi promulgate dalla Chiesa" (num. 7).

L’ordinamento della liturgia è di esclusiva competenza dell’autorità ecclesiastica, la quale risiede nella Sede Apostolica e, là dove il diritto lo dispone, nel Vescovo (cfr. num. 14). Spetta alla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti la promozione e la tutela della degna e corretta celebrazione dei sacramenti e l’emanazione della normativa che ne determina la validità e la liceità; essa altresì "esercita attenta vigilanza perché siano osservate esattamente le disposizioni liturgiche, se ne prevengano gli abusi e, laddove essi siano scoperti, vengano eliminati" (num. 17). L’aspetto dottrinale riguardante questi stessi sacramenti viene salvaguardato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. I fedeli hanno il diritto che queste cose siano stabilite in maniera tale che nessuno possa considerare la liturgia come "proprietà privata di qualcuno, né del celebrante né della comunità nella quale si celebrano i Misteri" (num. 18).

Il Vescovo diocesano è il moderatore e il custode dell’intera vita liturgica della comunità che gli è stata affidata, poiché è stato rivestito della pienezza del sacramento dell’Ordine; egli "è l’"economo della grazia del supremo sacerdozio" specialmente nell’Eucaristia" (num. 19). "Tuttavia, il Vescovo vigili sempre che non venga meno quella libertà, che è prevista dalle norme dei libri liturgici, di adattare, in modo intelligente, la celebrazione sia all’edificio sacro sia al gruppo dei fedeli sia alle circostanze pastorali, cosicché l’intero rito sacro sia effettivamente rispondente alla sensibilità delle persone" (num. 21). Per questo motivo spetta al Vescovo "regolamentare, dirigere, spronare, talvolta anche riprendere" (num. 22), affinché tutto il corpo, che è porzione della Chiesa, progressi nell’unità della carità in uno stesso spirito. Il Vescovo ha il dovere di vigilare affinché le diverse commissioni, consigli o comitati liturgici siano composti da persone che si attengono alle sue direttive e siano, nel contempo, competenti riguardo alla teologia e agli aspetti culturali (cfr. num. 25).

Là dove ciò sia possibile, le Conferenze episcopali sono tenute a istituire, secondo l’invito del Vaticano II, delle "Commissioni liturgiche" composte esclusivamente da Vescovi. Se ciò non fosse possibile, si dovranno nominare, sempre sotto la presidenza di un Vescovo, dei periti, ma questo gruppo non potrà essere chiamato commissione liturgica. Nel 1970 la Santa Sede notificò l’interruzione di tutti gli esperimenti sulla celebrazione della Messa ed è tornata a reiterarla nel 1988, "pertanto, i singoli Vescovi e le loro Conferenze non hanno alcuna facoltà di permettere gli esperimenti riguardo ai testi e ad altro che non sia prescritto nei libri liturgici. Per poter praticare in avvenire tali esperimenti è necessario il permesso della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, dato per iscritto e richiesto dalle Conferenze dei Vescovi. Esso, tuttavia, non verrà concesso se non per grave causa. Quanto alle iniziative di inculturazione in materia liturgica, si osservino rigorosamente e integralmente le norme specificamente stabilite" (num. 27). Parimenti, tutte le norme liturgiche stabilite dalle Conferenze Episcopali devono ottenere, per la loro validità, la recognitio della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti (cfr. num. 28).

I presbiteri costituiscono un unico presbiterio assieme al loro Vescovo e pastore, il quale da loro viene rappresentato di fronte alle comunità loro affidate, sebbene il loro lavoro non debba perdere di vista il servizio universale di tutta la Chiesa. Proprio "nella celebrazione eucaristica soprattutto i Sacerdoti, ai quali compete di presiederla in persona Christi, [assicurano] una testimonianza e un servizio di comunione non solo alla comunità che direttamente partecipa alla celebrazione, ma anche alla Chiesa universale, che è sempre chiamata in causa dall’Eucaristia" (num. 30). Devono vegliare con fermezza affinché né essi stessi, né i fedeli loro affidati si allontanino dall’osservanza di ciò che è stato stabilito dalla Chiesa, compiendo altresì ogni sforzo affinché l’Eucaristia sia il cuore della comunità parrocchiale e questa si nutra con i sacramenti, in particolare con l’Eucaristia e con la riconciliazione; devono invitare tutti alla preghiera, anche in seno alle famiglie, vegliando per evitare l’introduzione di abusi nelle pratiche liturgiche. Non debbono delegare le funzioni che sono di loro esclusiva competenza né ai diaconi né ai laici (cfr. numm. 31 e 32).

I Diaconi, "ai quali sono imposte le mani non per il sacerdozio, ma per il servizio" sono chiamati a esercitare la loro collaborazione nei confronti del Vescovo e dei presbiteri "nel ministero della parola, dell’altare e della carità" (num. 34).

In virtù della loro consacrazione battesimale, i fedeli laici partecipano pienamente di diritto alla celebrazione dei sacramenti, in particolare dell’Eucaristia, poiché "Il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l’uno all’altro, poiché l’uno e l’altro, ognuno a suo modo, partecipano dell’unico sacerdozio di Cristo" (num. 36). I laici devono essere invitati costantemente a vedere nella celebrazione eucaristica non solo l’aspetto conviviale ma anche, e soprattutto, la sua natura sacrificale e proprio in questa vedervi una chiave della piena partecipazione al mistero pasquale di Gesù Cristo.

Si deve vegliare affinché la molteplice e ricca partecipazione dei fedeli sia contrassegnata da una "appropriata libertà di adattamento fondata sul principio che ogni celebrazione risponda alle necessità, alla capacità, alla preparazione dell’animo e all’indole dei partecipanti, secondo le facoltà stabilite dalle norme liturgiche. (...) Va, tuttavia, ricordato che l’efficacia delle azioni liturgiche non sta nella continua modifica dei riti, ma nell’approfondimento della parola di Dio e del mistero celebrato" (num. 39).

Va corretta l’idea secondo cui nella celebrazione tutti devono esercitare una funzione o un preteso "ministero", poiché, da un lato, ciò che ci inserisce nel corpo di Cristo è l’unione nella fede con il mistero che ci supera e, dall’altro, una reale partecipazione avviene già mediante la presenza, le risposte, gli atteggiamenti, la partecipazione al convito. È quindi necessario far vedere che il termine "concelebrazione" ha un senso diverso se si riferisce al sacerdote oppure al laici, poiché, precisamente, l’Eucaristia celebrata dai Sacerdoti è un dono "che supera radicalmente il potere dell’assemblea (...). La comunità che si riunisce per la celebrazione dell’Eucaristia necessita assolutamente di un Sacerdote ordinato che la presieda per poter essere veramente assemblea eucaristica. D’altra parte, la comunità non è in grado di darsi da sola il ministro ordinato" (num. 42). Se ne deduce che espressioni come "comunità celebrante" o "assemblea celebrante" vanno usate con estrema cautela.

Si deve evitare la "clericalizzazione" dei laici assegnandolo loro nella liturgia delle funzioni che esulino dalle loro competenze; al tempo stesso, vanno invitati a partecipare in maniera volontaria, consapevole e responsabile, anche come testimonianza della vita cristiana di fronte alla comunità, a quelle azioni liturgiche a cui possono collaborare, come le letture, il servizio dell’altare o degli accoliti, l’accoglienza dei fedeli, la presentazione dei doni al celebrante, i canti, ecc. (cfr. numm. 43-47).

Dal capitolo III in poi, il documento si sofferma su realtà più puntuali, tornando a ricordare ciò che è definito come disciplina obbligatoria, vale a dire ciò che è contenuto nel Missale Romanum o nelle diverse normative che la Congregazione per il Culto Divino ha promulgato in armonia con il Vaticano II e con ciò che è stato prescritto dai Sommi Pontefici.

Viene quindi prescritto che il pane sia azzimo, fresco, soltanto di grano o che almeno, nel caso di farine miste, prevalga il grano. Si deve evitare la frazione superflua delle ostie e perciò non si possono escludere quelle piccole. Il vino deve essere di uva, curando che non sia diventato aceto ed evitando i vini di provenienza dubbia per evitare mescolanze indebite.

Le uniche Preghiere Eucaristiche autorizzate sono quelle contenute nel Messale Romano, che vanno proclamate nella loro integrità e soltanto dal sacerdote, e richiedono il silenzio dei canti e degli accompagnamenti strumentali, tranne le acclamazioni dei fedeli. Non si deve tralasciare la menzione del Papa e dell’Ordinario del luogo, che evidenzia la comunione ecclesiale e la sua unità.

La celebrazione va preparata con cura in ogni suo aspetto, nei testi, nella scelta dei canti, evitando di dissociare nel tempo o nel luogo la celebrazione della Parola dalla Preghiera Eucaristica. La Parola di Dio non deve essere sostituita da altri testi non autorizzati. Tranne i casi in cui le norme dispongano esplicitamente altrimenti, i laici non possono proclamare il Vangelo, né nella Messa né in altre celebrazioni (cfr. num. 63). L’omelia è di competenza esclusiva del presbitero celebrante o di uno dei concelebranti o, a seconda delle circostanze, di un diacono, un vescovo o un sacerdote non celebrante. Ai sensi di quanto prescrive il canone 767 § 1, viene abolita qualsiasi norma precedente che consentisse ai laici di predicare, anche là dove esisteva questo uso.

L’omelia deve essere preparata con cura, deve essere incentrata sul mistero della salvezza cristiana che si dispiega lungo l’anno liturgico, coniugando la ricchezza della Parola di Dio con i testi liturgici e le norme della fede e della morale. È evidente che qualsiasi interpretazione della Scrittura ha la finalità di condurre il credente a Cristo come centro dell’economia della salvezza, ma tutto ciò deve essere contestualizzato in relazione alla vita, evitando, peraltro, che i riferimenti sociopolitici, le argomentazioni di tipo profano o anche nozioni tratte da movimenti pseudo religiosi finiscano per monopolizzare il contenuto della predicazione (cfr. num. 67).

Si deve evitare di far coincidere la celebrazione eucaristica con la celebrazione del rito della Riconciliazione, ma si accetterà, per ragioni pastorali valide, che altri sacerdoti confessino durante la celebrazione eucaristica.

Va evitata qualsiasi confusione fra l’Eucaristia e una cena ordinaria, e perciò, tranne i casi di grave necessità, non si deve celebrare sui tavoli dei refettori (cfr. num. 77); si eviti inoltre la connessione fra l’Eucaristia e un comune convivio, a meno che i due eventi non siano separati da un adeguato lasso di tempo. Dalla Messa si deve escludere qualsiasi sorta di alimenti e non si deve consentire che i fedeli si siedano attorno alla mensa. Inoltre, la celebrazione eucaristica non deve essere collegata ad atti politici o mondani, e se ne deve evitare la celebrazione come gesto di ostentazione. L’introduzione nella celebrazione della Messa di riti provenienti da altre religioni va giudicata con estrema severità.

La partecipazione frequente, fruttuosa e decorosa dei fedeli alla santa comunione va incoraggiata ricordando loro che "La consuetudine della Chiesa afferma, inoltre, la necessità che ognuno esamini molto a fondo se stesso (cfr. 1Cor 11,28), affinché chi sia conscio di essere in peccato grave non celebri la Messa né comunichi al Corpo del Signore senza avere premesso la confessione sacramentale, a meno che non vi sia una ragione grave e manchi l’opportunità di confessarsi; nel qual caso si ricordi che è tenuto a porre un atto di contrizione perfetta, che include il proposito di confessarsi quanto prima" (num. 81).

La comunione non può essere negata a chiunque abbia il diritto di riceverla per il solo fatto che desideri riceverla in piedi, in ginocchio o nella mano, se così è stato prescritto dalla Conferenza Episcopale, tranne i casi in cui la si amministra sotto le due specie per intinzione (cfr. numm. 91, 92). I fedeli possono partecipare una seconda volta all’Eucaristia in un’altra celebrazione, tranne i casi prescritti dal canone 921 § 21. "Non è consentito ai fedeli di "prendere da sé e tanto meno passarsi tra loro di mano in mano" la sacra ostia o il sacro calice. In merito, inoltre, va rimosso l’abuso che gli sposi durante la Messa nuziale si distribuiscano in modo reciproco la santa Comunione" (num. 94). Si deve mostrare molto rispetto e cura nella manipolazione del sanguis, sia riguardo alla quantità che si consacra per la comunione, sia per portarlo altrove (cfr. numm. 101, 102, 104, 106).

Viene riprovata l’usanza di distribuire ostie non consacrate prima o durante la Messa oppure altri tipi di cibarie che ingenerano confusione tra i fedeli. Nei luoghi dove esiste l’uso di benedire il pane, la benedizione si farà dopo la celebrazione dopo un adeguato lasso di tempo (cfr. num. 96).

Infine, il capitolo VIII, al num. 170, indica che: "Al fine di porre rimedio a tali abusi, ciò "che in sommo grado urge è la formazione biblica e liturgica del popolo di Dio, dei pastori e dei fedeli", di modo che la fede e la disciplina della Chiesa in merito alla sacra Liturgia siano correttamente presentate e comprese. Se tuttavia gli abusi persistono, occorrerà procedere, a norma del diritto, a tutela del patrimonio spirituale e dei diritti della Chiesa, facendo ricorso a tutti i mezzi legittimi".