Michael F.
Hull, New York
Per definizione, ogni cristiano è un testimone di Gesù Cristo. La testimonianza resa a Cristo assume forme molto diverse. Una di queste è la predicazione, cioè ciò che, in maniera molto generale, viene descritto in Matteo 5,16: «Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli». Ma, nel suo senso più specifico, predicare equivale a far penetrare il vangelo attraverso un discorso pubblico, che può avvenire in una chiesa, in un luogo di culto, in una casa o in una piazza. Anche in questo caso, a tutti i fedeli viene richiesto di testimoniare il vangelo. Ma alcuni fedeli sono chiamati a predicare in un senso specifico, a pronunciare cioè un discorso pubblico in determinate circostanze. E alcuni membri del popolo di Dio, cioè il clero, sono chiamati a un genere specifico di predicazione, vale a dire la predicazione durante la celebrazione eucaristica, sotto la forma di una «omelia», la quale è soltanto un preciso tipo di predicazione.
Lo stesso Signore è il paradigma di qualsiasi testimonianza nell’ambito dell’annuncio del regno di Dio e del mistero pasquale. Il Signore non ha desiderato soltanto essere testimone, ma ha anche voluto stabilire la Chiesa, affinché questa continui la sua missione salvifica sotto la guida dello Spirito santo (Lc 24,49; Gv 14,25‑26; 16,12‑14; At 1,4‑8). I vangeli raccontano che il Signore ha condiviso il suo ministero con i discepoli che aveva scelto. In Lc 9,1‑6 egli dà ai Dodici potere e autorità, inviandoli a predicare il regno di Dio. In Lc 10,1‑15 invia i settantadue discepoli a predicare non soltanto il regno di Dio, ma anche le terribili conseguenze del suo rigetto. In Mt 28,16‑20 agli apostoli viene ordinato di fare discepoli in tutte le nazioni. E in Mc 16,14‑20 il Signore comanda loro: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo a ogni creatura». In At 2, subito dopo la discesa dello Spirito santo sugli apostoli il giorno di pentecoste, vediamo che essi (e in particolare Pietro) predicano agli ascoltatori ben disposti di ogni nazione. Le parole di Pietro in questa occasione costituiscono il più antico sermone cristiano noto. La chiusa del libro degli Atti presenta Paolo che «annuncia il regno di Dio e insegna le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza e senza impedimento». Non vi è quindi alcun dubbio che il Signore vuole che i suoi discepoli predichino nel suo nome.
Tuttavia, esistono differenze non solo di grado ma anche di natura fra i discepoli di Cristo. Nella Chiesa esistono divergenze non di poco conto sulla distinzione fra la predicazione clericale e quella dei laici. Ma non si tratta di una novità. Nella Chiesa antica, Origene (c. 185‑c. 254), uno dei più famosi predicatori della storia della Chiesa, chiamato spesso «il padre dell’omelia», illustra questo problema. Nel 215, i vescovi della Palestina chiesero di predicare a Origene, il quale aveva un ruolo molto importante come catecheta nella Chiesa alessandrina. Poiché Origene era tuttora laico, questo fatto fu giudicato un’infrazione agli usi ecclesiastici alessandrini e il suo stesso vescovo lo richiamò. Ovviamente, Origene ubbidì al suo vescovo e rientrò in patria e cominciò a predicare soltanto dopo la sua ordinazione. Nel medioevo, la nascita dei movimenti di predicazione da parte dei laici e degli ordini mendicanti diffuse la predicazione, ma al tempo stesso suscitò delle discussioni suoi ruoli specifici del clero e dei laici nella proclamazione pubblica. Per questo motivo, il concilio Lateranense IV decise di esortare il clero a predicare e fissò dei limiti alla predicazione dei laici. Analogamente, l’insistenza sulla predicazione dei laici durante la rivolta protestante portò il concilio Tridentino a insistere sulla predicazione del clero.
Sebbene il Concilio Vaticano II abbia sottolineato il ruolo dei laici nella Chiesa, e in particolare il loro ruolo come testimoni del vangelo nel mondo, ha considerato la predicazione come un’attività specifica non dei laici, bensì del clero. Difatti, Apostolicam actuositatem parla di una missione salvifica della Chiesa nella quale ogni membro deve cercare di «manifestare al mondo il messaggio di Cristo con la parola e i fatti e comunicare la sua grazia. Ciò si attua principalmente con il ministero della parola e dei sacramenti, affidato in modo speciale al clero, nel quale anche i laici hanno la loro parte molto importante da compiere, per essere “cooperatori... della verità” (3 Gv 8)» (AA 6). Apostolicam actuositatem prosegue parlando delle «moltissime occasioni» che si presentano ai laici e dice che «il vero apostolo cerca le occasioni per annunciare Cristo con la parola sia ai non credenti per condurli alla fede, sia ai fedeli per istruirli, confermarli e condurli a una vita più fervente» (ibid.).
D’altro canto, il concilio ha visto nella predicazione il compito primario del clero in Lumen gentium (numm. 25 e 28), in Christus Dominus (numm. 12 e 28) e in Presbyterorum ordinis (n. 4). Ad esempio, Lumen Gentium dice: «Tra le funzioni principali dei vescovi eccelle la predicazione del vangelo» (LG 25), e menziona i presbiteri come coloro che «sono consacrati per predicare il vangelo, pascere i fedeli e celebrare il culto divino, quali veri sacerdoti del Nuovo Testamento» (LG 28). Questo insegnamento è in armonia con l’insistenza conciliare sull’importanza dell’omelia nella messa, in particolare le domeniche e nei giorni festivi. Sacrosanctum concilium sottolinea l’intima connessione fra l’omelia e il suo contesto nella messa e stabilisce delle condizioni che implicano che l’omelia viene pronunciata dal clero (SC 35 e 52). Si tratta di un aspetto notevole, poiché lo stesso concilio menziona la messa come «fonte e culmine della vita cristiana» (LG 11). Tutto ciò è stato stabilito nel Codice del 1983 (cann. 762-772). Il canone 767 è particolarmente esplicito in merito, poiché, riprendendo le espressioni di Sacrosanctum concilium (n. 52), definisce la omelia come «la forma più importante de la predicazione» e la riserva esclusivamente al clero.
Certamente, abbiamo visto quanto sia importante l’omelia. Ma allora, perché riservarla soltanto al clero? Gli aspetti determinanti sono il contesto dell’omelia e la natura del predicatore. Senza una adeguata conoscenza della struttura bipartita della messa e del carattere sacramentale del predicatore, il divieto ecclesiastico ai laici di predicare l’omelia della messa può apparire come un capriccio, anche se non lo è affatto. Il fatto di riservare l’omelia esclusivamente al clero rappresenta un notevole riconoscimento dell’unità della messa.
Il Concilio Vaticano II si era proposto di sottolineare il ruolo della Parola di Dio nella messa. Perciò il concilio proclamò in Sacrosanctum concilium l’unità della liturgia della Parola e della liturgia del Sacramento nella messa. Durante la messa, i fedeli «devono essere istruiti dalla Parola di Dio e [al tempo stesso] nutriti dalla tavola del corpo del Signore» (SC 48). Il concilio incoraggiò inoltre una maggiore partecipazione dei fedeli e la riforma del rito della messa per mettere maggiormente in rilievo le due parti della messa e la loro coerenza e interdipendenza reciproca. Uno degli elementi portanti di questa riforma è stato il riconoscimento dell’importanza dell’omelia liturgica, che viene riaffermata da numerosi documenti. In particolare la Istruzione generale sul Messale Romano (66) e il Codice di Diritto Canonico (c. 767 § 2) stabiliscono che l’omelia è un elemento essenziale della messa e che, senza un grave motivo, non può essere tralasciata nelle liturgie domenicali e nei giorni festivi. Ovviamente, i celebranti della messa sono i sacerdoti ed è loro dovere nutrire i fedeli con la Parola e il Corpo del Signore. Come sottolinea Presbyterorum ordinis: «Il popolo di Dio viene adunato innanzitutto per mezzo della parola del Dio vivente, che tutti hanno il diritto di cercare sulle labbra dei sacerdoti (...) e questo vale soprattutto nel caso della liturgia della parola nella celebrazione della messa, in cui si realizza un’unità inscindibile fra l’annuncio della morte e risurrezione del Signore, la risposta del popolo che ascolta e l’oblazione stessa con la quale Cristo ha confermato nel suo sangue la nuova alleanza» (PO 4). Per questo motivo, «di norma, l’omelia dovrebbe essere pronunciata dal sacerdote celebrante» (IGMR 66), anche se non si esclude che ciò possa essere fatto da uno dei concelebranti o da un altro membro del clero.
Idealmente, l’omelia è «un’esposizione di qualche aspetto delle letture scritturistiche o di un altro testo preso dall’ordinario o dal proprio della messa del giorno, e deve prendere in considerazione sia il mistero che viene celebrato sia le esigenze particolari degli ascoltatori» (IGMR 65) e deve essere pronunciata dai pastori della Chiesa. I pastori devono vegliare a che il gregge sia nutrito con la Parola durante l’omelia. Anzi, i canoni definiscono la responsabilità dei pastori in merito a questo nutrimento (can. 767 § 4; cfr. can. 528). Quindi, l’omelia rientra nell’ambito dell’ufficio magisteriale della Chiesa, che è proprio dei chierici e non dei membri laici del popolo di Dio. Ciò non significa né che i laici non sono chiamati a testimoniare Cristo né che, in determinate circostanze, non possano essere chiamati a predicare. Anzi, questa possibilità esiste ed è prevista precisamente dai canoni (can. 766). Non esiste un abisso insormontabile fra il clero e i laici per quanto riguarda la predicazione del vangelo, ma nondimento sussiste una divisione dei compiti nella Chiesa per quanto riguarda la predicazione. Il dovere di pronunciare l’omelia è di spettanza del clero nel contesto unico e incomparabile del sacrificio della messa. L’importanza dell’omelia è tale che molte conferenze episcopali hanno scritto documenti con la finalità di promuovere una predicazione valida ed efficace da parte del clero, come ha fatto la Conferenza episcopale degli Stati Uniti in Fulfilled in Your Hearing: The Homily in the Sunday Assembly [«Soddisfatti nell’ascolto: l’omelia nell’assemblea domenicale»] (14 luglio 1982).
Si tratta di una responsabilità che incute timore. L’istruzione della Congregazione del Clero su Il sacerdote, pastore e capo della comunità parrocchiale (4 agosto 2002) osserva che, per quanto riguarda il dovere di pronunciare l’omelia durante la messa, la distinzione tra fedeli ordinati e non ordinati non riguarda la loro competenza, ma è di natura sacramentale (n. 4). Ma quella tra fedeli ordinati e non ordinati non è l’unica distinzione che va considerata. Ai laici può essere consentito di predicare nelle chiese e negli oratori in circostanze di estremo bisogno, ma mai nel momento riservato all’omelia durante la messa. I laici che vengono invitati a predicare non devono considerare questo ministero straordinario come un diritto inerente al loro stato ma come un privilegio eccezionale. Che si tratti di un’eccezione e non di un diritto viene dimostrato dal fatto che qualsiasi predicazione da parte dei laici in chiese, oratori o nel nome della chiesa è regolata dalle disposizioni della locale conferenza episcopale. La predicazione dei laici è consentita soltanto per motivi quali la mancanza di clero, esigenze linguistiche oppure una particolare competenza. Inoltre, i pastori possono consentire che i laici predichino soltanto se sono di provata ortodossia e hanno le competenze necessarie per farlo. L’istruzione interdicasteriale Su alcune questioni riguardanti la collaborazione dei fedeli non ordinati al ministero sacro dei sacerdoti (15 agosto 1995) precisa che consentire la predicazione da parte dei laici «non può essere considerata un evento ordinario né un’autentica promozione dei laici» (art. 2 § 24).
Quindi, l’omelia è un genere specifico di predicazione riservato al clero. Sebbene i canoni affermino che i laici «possono anche essere chiamati a collaborare con i vescovi e i presbiteri nell’esercizio del ministero della Parola» (can. 759; cfr. 756 § 2), di norma la predicazione è riservata al clero. Ogni fedele è chiamato a rendere testimonianza del vangelo, a fare sì che la luce della sua fede cristiana splenda di fronte agli uomini come un mezzo per dare gloria a Dio (Mt 5,16). In virtù della loro ordinazione i membri del clero sono chiamati a predicare il vangelo alla stregua di s. Paolo: «Non è infatti per me un vanto predicare i vangelo; è per me un dovere: guai a me se non predicassi il vangelo!» (1 Cor 9,16).