L’esclusione dell’arte profana e scadente dalle chiese
Michael F. Hull, Nuova York

 

Fin dalle antiche chiese domestiche, allestite nelle case in cui veniva celebrata l’Eucaristia nei primi tempi, la Chiesa ha promosso l’uso dell’arte sacra come mezzo per elevare gli spiriti a Dio. L’arte sacra è una condizione sine qua non di tutte le chiese cristiane. Certamente, Michelangelo aveva ragione quando osservava che «la vera opera d’arte è soltanto un’ombra della perfezione divina». Ma i prodotti dell’arte sacra non sono soltanto ombre della perfezione divina, ma anche opere che conducono l’anima al mistero trascendente del Dio della rivelazione (cf. Catechismo della Chiesa cattolica, num. 2502). Questo è il motivo per il quale la Chiesa segue con attenzione l’arte, sacra e profana, buona e scadente. Da lungo tempo, la Chiesa e i Papi non hanno avuto particolari remore per esprimere il loro parere in merito alle belle arti, come appare anche dalla recente Lettera agli artisti (4 aprile 1999) di Papa Giovanni Paolo II.

     Secondo Sacrosanctum concilium, «A riguardo, anzi di tali arti, la Chiesa si è sempre ritenuta a buon diritto come arbitra, scegliendo tra le opere degli artisti quelle che rispondevano alla fede, alla pietà e alle norme religiosamente tramandate e che risultavano adatte all’uso sacro» (SC 122). Sacrosanctum concilium prosegue con queste parole: «I vescovi abbiano ogni cura di allontanare dalla casa di Dio e dagli altri luoghi sacri quelle opere d’arte, che sono contrarie alla fede, ai costumi e alla pietà cristiana; che offendono il genuino senso religioso, o perché depravate nelle forme, o perché insufficienti, mediocri o false nell’espressione artistica» (SC 124; cf. CCC, num. 2503).

     Allora, quale genere di arte va esclusa dalle nostre chiese ? L’arte profana e scadente. Ma i motivi della loro esclusione sono differenti. L’arte profana può raggiungere una grande bellezza ed essere, come è stato detto, «un’ombra della perfezione divina». Non è l’assenza di meriti artistici ciò che esclude l'arte profana dalle chiese, bensì il fatto che la sua finalità è diversa da quella di tentare di rispecchiare i lati più profondi della rivelazione di Dio, in particolare la manifestazione di Dio per eccellenza in Gesù Cristo, il quale è «irradiazione della gloria di Dio e impronta della sua sostanza» (Eb 1:3) e nel quale «abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» (Col 2:9). Sebbene l’arte sacra rappresenti certamente l’espressione suprema delle belle arti, le quali a loro volta si contano fra i più nobili prodotti dell’ingegno umano, la vera bellezza viene spesso espressa dall’arte profana (cf. SC 122). Quindi, la Chiesa si oppone all’utilizzazione dell’arte profana nelle chiese non perché manchi di bellezza, ma per il tipo di bellezza che manifesta.

     Ma l’arte scadente non è bella, anzi, non è affatto arte. Il problema dell’arte sacra addirittura non si pone, poiché il criterio della bellezza viene meno nel caso dell’arte scadente. Anche se «la Chiesa non ha mai avuto come proprio un particolare stile artistico» (SC 123), respinge la bruttezza come rappresentazione di ciò che è mediocre o falso, quando non si tratta addirittura di una perversione del creato e di un’offesa contro ciò che è divino. Ovviamente, ciò non vuol dire che l’arte scadente non si sia insinuata nelle nostre chiese o che non sia arrivata fino alle loro porte. La Chiesa deve continuare a mostrarsi vigile, per fare sì che l’arte scadente venga tolta dalle nostre chiese ed evitare che i barbari vi irrompano nuovamente. Come aveva osservato Giovanni Paolo II: «l’arte sacra deve contraddistinguersi per la sua capacità di esprimere adeguatamente il Mistero colto nella pienezza di fede della Chiesa» (Ecclesia de Eucharistia, num. 50), e ciò può essere realizzato soltanto dalle opere la cui bellezza è suprema. E soltanto ciò che è supremamente bello e sacro è degno delle nostre chiese, nelle quali celebriamo l’Eucaristia, «fonte e culmine della vita della Chiesa» (Lumen gentium, num. 11; cf. SC 10).