LA NOVITÀ DI CRISTO

I giovani e il celibato ecclesiastico

 

 

Al 24 giugno 1967, Papa Paolo VI sapeva che si stava rivolgendo ad un uditorio scettico su un argomento difficile. Il suo tempismo coincise con l'apertura di un'ampia rivoluzione culturale. Ma egli fu risoluto. Parecchi anni prima aveva promesso alla Chiesa una lettera sul celibato sacerdotale. Ora stava per adempiere quella promessa con la sua Enciclica Sacerdotalis Caelibatus.

La sua lettera sul celibato sacerdotale ha iniziato una nuova era. Egli descriveva la sessualità umana in termini profondamente biblici, mettendo in evidenza il suo significato cristologico, ecclesiologico ed escatologico. La sua antropologia era perfettamente teologica. Studiando soltanto alcuni di questi problemi, mi concentrerò sul celibato sacerdotale e i giovani sotto tre titoli: 1) Lo stato delle cose nel 1967; 2) «La pienezza d'amore: un irresistibile sprone all'eroismo; e 3) «La legge d'oro del celibato sacro».

Sono necessarie alcune osservazioni preliminari. Il Papa faceva riferimento ai «giovani» in dieci dei novantanove paragrafi della sua Enciclica. All'interno di questo gruppo egli includeva gli anni dell'adolescenza e della giovinezza nell'età giovanile. Egli spiegava «lo stato biologico e psicologico» dei giovani che devono essere guidati e orientati verso l'ideale sacerdotale (63). Molti potrebbero essere stati membri di Azioni Cattolica; altri potrebbero essere stati giovani lavoratori, che tradizionalmente erano lontani dagli oratori e dai centri parrocchiali.

 

1. Lo stato delle cose nel 1967. Il Papa era realistico nella sua valutazione delle confusioni intellettuali e morali del tempo. Il mondo era «tormentato dalle pene della crescita e del cambiamento» (46). Cambiamenti molto estesi e profondi stavano «turbando coscienze, confondendo alcuni sacerdoti e giovani aspiranti al sacerdozio, [e causando] allarme in molti fedeli» (2). Egli riconosceva che la cultura moderna aveva rotto il patto tra la parola e il mondo e che la coscienza moderna era priva di serietà e costanza.

La data in cui egli inviò la lettera fu giusto un anno prima della ribellione dei giovani contro le autorità governative a Parigi e in altre grandi città dell'Occidente. Viene in mente la riflessione di Lionel Trilling sui suoi studenti universitari e la loro «fantasia liberale»: essi esaminavano l'Abisso e lo trovavano «interessante ed eccitante». Nel 1967 la lettera del Papa anticipava di un anno un altro spartiacque, l'enciclica sulla vita umana e la sessualità, Humanae Vitae.

Il Papa ovviamente aveva presenti questi mutamenti quando indirizzava le obiezioni che molti stavano portando contro il celibato sacerdotale. Egli era convinto che queste obiezioni stavano profondamente influenzando l'immaginazione religiosa di giovani cattolici in ogni parte del mondo. Nei suoi paragrafi di apertura egli riassumeva il processo fatto dalla modernità contro il celibato sacerdotale, cioè l'erronea conclusione che il celibato non era né basato sulla Bibbia né contenuto nei Padri della Chiesa. Egli notava la confusione del celibato sacerdotale con il carisma della verginità religiosa, la scarsità di sacerdoti, le «dolorose defezioni» dallo stato di vita sacerdotale, i presupposti vantaggi di preti sposati, e i problemi psicologici associati con uno stile di vita che fa «violenza alla natura» (5-13).

Il Papa definiva con chiarezza che cosa stava rifornendo queste obiezioni. «Gli individui e le famiglie hanno smarrito il loro senso di Dio e di tutto ciò che è santo, [e] la loro stima per la Chiesa come l'istituzione di salvezza attraverso la fede e i sacramenti» (49). La modernità aveva perso il suo senso di meraviglia fanciullesca e di timore reverenziale: questo è l'errore cardinale. Questo vuol dire un mondo senza preghiera e senza contemplazione.

Il Papa passava a trattare un'altra realtà, non senza relazione a questa eclissi di contemplazione e di preghiera: la radicale ascesa di quelle cose riguardanti ciò che Charles Taylor descrive come «l'affermazione della vita comume», cioè di quelle cose legate «alla umana produzione e riproduzione» - il posto di lavoro e il matrimonio. In un tale mondo, i giovani hanno imparato che la sola giustificazione della vita è la sua normalità.

A tutto ciò il Papa rispondeva descrivendo «la logica più alta di quel nuovo concetto di vita» in contrasto con «la visione ordinaria della vita, alla quale [il celibato sacerdotale] porta la luce splendente della rivelazione» (12). Precedentemente nello stesso anno, il Papa aveva affermato il primato della preghiera e della contemplazione nel suo appello per «un nuovo umanesimo» (Populorum progressio, 20).

La cultura moderna annulla ogni «bene» che implichi sofferenza o sacrificio. Il Papa intuiva la ragione: «una ingiustificata disistima dei valori umani che... sono stati creati tutti attraverso l'opera della redenzione compiuta da Cristo» (10). Più avanti, egli ritornava sullo stesso soggetto. «La Chiesa non ignora che la scelta del celibato consacrato, poiché implica una serie di dure rinunce che toccano la vera profondità di un uomo, presenta anche gravi difficoltà e problemi ai quali gli uomini di oggi sono particolarmente sensibili» (50).

Il Papa valutava nuovamente la Chiesa nel mondo moderno due anni dopo la Gaudium et Spes. Egli ammetteva che il celibato sacerdotale «potrebbe sembrare in conflitto con il solenne riconoscimento dei valori umani da parte della Chiesa nel recente Concilio» (50).

 

2. «La pienezza d'amore: un irresistibile sprone all'eroismo». Nella sua lettera il Santo Padre faceva abbondante uso della Bibbia. Egli incoraggiava una pietà «nutrita alla tavola della Parola di Dio e alla Santa Eucaristia» (75). Citando le Sacre Scritture circa ottanta volte, egli mostrava il modo di agire pastoralmente con i giovani.

È significativo che il Santo Padre parlasse della testimonianza del celibato sacerdotale nel mondo moderno in termini di «eroismo» (24). Dio ci ha tanto amati che ha dato il Suo unico Figlio affinché noi possiamo avere la vita (Io 3,16). «Il celibato è e dovrebbe essere un esempio raro e veramente significativo di una vita la cui motivazione è l'amore, col quale l'uomo esprime la propria unica grandezza» (24). I giovani sanno istintivamente che «solo l'amore può essere creduto» (Von Balthasar). Il cuore del Papa si rivelò nella sua presentazione dell'amore di Dio in Cristo. Il giovane cattolico, nella comprensione del celibato sacerdotale nel mondo moderno, è chiamato in primo luogo non a fare, ma a guardare cioè a contemplare la gloria di Dio «nella luce della novità di Cristo» (19). Solo allora egli sarà in grado di accettare la richiesta eroica del celibato nel mondo moderno. Non si richiede nient'altro che un rinnovamento della dimensione contemplativa della vita. Il Papa parlava di «una più profonda penetrazione delle cose spirituali» (18). Il sacerdote è uno che conosce Dio solo dall'esistenza di Cristo. Nella luce della gloria di Dio «vista» nel cuore trafitto di Suo Figlio, il sacerdote ha abbandonato la propria esistenza con la sua luce. «La sua vita intera... porta il segno dell'olocausto» (29).

Solo il giovane la cui concentrazione non è su se stesso ma sull'oggetto del suo amore contemplativo può giungere ad un apprezzamento della «consacrazione più perfetta al regno di Dio per mezzo del celibato, un dono speciale» (22). Quando incontra la santità di Dio nell'Eucaristia, egli è totalmente assorbito da Dio.

La seguente esperienza durante la celebrazione dell'Eucaristia descritta da Sant'Ignazio di Loyola non dovrebbe essere estranea al misticismo del sacerdote di oggi. «Io sentivo e vedevo, e molto chiaramente, il vero essere o essenza di Dio, sotto la figura di una sfera, leggermente più larga della figura del sole, e da questa essenza il Padre sembrava andare avanti... Così io andavo attraverso la Messa... (con una) crescita di intenso amore per l'essenza della Santissima Trinità» {Diario Spirituale).

Si deve notare che Sant'Ignazio descriveva questa realtà in termini di sensi spirituali della vista e del tatto. I giovani cattolici dovrebbero vedere questa dimensione contemplativa, mistica nel ministero e nella vita dei loro sacerdoti. La prova soggettiva della rivelazione è subordinata al rinnovamento di ciò che Von Balthasar chiama «l'estasi liberatoria della sensibilità spirituale». Questa prova è «l'eco soggettiva del fatto oggettivo della fede».

«Il sacerdozio cristiano, essenza di un ordine nuovo» (19), continuava il Papa, non può essere compreso al di fuori del mistero pasquale di Cristo. Per quanto riguarda il giudizio di Dio sul mondo, esso è rivelato «per mezzo del suo mistero pasquale» (ibid.). La morte dell'unico Figlio del Padre è la parola di giudizio che Dio ha dato al sovrano di questo mondo (Io 16,11). Il Figlio ha preso su di sé i peccati del mondo, e il Padre ha accettato la sua obbedienza. «Essendo interamente consacrato alla volontà del Padre», Cristo ha riconciliato il mondo al Padre (2 Cor 5,19). L'amore del Padre per il mondo è rivelato nella sua accettazione del sacrificio del Suo unico Figlio che «per amore nostro ha reso peccato colui che non conosce peccato, affinché in lui noi potessimo divenire giustizia di Dio» (2 Cor 5,21).

Questa è la gloria di Dio rivelata «nell'amore che Cristo ci ha mostrato in modo così sublime» (24). I giovani sono chiamati a guardare e a vedere la bellezza di Cristo e la bellezza della Chiesa.

 

3. «La legge d'oro del celibato sacro». Solo con una prolungata contemplazione della gloria di Dio in Cristo, il giovane avrà la speranza di rispondere alle richieste eroiche di quella che il Papa chiamava «la legge d'oro del celibato» (3) nel mondo contemporaneo. «Il ministro di Cristo e dispensatore dei misteri di Dio... guarda direttamente a Lui come al suo modello e ideale supremo... [Gesù] introduce nel tempo e nel mondo una nuova forma di vita che è sublime e divina e che trasforma la condizione terrena della natura umana» (19). Questa è la dimensione eroica del celibato sacerdotale.

I giovani cattolici desiderano la conferma che «Cristo sta parlando» nel sacerdote della loro parrocchia o comunità. E la sola risposta che il sacerdote può dare è la testimonianza della sua fede vivente. San Paolo rispondeva similmente a una richiesta del popolo di Corinto: per il fatto che Gesù «fu crocifisso per la sua debolezza, ma vive per la potenza di Dio. Perciò noi siamo deboli in lui, ma per riguardo a lui, noi saremo vivi con lui per la potenza di Dio» (2 Cor 13,3-4).

Questo rivela la struttura elittica della cristologia e di tutta la rivelazione. Per vedere Cristo ci vuole l'occhio interiore della fede pasquale. Così c'è una perfetta reciprocità tra il contenuto della rivelazione e quello della fede. La fede richiede una kenosis (un auto-svuotamento) affinché i giovani possano accettare e comprendere la kenosis di Cristo.

Riguardo al celibato, la tradizione apostolica è riassunta nel primo Concilio di Cartagine (390): «Coloro che sono al servizio dei divini sacramenti, osservino la perfetta continenza, affinché possano ottenere in tutta semplicità quello che chiedono a Dio; ciò che gli apostoli hanno insegnato e anticamente hanno osservato loro stessi, manteniamolo noi stessi».

Per recuperare il significato di segno, di simbolo religioso, i giovani dovrebbero essere incoraggiati a contemplare l'immagine di Cristo, il Nuovo Adamo. Per meditare sulla figura del Nuovo Adamo ci si soffermerà infine sulla Croce; lì essi «vedranno» il fianco trafitto da cui è nata la Nuova Eva (Io 19,34-35). Essi impareranno quello che i loro fratelli spirituali avevano capito all'istante: che «la Chiesa era tanto la sposa di Cristo quanto il corpo di Cristo» (Von Balthasar). Allora i giovani vedranno la Chiesa non come una struttura puramente istituzionale priva del suo mistero. Fuori dal mistero della Nuova Eva, la Chiesa sarebbe vista semplicemente come un'istituzione.

È qui che l'insegnamento di Paolo VI sul significato nuziale del celibato sacerdotale diventa chiaro. «Il celibato consacrato dei ministri sacri attualmente manifesta l'amore verginale di Cristo per la Chiesa, e la fecondità verginale e soprannaturale del matrimonio, dal quale sono nati i figli di Dio ma non di carne e sangue» (26).

Il Papa qui riprende la grande tradizione. Io lo chiamo il significato nuziale del celibato sacerdotale. Esso è essenzialmente collegato all'Eucaristia. Perciò nel momento del Sacrificio Eucaristico, il sacerdote diviene l'«icona vivente di Cristo», il Nuovo Adamo. Egli agisce nella persona di Cristo, il Sommo Sacerdote e Sposo della Chiesa. Il celibato sacerdotale diviene una parte integrante della sua relazione iconica con Cristo il cui sacrificio fonda con la Nuova Eva l'unica carne del nuovo ed eterno patto. I giovani sono chiamati a contemplare questo «grande mistero» (Ef 5,32): la Chiesa è tanto il Corpo di Cristo quanto la Sua Sposa.

Concludendo queste riflessioni sul celibato sacerdotale, voglio citare un passaggio da una lettera pastorale che ho indirizzato all'Arcidiocesi di Denver in previsione della Giornata Mondiale dei Giovani del 1993:

«Chiedo ai giovani della Chiesa Cattolica di riconoscere che le crisi degli uomini del nostro tempo sono messe alla prova dalla crescente infedeltà e mancanza di rispetto che noi mostriamo verso le donne e i bambini. È essenziale, poiché ci muoviamo verso il nuovo millennio che voi, miei giovani fratelli in Cristo, riconosciate l'urgenza della vostra speciale vocazione di uomini: essere più profondamente consapevoli, fissare più intensamente, contemplare con maggiore tenerezza la dignità e la vocazione della donna, del femminile in tutta la pienezza e la complessità della sua persona... Con attenta riflessione voi vedrete che l'intero dramma della redenzione è focalizzato sulla donna dal Proto-Vangelo di Genesi 3, sulla donna dell'Apocalisse».

 

 

 

J. Francis Stafford

Presidente Pontificio Consiglio per i Laici