PREDICAZIONE COME COLLABORAZIONE CON L’OFFICIO DEL VESCOVO

 

Prof. Igor Kowalewski - Mosca

 

 

Predicare – che cos’è? In che consiste, come farlo?

Quando sono sicuro, che ciò che dico è in conformità con la Chiesa?

La risposta si nasconde qui: comunione! Essere in comunione con Dio, con la Chiesa, con il Papa, con il proprio vescovo, con i fratelli.

Noi in Russia abbiamo una difficoltà enorme con ubbidienza. L’ubbidienza per noi è una cosa lontana dall’amore, dalla fiducia. E’ piuttosto un dovere esterno, una disciplina imposta dall’alto, una cosa che proviene dalla paura. La finalità dell’ubbidienza è il bene comune, tanto forte, persino reso assoluto, che non esiste più la persona, il suo bene. Il collettivo distrugge la personalità. Senza ubbidienza non esiste la comunione.

“Come ascoltano, se nessuno predica? Come predicare se non si è inviati?”

Eccomi, manda me. Il ministero profetico che ricevemmo nell’ordinazione  non si è spento.

Se non parliamo noi, Cristo rimarrà muto! Ma Cristo non è muto. Cristo può tacere guardando, può, si potrebbe dire, stare zitto un attimo – in Cina, in altri luoghi, dove non possono i vescovi e i sacerdoti predicare, lì Cristo sta guardando, non dice nulla per ora, sta aspettando, però non è muto! E i sacerdoti della Chiesa del silenzio non sono muti. Cum tacent, clamant. Predicano con la loro vita, con il loro silenzio.

Tanto più in Europa, in America, qui in Russia, dove possiamo ora predicare combattendo non i nemici visibili, ma quelli che stanno nell’aria… Perché non viene combattuta ora la religione, la vogliono ridurre, farla vaga, privata, individualista.

La Parola è una cosa fondamentale. Attraverso la parola uomo cresce, impara, riceve l’amore per poter amare lui dopo. Il parlare, (anche parlare senza un testo scritto) comunica amore, se parla un vescovo al suo popolo con intenzione di annunciare la Buona Notizia, è Cristo stesso che parla, che dà pienezza a quello che è nostro, che è imperfetto, che manca.

I presbiteri parlano a nome del vescovo. Devono essere mandati, essere inviati, affinché la loro predicazione sia efficace. Efficace non vuol dire che avranno successo, che saranno accolti, applauditi. Molti diranno “ma che noia, che barba, quando smette di parlare!” Gesù Cristo stesso è stato rigettato, però questo rigetto è diventato salvifico per l’umanità.

Il seminatore uscì a seminare… Quando predichiamo non sappiamo, quale terra sta davanti a noi. La crescita dipende dallo Spirito Santo, dalla grazia; noi abbiamo altro compito: gettare il seme (può darsi piangendo, come dice il salmo). Qualcun altro porterà i covoni. E’ come i genitori: dando alla luce un figlio, lo generano per l’eternità. Però non sono loro che danno la vita, piuttosto accolgono un dono di Dio, che è un figlio. Così è la Parola di Dio: noi, i predicatori siamo i primi per ricevere un dono per la nostra felicità, per la vita eterna. Non siamo noi che diamo, tutto riceviamo. Tutto diventa una grazia.

Oggi c’è bisogno dei sacerdoti umili, che non si gonfiano, che non aspirino al potere, che si rendano sempre conto dei propri peccati.

Oggi c’è bisogno dei sacerdoti santi, pure i peccatori, ma quelli che vivano con Dio, caduti tornino a Lui, che siano santi con la santità del Signore.

C’è bisogno dei sacerdoti missionari, che non siano pastori e consolatori di stessi, che siano radicati nella missione di Cristo e della Chiesa.