Note sull'origine della vocazione sacerdotale

Da venti anni mi occupo della formazione di giovani verso il sacerdozio e ho potuto conoscere fin nei particolari l'itinerario di più di 100 vocazioni sacerdotali, autentiche o anche solo presunte, e compiere molte scoperte sull'origine e il progredire di una vocazione così particolare nel cuore e nella mente di un ragazzo e di un giovane.

1. La prima scoperta è stata per me abbastanza rivelatrice: i seminaristi che sono entrati nel mio seminario per lo più dopo la laurea o quando già avevano iniziato a lavorare, potevano essere classificati tra coloro che - con una terminologia di questi ultimi decenni - sono stati chiamati "vocazioni adulte". Eppure in molti di loro, certamente nella maggioranza, i primi segni della vocazione si erano manifestati molto presto, spesso tra i 10 e i 15 anni.

In molti casi l'itinerario di maturazione di quella lontana intuizione sarà difficile. Molti perdono la memoria di quella prima ipotesi di vocazione che viene soffocata nell'adolescenza da altri interessi, altri incontri, altre passioni. Ma anche ciò che sembra contraddire non necessariamente basta a spegnere un seme messo da Dio.

Conosciamo tutti quei ruscelli che, percorsi alcuni chilometri dopo la sorgente, si nascondono tra le rocce e sembrano scomparire per sempre. In realtà proprio in questo itinerario sotterraneo le acque si arricchiscono di preziosi sali minerali. Quei corsi d'acqua spesso poi riappaiono tra le rocce di alta montagna e scendono infine a valle per proseguire maestosi il loro percorso di fiumi maturi e solenni. Così una vocazione che sembrava sepolta riappare per la grazia di un nuovo incontro.

Nell'infanzia, adolescenza e giovinezza spesso l'incontro decisivo è quello con un prete.

2. Dio normalmente non suscita in un ragazzo l'idea del sacerdozio, suscita invece rincontro con un sacerdote. Nella sua autobiografia, un seminarista così parla del sacerdote che più ha segnato la sua infanzia: "don Isidoro, la sua figura credo non mi lascerà mai: incarna l'uomo che da tutto di sé a Cristo, imitandolo nel suo darsi agli altri, fino a dare la sua vita per loro. Era certamente un santo: penso di non essere stato l'unico nei giorni della sua morte a chiedere al Signore di potergli assomigliare". In altre parole: l'ipotesi del sacerdozio nasce in un ragazzo per il fascino di totalità che vede vivere in un prete. Egli non è tanto impressionato da qualcosa che il sacerdote fa, quanto piuttosto da ciò che il sacerdote è.

E chi è il sacerdote per un ragazzo? E' un padre. Nel prete il ragazzo vede un uomo che attraverso ciò che fa mostra un interesse speciale per le persone che ha davanti, un interesse che non si limita ad aspetti particolari o settoriali della loro vita, ma che è interesse disinteressato alla persona, al destino personale. Questo è ciò che affascina, colpisce il ragazzo, questo è ciò di cui Dio si serve per far nascere in lui l'ipotesi della vocazione sacerdotale. "Quell'uomo vecchio, così umile e regale, così consunto e debole eppure forte e ardente, mi conquistava frase dopo frase, parola dopo parola". E' la testimonianza di un altro seminarista dopo un corso di esercizi spirituali. "Pensai a mio padre, di cui non ricordavo il volto [era morto quando lui era piccolo], e mi gonfiai di pietà e di stupore: egli mi era stato sottratto perché potessi scoprire più drammaticamente e perciò più profondamente l'esperienza totalizzante di essere un padre, del Padre ". Viviamo in una società in cui va sempre più scomparendo la figura del padre, la figura di colui che con autorevolezza accompagna il figlio ad affrontare la battaglia dell'esistenza con spirito positivo, costruttivo. E i frutti di questa assenza della figura paterna si vedono purtroppo nella crescente insicurezza dei giovani, nel loro continuo ritardare l'uscita dall'adolescenza. Come sempre il Signore sa rovesciare il male, la mancanza in un bene, in qualcosa di utile al suo disegno.

3. Il ragazzo è affascinato dalla maturità del sacerdote, dall'autorevolezza della sua proposta, dal fatto che egli affronta la vita. Pur vivendo accanto a lui, il prete ha qualcosa che lui, il ragazzo, non ha e vorrebbe avere, che lui non è e vorrebbe essere.

La maggior parte dei ragazzi del mio seminario è stata segnata dalla presenza di sacerdoti che non li astraeva dalla loro vita quotidiana e normale, ma li accompagnava, mostrando come lo studio, gli affetti, le difficoltà, i progetti per il futuro... tutto sia più vero, più bello e più grande seguendo Cristo. E' dall'interno di una vita normale che si capisce la straordinarietà di Gesù. Proprio questo impressiona un giovane: vedere nel prete non uno specialista della preghiera, della liturgia, e neppure solo un organizzatore di giochi o di gite, ma un uomo vero che in Cristo ha trovato lo sviluppo più autentico della sua intelligenza e la pienezza della sua vita affettiva. Ha scritto a proposito un altro ragazzo: "c'era nel mio stare con don Antonio una tensione a capire come fosse possibile che un prete potesse vivere in quel modo, perché sarebbe piaciuto anche a me vivere così, trattare le cose e le persone come faceva lui".

4. Proprio perché è nel terreno di una vita normale che si mostra l'eccezionalità della vita cristiana e sacerdotale, si comprende allora come è importante che la presenza del sacerdote attraversi quegli ambienti dove i giovani passano la maggioranza del loro tempo, come la scuola. "L'aspetto più positivo degli anni del liceo - racconta Giuseppe - si è rivelato nell'insegnante di religione: don Fabio. Non ho mai avuto un rapporto strettamente personale o confidenziale con lui, ma l'autorità e la ragionevolezza della proposta con cui mi parlava di Cristo durante le lezioni sembravano offrirmi ciò che realmente

era mancato alla mia esperienza di fede fino ad allora". Quando il sacerdote è presente nell'ambiente di vita del ragazzo la sua stessa figura diventa un segno, un richiamo alla vocazione: "seguendo don Franco, il prete che c'era al liceo, ho percepito la grandezza di una vita spesa per Cristo, una vita che anche io volevo vivere. - sono parole di un altro seminarista - E così l'ultimo anno del liceo mi sono deciso a dire quello che sentivo ad un sacerdote ed è così che ho iniziato un periodo di verifica della

vocazione. "

5. Certo non è mancato nei ragazzi il fascino della celebrazione dei sacramenti, visti all'inizio come qualcosa di assolutamente misterioso e strano eppure attraente. Questa esperienza vissuta nell'infanzia è ben testimoniata da M'assimilano: "Mi ricordo che mentre ero con mia nonna (avevo quattro anni) andammo ad accendere un cero nella cappella della Madonna, vidi un prete che diceva messa all'altare maggiore. Ancora oggi non saprei spiegare il fascino che provai. Ricordo solo di avere chiesto a mia nonna chi fosse quell'uomo e cosa stesse facendo. Mi rispose che era un prete e che diceva messa. Cosa volesse dire questo sinceramente non lo sapevo, però dissi che da grande volevo fare il prete". Si tratta di un'esperienza comune a molti che, spesso fin da bambini, sono colpiti dalla presenza del Signore che sembra attrarre a sé in maniera misteriosa.

Anche Francesco ne riferisce: "Fin da piccolo avevo notato che il prete è quello che può stare più di tutti vicino a Gesù, durante la messa. La presenza di Gesù è infatti il primo ricordo chiaro e forte che ho della mia infanzia. Quando mia mamma tornava al posto dopo essersi comunicata mi appoggiavo sulla sua pancia per essere più vicino a Gesù anche se non potevo ancora fare la comunione" . E' giusto custodire questa misteriosità di cui il Signore può servirsi per chiamare fin da piccoli, perché i sacramenti sono proprio la scoperta sempre più invadente e pacificante di un Altro che sana la nostra vita attirandola a sé.

  1. Non posso nascondere che un ragazzo è colpito anche da come il prete parla, dalle parole che usa: non è assolutamente necessario che sia colto nel senso mondano del termine, ma, se le sue parole pescano nella profondità del silenzio e della preghiera, rivelano sempre le cose in una luce nuova e sconosciuta. E' ciò che Pavese rammenta nei suoi "Dialoghi con Leucò": "Le cose che tu dici non hanno in sé quel fastidio di ciò che avviene tutti i giorni. Tu dai i nomi alle cose che le fannodiverse, inaudite, eppure care e familiari come una voce che da tempo taceva". (Pavese Dialoghi con Leucò, Mondadori, pag.201)
  2. Perché vedendo una nuova figura di padre un giovane riconosce la propria vocazione? Perché intuisce che la verginità è essere padre di molte persone, è una possibilità reale per la sua vita, una possibilità di bellezza, di utilità e di letizia. Per un ragazzo è molto importante vedere il sacerdote all'opera nella comunità di cui egli stesso fa parte. La sua paternità si rivela infatti nell'opera di guida che il sacerdote vive, nella carità con cui accompagna le persone giorno dopo giorno verso il compimento della loro esistenza. Osservando questo padre, questa guida mentre svolge il suo compito, un giovane prepara il terreno al seme di vocazione che lo Spirito può riporre nel suo cuore, al desiderio di essere padre, guida e testimone come lo è quel sacerdote.