PAROLE
INTRODUTTIVE
di
Sua Em. Rev.ma il Signor Cardinale
Darío
Castrillón Hoyos
Prefetto della
Congregazione per il Clero
Il celibato e
la paternità del sacerdote
Il celibato è un dono dell’amore di Dio che la Chiesa
riceve continuamente e vuole custodire, convinta che esso è un bene eccelso per
se stessa e per il mondo intero. Il Magistero della Chiesa lo ha ribadito fin
dai tempi apostolici e lo ha riaffermato più volte nell’ultimo Concilio
Ecumenico.
Nella Costituzione Lumen
gentium troviamo questa affermazione: “Eccelle questo prezioso dono della
grazia divina, dato dal Padre ad alcuni (cfr.
Mt 19,11; 1 Cor 7,7) di votarsi a Dio
solo più facilmente e con un cuore senza divisioni (cfr. 1 Cor 7, 32-34)
nella verginità e nel celibato. Questa perfetta continenza per il Regno dei
cieli è sempre stata tenuta in singolare onore dalla Chiesa, come un segno e
uno stimolo della carità e come una speciale sorgente di fecondità nel mondo”
(n. 42). In particolare, il Decreto conciliare Presbiterorum ordinis, dichiara: “La perfetta e perpetua continenza
per il Regno dei cieli, raccomandata da Cristo Signore (cfr. Mt 19,12), nel
corso dei secoli e anche ai nostri giorni gioiosamente abbracciata e
lodevolmente osservata da non pochi fedeli, è sempre stata considerata dalla
Chiesa come particolarmente confacente alla vita sacerdotale” (n. 16).
Ha scritto la Beata Madre Teresa di Calcutta: “Sì, il mondo
ha una grande necessità del celibato sacerdotale perché ha bisogno di Cristo.
Dubitare del valore del sacerdozio di una persona e del celibato sacerdotale nel
mondo d’oggi, significa dubitare dell’autentico valore di Cristo e della sua
missione, perché essi, Cristo ed il sacerdote, sono una cosa sola (Il celibato
sacerdotale segno della carità di Cristo: in “Solo per amore- riflessioni sul
celibato sacerdotale” Ed. Paoline, 1993, Cinisello Balsamo, pp. 208-209).
È quanto, oggi, verrà affrontato teologicamente in questa
quarantaseiesima video-conferenza internazionale dal tema: “Il celibato e la paternità del sacerdote”.
I Teologi ricorderanno che esiste uno stretto legame del
celibato con la Ordinazione sacerdotale, sacramento che configura
ontologicamente il sacerdote a Gesù Cristo, Capo e Sposo della sua Chiesa. Sulla
base della viva Tradizione della Chiesa e percorrendo il solco tracciato anche dal
recente Magistero petrino, essi richiameranno le motivazioni teologiche di
natura cristologica, ecclesiologica ed escatologica che mostrano l’intima connessione del celibato col
ministero ordinato, nella sua duplice dimensione di relazione a Cristo e alla
sua Chiesa.
Le Relazioni odierne riaffermeranno, innanzitutto, che il
celibato sacerdotale è sì norma canonica
ma che la legge ecclesiastica non può essere intesa come una imposizione
arbitraria della Chiesa, come se si trattasse di un comando esterno che ricade
sul sacerdote quasi che egli dovesse pagare un tributo a Dio per essere
ministro ordinato. No, la normativa
ecclesiastica sul celibato ha la sua radice nel mistero di Cristo e della sua
Chiesa, mistero ancorato sul fondamento della volontà salvifica di Dio che guida
la sua Chiesa nella missione affidatale: essere sacramento universale di
salvezza, comunione di Dio con l’umanità intera.
Negli interventi le riflessioni dottrinali, con i loro
richiami alla Sacra Scrittura e ai Padri della Chiesa, permetteranno di comprendere
meglio che la radice cristologica del
celibato sacerdotale è inscindibile da quella ecclesiologica: il sacerdote, chiamato ad identificarsi con Cristo che
è vissuto celibe, si rende capace di amare Dio e gli uomini con un cuore nuovo
e indiviso nel suo ministero pastorale e paterno (cfr. Gal 4,19) di generare
gioiosamente il Popolo di Dio alla fede, di formarlo e di condurlo “quale vergine casta” (2 Cor 11,2) alla pienezza di vita in Cristo.
Il sacerdote, chiamato a partecipare della fecondità della grazia, genera
spiritualmente alla vita eterna una innumerevole schiera di figli di Dio: il
suo volto riflette l’amore misericordioso di Dio Padre, la sua parola e le sue
mani unte sono la parola e le mani di Cristo, come ha ricordato recentemente il
Santo Padre nell’Omelia della Santa Messa del Crisma del Giovedì Santo (del 13.4.2006):
le mani del sacerdote “sono segno della sua capacità di donare, della
creatività del plasmare il mondo con l’amore”. Per questo Sant’Agostino poteva affermare che “nessuna fecondità
carnale può essere paragonata con la verginità consacrata” (De sancta veriginitate 8:PL 40,400).
Essa, come dirà il Concilio Vaticano II, è per i sacerdoti “fonte speciale di
fecondità spirituale nel mondo” (Decr. Presbyterorum
ordinis, 16) che li dispone a
ricevere e ad esercitare gioiosamente la paternità in Cristo (cfr. Cost. dog. Lumen gentium, 42).
Ha scritto Giovanni Paolo II nel suo libro autobiografico “Alzatevi, andiamo!”: “Il celibato,
infatti, dà la piena possibilità di realizzare questo tipo di paternità: una
paternità casta, consacrata totalmente a Cristo e alla sua vergine Madre. Il
Sacerdote, libero dalla sollecitudine personale per la famiglia, può dedicarsi
con tutto il cuore alla missione pastorale. Si capisce pertanto la fermezza con
cui la Chiesa di rito latino ha difeso la tradizione del celibato per i suoi
sacerdoti, resistendo alle pressioni che nel corso della storia si sono, di
tempo in tempo, manifestate. E’ una tradizione certo esigente, ma che si è
rivelata singolarmente feconda di frutti spirituali.” (Arnaldo Mondadori Edit. S.p.A., anno 2004, Cles, p. 109).
Il celibato diviene così cammino di santità, cammino lungo
il quale il sacerdote ama la Chiesa con quell’amore verginale, totale ed
esclusivo con cui Cristo stesso l’ha amata, come suo Capo e Sposo, vale a dire
con tutto se stesso, anima e corpo, testimoniando così l’amore sponsale di
Cristo e traendone soprannaturale vigore di fecondità spirituale. E nello stesso
tempo il celibato sacerdotale così vissuto manifesta ad ogni uomo anche la sua
dimensione escatologica, prefigurando
ed anticipando nel mondo la comunione e la donazione perfette e definitive che
Cristo stesso avrà con la sua Chiesa nella vita eterna, dove i figli di Dio non
prenderanno né moglie, né marito, ma saranno come angeli al cospetto di Dio
(cfr. Mt 22,30).
Ringraziando gli invitati, ricordo che i loro interventi si
svolgeranno in collegamento diretto, da dieci nazioni dei cinque continenti. Le
riflessioni saranno svolte da Roma,
dalla Sede della Congregazione per il
Clero, dal Prof. Antonio Miralles e dal Prof. Paolo Scarafoni.
Interverranno, inoltre, da New York il Prof. Michael Hull, da Manila il Prof. José Vidamor Yu; da Regensburg il Prof. Gerhard Ludwig Müller; da Taiwan il Prof. Louis Aldrich; da Johannesburg il Prof. Rodney Moss; da Bogotà il Prof. Silvio Cajiao;da Sydney il Prof. Gary Devery; da Madrid
il Prof. Alfonso Carrasco Rouco; da Mosca
il Prof. Ivan Kowalewsky.
Auguro a tutti un buon ascolto.