Prof. Paolo Scarafoni, L.C., Roma (27.9.06)
Analogamente al ruolo della epicheia di fronte alla legge, l’obiezione di coscienza si basa sul primato della coscienza nella applicazione della legge. La coscienza può esigere una più stretta adesione ai principi morali universali, alla legge naturale e alla legge divina di quanto la legge formulata sia in grado di esprimere. La vera obiezione di coscienza si presenta quando, dopo una meditazione prudente, una legge concreta viene vista come contraria alla giustizia e al bene comune, almeno per quanto riguarda l’agire concreto della persona, anche se una gran parte della popolazione non la considera tale.
Tale maggiore esigenza della coscienza deve portare oltre la legge nel senso profondo della legge stessa, e quindi esige dall’obiettore un maggiore e più sincero impegno da parte sua, rispetto agli altri. Come esempio portiamo il classico caso del servizio civile al posto del servizio militare, da parte degli obiettori. Essi debbono profondere maggiore impegno di energie e di tempo al servizio della pace, della vita e della patria. Questo primo aspetto dell’obiezione di coscienza suppone un contesto di valori morali ampiamente condivisi, al quale si ispirano le leggi. Lo stato deve promuovere e difendere il primato della coscienza, se non lede i diritti altrui, e pertanto non autorizzare l’obiezione per le leggi strettamente necessarie al bene comune.
Nelle società occidentali attuali troviamo spesso contesti di valori morali discordanti, e non di rado in materia morale le leggi esprimono visioni, che seppur condivise da una parte della popolazione, sono tuttavia contrarie alla legge naturale, alla legge divina ed evangelica. Se può essere lecito tollerare l’applicazione del male minore, in nessun caso è permesso compiere ciò che è intrinsecamente cattivo. L’obiezione di coscienza diventa allora particolarmente necessaria di fronte alle “leggi” che vorrebbero imporre una condotta immorale: “Le leggi di questo tipo non creano nessun obbligo per la coscienza, ma sollevano piuttosto un grave e preciso obbligo di opporsi ad esse mediante l’obiezione di coscienza. Si dalle origini della Chiesa, la predicazione apostolica ha inculcato ai cristiani il dovere di obbedire alle autorità pubbliche legittimamente costituite (cfr. Rm 13,1-7; 1 Pt 2,13-14), ma nello stesso tempo ha ammonito fermamente che ‘bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini’” (EV 73). Di fronte a un ordine immorale non è lecito rifugiarsi nella giustificazione dell’obbedienza dovuta, ma la persona ha il dovere di negare l’obbedienza.
Gli stati ove vigono visioni morali diverse sul valore della vita e sulla dignità umana dovrebbero proteggere il primato della coscienza, e non penalizzare gli obiettori. Le famiglie, gli operatori sanitari e i ricercatori cristiani devono cercare attivamente forme di associazione e di riconoscimento del diritto di obiezione in questi campi, per favorire l’esercizio libero della coscienza in rispetto della dignità della persona, del valore intangibile della vita umana e della legge naturale e divina.
Laddove ingiustamente non viene riconosciuto il diritto di obiezione, la Chiesa chiama i suoi figli a una obbedienza eroica al Signore. “La Chiesa propone l’esempio di numerosi santi e sante che hanno testimoniato e difeso la verità morale fino al martirio o hanno preferito la morte ad un solo peccato mortale. Elevandoli all’onore degli altari, la Chiesa ha canonizzato la loro testimonianza e dichiarato verso il loro giudizio, secondo cui l’amore di Dio implica obbligatoriamente il rispetto dei sui comandamenti, anche nelle circostanze più gravi, e il rifiuto di tradirli, anche con l’intenzione di salvare la propria vita” (VS 91).