REDEMPTIONIS SACRAMENTUM
II
La recente Istruzione tratta la retta celebrazione del Redemptionis Sacramentum, e così insiste su molti dettagli che dovrebbero fare il loro corso. Un fenomeno costante, una scelta deliberata, a quanto pare, del documento, è di citare letteralmente molte norme già esistenti, in particolare l’Institutio Generalis Missalis Romani, ma anche altre fonti autorevoli. Ciò ci assolve in un certo senso dal doverli ripercorrere qui. In questa seduta mi propongo, quindi, di commentare qualche dettaglio dell'Istruzione Redemptionis Sacramentum, non proprio al livello minimo di commentare i singoli numeri, ma di cercare di fornire delle piste, degli approcci ai temi maggiori del documento e strada facendo segnalerò qualche altro fatto di ordine più generale.
MOTIVAZIONE
Nella prima nostra seduta abbiamo già affrontato il discorso della motivazione, cioè i motivi che possono spingere ad abbandonare gli abusi che toccano l'Eucaristia e a contrastarli.
Vorrei qui completare un po' ciò che si è detto, attirando l'attenzione stavolta all'enfasi che, in maniera sorprendente, l'Istruzione mette sulla conformità richiesta dal cristiano di fronte alle norme liturgiche:
L'osservanza delle norme emanate dall'autorità della Chiesa esige conformità di pensiero e parola, degli atti esterni e della disposizione d'animo. Una osservanza puramente esteriore delle norme, come è evidente, contrasterebbe con l'essenza della sacra Liturgia, nella quale Cristo Signore vuole radunare la sua Chiesa perché sia con lui un solo corpo e un solo spirito (RS 5).
L'Istruzione, quindi, cerca sin dall'inizio di uscire da una prospettiva arida di rubricismo o di legalismo, il quale non rappresenta un atteggiamento autenticamente cristiano davanti alla legge. Redemptionis Sacramentum non propone di obbedire per obbedire, ma di rispettare l'autentico mistero di Cristo nell'Eucaristia, e quindi di adeguarsi alle norme liturgiche che lo custodiscono e salvaguardano (RS 9) nei vari suoi aspetti.
Come tanti altri documenti anche questo si riferisce all'antico adagio lex orandi, lex credendi:
La sacra Liturgia, infatti, è intimamente collegata con i principi della dottrina [Mediator Dei] e l'uso di testi e riti non approvati comporta, di conseguenza, che si affievolisca o si perda il nesso necessario tra la lex orandi e la lex crederteli (RS10).
E insiste:
Le parole e i riti della Liturgia sono, inoltre, espressione fedele maturata nei secoli dei sentimenti di Cristo e ci insegnano a sentire come lui (FU 2, 5): conformando a quelle parole la nostra mente, eleviamo al Signore i nostri cuori. Quanto detto nella presente Istruzione intende condurre a tale conformità dei sentimenti nostri con quelli di Cristo, espressi nelle parole e nei riti della Liturgia (RS 5).
Lontano, quindi, da un approccio rubricista, il documento cerca, anche se brevemente, di evocare una visione quasi mistica della celebrazione liturgica, ed in particolare dell'Eucaristia. Una tale percezione esclude l'abuso, il quale è un atto banalizzante che non combacia con quell'immagine della scena di Emmaus che il Papa pone con enfasi davanti a noi (cf. Ecclesia de Eucharistia 10; Mane nobiscum Domine). Da parte sua, Redemptionis Sacramentum vede nell'abuso un atto che defrauda i fedeli dell'autentica esperienza di Cristo attraverso la liturgia (RS 6). Siamo qui al n. 6 dell'Istruzione, ma anche al n. 11 si parla di chi "compie azioni in nessun modo consone con la fame e sete del Dio vivente provate oggi dal popolo, né svolge autentica attività pastorale o corretto rinnovamento liturgico, ma priva piuttosto i fedeli del loro patrimonio e della loro eredità".
La Redemptionis Sacramentum tocca un'altra dimensione quando insiste, in armonia con la dottrina della Chiesa, e in particolare le enfasi dell'Enciclica Ecclesia de Eucharistia, sul Sacramento dell'Eucaristia come tendente a creare ed a manifestare l'unità e la comunione. Nella parte conclusiva l'Istruzione cita in questo senso l'Enciclica: "Ai germi di disgregazione tra gli uomini, che l'esperienza quotidiana mostra tanto radicati nell'umanità a causa del peccato, si contrappone la forza generatrice di unità del corpo di Cristo. L'Eucaristia, costruendo la Chiesa, proprio per questo crea comunità fra gli uomini' (Ecclesia de Eucharistia 24; RS 185).
In contrasto, gli abusi:
introducono elementi di deformazione e discordia nella stessa celebrazione eucaristica che, in modo eminente e per sua natura, mira a significare e realizzare mirabilmente la comunione della vita divina e l'unità del popolo di Dio (Cf. Ecclesia de Eucharistia 23; SRC, Eucharisticum mysterium 6) (RS 11; cf. RS 12).
L'Istruzione collega questo pensiero con una preoccupazione di cui parla in più di un'occasione, vale a dire le sofferenze del popolo cristiano di fronte agli abusi:
Da essi derivano insicurezza dottrinale, perplessità e scandalo del popolo di Dio e, quasi inevitabilmente, reazioni aspre: tutti elementi che nel nostro tempo, in cui la vita cristiana risulta spesso particolarmente difficile in ragione del clima di secolarizzazione, confondono e rattristano notevolmente molti fedeli (RS 11).
Per concludere queste considerazioni sulle motivazioni offerte dalla Redemptionis Sacramentum a favore di un ritorno degli abusi, notiamo che l'Istruzione attinge all'insegnamento di Giovanni Paolo II per proporre una concisa riflessione:
Gli abusi non di rado si radicano in un falso concetto di libertà. Dio, però, ci concede in Cristo non quella illusoria libertà in base alla quale facciamo tutto ciò che vogliamo, ma la libertà, per mezzo della quale possiamo fare ciò che è degno e giusto (cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc, Veritatis splendor 35) (RS 7).
I DIRITTI DEI LAICI
Finora abbiamo considerato il contenuto in particolare del Proemio o Preambolo alla Redemptionis Sacramentum. Nel suo penultimo paragrafo, l'Istruzione apre su un tema che ricorre non poche volte nel resto del documento: I diritti dei fedeli laici.
Tutti i fedeli, invece, godono del diritto di avere una liturgia vera e in particolar modo una celebrazione della santa Messa che sia così come la Chiesa ha voluto e stabilito, come prescritto nei libri liturgici e dalle altre leggi e norme.
Allo stesso modo, il popolo cattolico ha il diritto che si celebri per esso in modo integro il sacrificio della santa Messa, in piena conformità con la dottrina del Magistero della Chiesa.
E, infine, diritto della comunità cattolica che per essa si compia la celebrazione della Santissima Eucaristia in modo tale che appaia come vero sacramento di unità, escludendo completamente ogni genere di difetti e gesti che possano generare divisioni e fazioni nella Chiesa (RS 12).
Queste espressioni forti non sono attenuate altrove:
I fedeli hanno il diritto che l'autorità ecclesiastica regoli pienamente ed efficacemente la sacra Liturgia, in modo tale che essa non sembri mai "proprietà privata di qualcuno, né del celebrante né della comunità nella quale si celebrano i Misteri" (RS18).
Da parte sua, il popolo cristiano ha il diritto che il Vescovo diocesano vigili affinché non si insinuino abusi nella disciplina ecclesiastica, specialmente riguardo al ministero della parola, alla celebrazione dei sacramenti e dei sacramentali, al culto di Dio e dei santi (RS 24).
È diritto della comunità dei fedeli che ci siano regolarmente, soprattutto nella celebrazione domenicale, una adeguata e idonea musica sacra e, sempre, un altare, dei paramenti e sacri lini che splendano, secondo le norme, per dignità, decoro e pulizia (RS 57).
Parimenti, tutti i fedeli hanno il diritto che la celebrazione dell'Eucaristia sia diligentemente preparata in tutte le sue parti, in modo tale che in essa sia degnamente ed efficacemente proclamata e illustrata la parola di Dio, sia esercitata con cura, secondo le norme, la facoltà di scelta dei testi liturgici e dei riti, e nella celebrazione della Liturgia sia debitamente custodita e alimentata la loro fede nelle parole dei canti (RS 58).
Se il Vescovo diocesano ha ministri sacri o altri destinabili a tale funzione, è diritto dei fedeli fare spesso visita al Santissimo Sacramento per l'adorazione e prendere parte almeno qualche volta nel corso dell'anno all'adorazione della Santissima Eucaristia esposta (RS 139).
[...] Il popolo cristiano ha, dunque, il diritto che sia celebrata l'Eucaristia in proprio favore la domenica, nelle feste di precetto, negli altri giorni principali di festa e, per quanto possibile, anche quotidianamente (RS 162).
Per parte loro, i fedeli laici hanno il diritto che nessun Sacerdote, se non in presenza di effettiva impossibilità, si rifiuti mai di celebrare la Messa per il popolo o rifiuti che essa sia celebrata da un altro, se non si può soddisfare in altro modo il precetto di prendere parte alla Messa di domenica e negli altri giorni stabiliti (RS 163).
"Se per la mancanza del ministro sacro o per altra grave causa diventa impossibile la partecipazione alla celebrazione eucaristica", il popolo cristiano ha il diritto che il Vescovo diocesano provveda, secondo le possibilità, che sia compiuta una celebrazione per la comunità stessa la domenica sotto la propria autorità e secondo le norme stabilite dalla Chiesa (RS164).
Anche in qualche caso particolare si enfatizza i fatto di un diritto:
[...] ogni fedele [ha] sempre il diritto di ricevere, a sua scelta, la santa Comunione in bocca (RS 92).
Nella conclusione del documento si fa appello ad ogni ministro ordinato di esaminare la propria coscienza per vedere:
"se ha rispettato i diritti dei fedeli laici, che affidano a lui con fiducia se stessi e i loro figli, nella convinzione che tutti svolgono correttamente per i fedeli quei compiti che la Chiesa, per mandato di Cristo, intende adempiere nel celebrare la sacra Liturgia (RS 186).
Quindi, l'Istruzione sembra nascere da una vera preoccupazione per il popolo cristiano, ma pare anche voler evitare un certo paternalismo e così adotta il linguaggio dei "diritti". Sarebbe un argomento da approfondire, ma manca il tempo.
IL RUOLO DEI LAICI
Ci siamo soffermati su questo tema dei diritti dei fedeli laici che traspare in alcuni punti dell'Istruzione Redemptioms Sacramentum. Ma ben due degli otto capitoli del documento trattano ex professo il ruolo dei laici: il capitolo II e il capitolo VII. Mi piacerebbe qui attirare l'attenzione su un fatto della struttura del documento che a mia sorpresa non è stato avvertito nei commenti al documento che ho letto. Il fatto che questi capitoli siano separati l'uno dall'altro all'interno dell'insieme è significativo e ci torneremo tra qualche instante.
Nel capitolo II vengono prese in considerazione due cose: da una parte tutta quella dimensione di partecipazione fruttuosa dei fedeli nella Liturgia, in particolare nell'Eucaristia, e dall'altra i compiti pratici assegnati ad alcuni tra i fedeli laici durante la celebrazione della Messa.
La prima sezione, sulla partecipazione detta "attiva", non sembra avere delle pretese ad essere innovativa. Consiste per la maggior parte in un riassunto aggiornato sul tema, attingendo a vari documenti conciliari, all'Enciclica e ad altri documenti della Santa Sede in campo liturgico. Però, un pur timido accenno alla Liturgia delle Ore apre la strada ad una promozione di una prassi strettamente liturgica che non può non servire ad inculcare un senso dei tempi della Liturgia e un avvicinamento alle tante sfumature del mistero di Cristo. Inoltre, qualche volontà di muoversi nella direzione di una nuova visione d'insieme sembra essere indicata dalla citazione dell'Enciclica Mediator Dei di Pio XII. Tale citazione viene utilizzata per affrontare il legame tra la Liturgia stessa e le cose che in qualche senso costituiscono la sua "penombra": i pii esercizi o le prassi della pietà popolare. Certamente in questo campo ci sarebbe spazio per la formulazione da parte della Santa Sede di qualche riflessione che vada al di là di quanto detto nel recente Direttorio sulla Pietà Popolare (2001) ma non era qui il momento.
Infondo il capitolo ripete l'insegnamento recente della Chiesa sulla vocazione di tutti i fedeli, i laici e il clero, ad una partecipazione nella celebrazione liturgica e nella vita della Chiesa che deriva dal fatto di essere battezzati in conformità con la morte e la risurrezione del Signore. Non trascura quegli elementi che nel dopo Concilio hanno servito come veicolo per un certo livello di partecipazione "attiva": canti, riposte, acclamazioni, ecc. Però neppure dimentica una visione più profonda:
L'ininterrotta dottrina della Chiesa sulla natura non soltanto conviviale, ma anche e soprattutto sacrificale dell'Eucaristia va giustamente considerata tra i principali criteri per una piena partecipazione di tutti i fedeli a un così grande sacramento (cf. Ecclesia de Eucharistia, 12-18) (RS 38).
E cita esplicitamente l'Enciclica: "Spogliato del suo valore sacrificale, il mistero viene vissuto come se non oltrepassasse il senso e il valore di un qualsiasi incontro conviviale e fraterno" (Ecclesia de Eucharistia 10) (RS 38).
Infatti, pur riconoscendo l'aspetto della partecipazione per mezzo della voce e dei movimenti del corpo, l'Istruzione si oppone ad un'estensione facile ed esagerata di questo principio che si è fatta valere in certi ambienti:
Tuttavia, benché la celebrazione della Liturgia possieda indubbiamente tale connotazione di partecipazione attiva di tutti i fedeli, non ne consegue, come per logica deduzione, che tutti debbano materialmente compiere qualcosa oltre ai previsti gesti ed atteggiamenti del corpo, come se ognuno debba necessariamente assolvere ad uno specifico compito liturgico. La formazione catechetica provveda, piuttosto, con cura a correggere nozioni e usi superficiali in merito diffusi in alcuni luoghi negli ultimi anni [...] (RS 40).
La Redemptionis Sacramentum sceglie di enfatizzare piuttosto l'aspetto "contemplativo" della celebrazione della Messa (RS 6, 11, 40), in linea con il discorso dello "stupore" di fronte all'Eucaristia che il documento ha accolto dall'insegnamento del Papa (Ecclesia de Eucharistia 5; RS 33). In altre parole, si sottolinea la dimensione dell'interiorità del popolo e il bisogno che c'è di inculcare in loro una spiritualità liturgica che gli permette di vivere con senso una vita cristiana.
Non abbiamo finora commentato il Capitolo II, dove in sostanza si da un panorama dell'importanza del ministero ordinato nella Chiesa nel campo della struttura ecclesiale e quindi in quello della celebrazione liturgica, espressione di tale realtà, e in quello della tutela della medesima. In conclusione della prima sezione del Capitolo II sui laici ci si aggancia a queste idee per contrastare due idee: che la celebrazione delle Messa "nasce" in primo luogo della volontà umana di tanti individui di radunarsi, e che in tale celebrazione i fedeli laici "concelebrano" con il sacerdote in maniera univoca. La dimensione più importante della Liturgia non è tanto la volontà umana di riunirsi ma la vocazione e la grazia di Dio.
Nella seconda ed ultima parte del Capitolo II, si torna a fare accenno a quei compiti che nei libri liturgici vengono assegnati ai laici. Anch'essi sono in qualche senso una manifestazione della natura della Chiesa. Occorre una preparazione adeguata. Il punto di tutta la sezione e dell'intero Capitolo è che nessuno intende dire che i laici sono esclusi dalla partecipazione alla celebrazione dell'Eucaristia. C'è tutto l'impegno del cuore a conformarsi a Cristo in fedeltà alla realtà del proprio battesimo: nella preghiera, ma in tutti gli spazi della vita di ciascuno. C'è la partecipazione comunitaria nel canto, nelle riposte, nei canti, nei riti processionali. Questi infatti a loro volta esprimono e fanno capire a tutti i livelli della persona umana ciò che si è e ciò che si compie. Poi c'è il servizio di alcuni tra i laici ai santi misteri attorno al sacerdote e al diacono. Tutto questo è la partecipazione normale, tradizionale, ripristinata dal Concilio.
Seguono quattro Capitoli che trattano successivamente La retta celebrazione della santa Messa (III), La santa Comunione (IV), Altri aspetti riguardanti VEucaristia (V), La conservazione della Santissima Eucaristia e il suo culto fuori della Messa (VI). Anche tutto ciò costituisce l'ambito del normale.
E' a questo punto che si colloca l'altro Capitolo che parla espressamente dei fedeli laici — Capitolo VII: I compiti straordinari dei fedeli laici. Siamo qui fuori il campo del normale, dell'ordinario. Siamo nell'area dello straordinario.
Già il Capitolo II conteneva un capoverso che recita così:
Si deve evitare il rischio di oscurare la complementarietà tra l'azione dei chierici e quella dei laici, così da sottoporre il ruolo dei laici a una sorta, come si suoi dire, di "clericalizzazione", mentre i ministri sacri assumono indebitamente compiti che sono propri della vita e dell'azione dei fedeli laici (RS 45).
In continuità con il recente insegnamento del Papa, del Sinodo sui laici, e dell'Istruzione Ecclesiae de mysterio del 1997, frutto della collaborazione di ben otto dicasteri romani, il Capitolo VII elabora delle considerazioni intorno a questo argomento.
Molto vicino in particolare all'Istruzione Ecclesiae de mysterio che non risulta a prima vista dalle virgolette e dai riferimenti in nota, il Capitolo VII elabora una serie di precisioni che collocano il fedele laico rispetto al ministero del Vescovo, del sacerdote e del diacono.
In una prima sezione senza titolo il documento, avendo sottolineato la necessità del ministero ordinato, elogia i laici che in tempi di prima evangelizzazione e di persecuzione hanno portato il peso di un ministero propriamente laico e quindi suppletivo. Ciò però è la risposta della Chiesa alla mancanza di altra possibilità. Non dev'esserci una concorrenza tra ministri ordinari e ministri straordinari. Quest'ultimi entrano in funzione solo quando manca il clero e il loro compito non può mai essere un modo di promuovere o mettere in rialzo il ruolo dei laici.
Dal momento che la questione dei ministri straordinari della Santa Comunione è diventato un problema da qualche parte, si applica il principio a questo ambito (RS 154-160) e si fa accenno ad un punto trattato con particolare cura dall'Istruzione Ecclesiae de mysterio, vale a dire la possibilità di predicazione da parte dei laici nella Messa, la quale è esclusa (RS 161).
Da qui si parla del fenomeno della celebrazione domenicale in assenza del sacerdote (RS 162-167), dove in caso di necessita i laici delegati dal Vescovo possono avere un ruolo in assenza del clero. La posizione della Santa Sede mostra qualche sviluppo o precisazione rispetto alle norme del Direttorio su questo argomento pubblicato nel 1988. Si coglie l'occasione di insistere sul dovere dei sacerdoti di assicurare, in quanto possibile, la Messa domenicale al popolo (RS 162-162).
Quindi se i fedeli laici hanno anch'essi una responsabilità nella Chiesa, sono chiamati in casi di necessità ad assumersi diversi forme di servizio straordinario normalmente svolte dal clero. L'Istruzione riconosce l'eroicità e la devozione che ciò significa per molti, ma allo stesso momento mette in rilievo il rischio della dissoluzione della retta autocomprensione della Chiesa.
I RIMEDI
Sarebbe forse poco onesto far passare sotto silenzio il fatto che l'ultimo Capitolo, l'ottavo, ha attirato le note più critiche della stampa, dove viene caratterizzato come un sostenuto incitamento alla dilazione e alla denuncia.
Questa sensibilità non è nuova. E1 emersa da diversi anni soprattutto nei paesi occidentali dove si sono diffusi degli abusi liturgici. Ogni azione ha una reazione, e quindi non pochi protestano. Quanto detto in questo Capitolo non stabilisce niente di nuovo rispetto al diritto precedente. Semmai suggerisce di dare un po' più di peso alle lamentele delle persone che spesso hanno davvero subito dei danni da molto tempo nelle mani di chi ha voluto far valere il proprio ego.
CONCLUSIONE
Preferirei concludere enfatizzando la nota con la quale conclude la stessa Istruzione Redemptionis Sacramentum. La genesi della preparazione e della pubblicazione di questo documento è il fatto che in tanti, e il Papa tra di loro, i cattolici considerano che l'Eucaristia è a rischio. C'è una crisi. La Redemptionis Sacramentum richiama in mente le norme, fa qualche precisazione anche pratica. Ma pur non avendo delle pretese alla grande, è un documento che si sforza di essere più che un testo burocratico e di fare appello a tutti, ma soprattutto a Vescovi, sacerdoti e diaconi, a fare un personale esame di coscienza a tutto campo riguardo all'Eucaristia, un fatto così centrale della vita cristiana, e di portare rimedio là dove rimedio ci vuole.