Spiritualità Sacerdotale

 

 

 

Premessa: vita spirituale-santità-spiritualità-santificazione

 

1. La sinteticità richiesta da questo breve approccio alla spiritualità sacerdotale, esige che ne fissiamo con chiarezza l'oggetto proprio con alcuni semplici richiami.

Partiamo da alcune recenti definizione in materia.

a) «Possiamo definire la vita spirituale come 'la vita suscitata dallo Spirito donato da Gesù'. Una tale definizione sarebbe, tuttavia, un puro gioco verbale se non si caratterizzasse lo Spirito come colui che dona questa vita... Per dire che cosa è la vita spirituale è dunque necessario considerare il ventaglio dei doni e dei carismi; è necessario, ancora, considerare che lo Spirito è Dio e che il dono di Dio è Dio stesso»[1]. «La spiritualità, che dal punto di vista cristiano è la coincidenza dello spirito umano con lo Spirito divino, si configura come qualità specifica dell'uomo sotto l'influsso di vari fattori»[2].

b) «Nella sua essenza, la santità si identifica con la Carità, cioè con l'Amore nel senso più puro del termine, e la santificazione non è altro che il cammino verso una carità più grande riguardo a Dio e al prossimo. Ma, la carità non ha la sua origine nell'uomo, bensì in Dio...»[3].

Le definizioni riportate lasciano trasparire, in modo evidente, almeno una coimplicazione dei termini vita spirituale - spiritualità - santità - santificazione, quando essi sono adoperati per descrivere un contenuto e un metodo di vita, nel linguaggio cristiano[4].

 

2. Ai fini delle nostre considerazioni, alla coppia di termini 'vita spirituale-santità' e 'spiritualità-santificazione' possiamo attribuire questa duplice significazione a carattere generale:

a) la 'vita spirituale-santità', come realtà 'di partenza, è la 'vita divinà data a un fedele cristiano per mezzo del sacramento del Battesimo, corroborata e 'specificatà dalla grazia di altri sacramenti e da particolari doni dello Spirito[5];

 

b) la 'spiritualità-santificazione', come realtà 'terminale', è la manifestazione, l'attuazione, nella realtà esistenziale di un fedele cristiano, della 'vita spirituale-santità' ricevuta[6]. Tale spiritualità-santificazione si ottiene, si conserva, si restaura, si sviluppa, mediante un insieme di atti e di mezzi, che costituiscono la via della propria spiritualità-santificazione.

 

3. Per poter procedere con chiarezza è necessario che il contenuto della 'spiritualità-santificazione' sia ulteriormente precisato.

- Se la consideriamo in senso statico, essa potrebbe essere definita, riprendendo le parole di prima, come l'espressione nella vita quotidiana dei doni che lo spirito ha dato (e dona in ogni momento) ad un fedele cristiano. Presa da questo punto di osservazione, la 'spiritualità' può essere individuata e descritta soltanto, per una parte (quella fondamentale), in modo generico o ideale, desumendola dall'analisi della 'realtà' di riferimento (cioè la vita spirituale donata), e, per un'altra parte (quella connessa alla fattualità), solo a posteriori. Infatti, nell'ordine 'cristiano' si può dire che, per essere cristiano, un fedele deve agire essenzialmente in determinati modi[7]. Ma tali 'modi di essere', in se stessi considerati, sono 'astrazioni', non esistono se non in una determinata persona, che li esprime sempre, in un certo senso, a 'proprio modo'[8]. Per cui, la descrizione della spiritualità in senso statico o si riduce alla descrizione delle esigenze generali della 'res' donata dallo Spirito, o può essere descritta solo a posteriori, individuando la specifica 'spiritualità' come è stata vissuta da una concreta persona (il S. Curato d'Ars, S. Giovanni Bosco, S. Teresa, S. Caterina, S. Francesco, ecc.)[9]. La spiritualità diventa così una 'forma' precostituita (un archetipo ideale), la quale si compone da una serie di modalità ideali ed essenziali, richieste per vivere le esigenze, pure esse essenziali, di un dato modo di essere della vita spirituale, oppure da una serie di modalità concrete che un ben determinato soggetto personale (o anche un insieme di soggetti personali) ha realmente incarnato nell'adempimento della propria vocazione nella Chiesa. È appena il caso di richiamare che la semplice conoscenza dell'esistenza di questa 'forma' di spiritualità non costituisce la mia spiritualità; anche se ho l'idea esatta di che cosa costituisca la spiritualità benedettina, non significa che io abbia ed esprima una simile spiritualità. La spiritualità così intesa è solo oggetto di studio, metodo ispiratore.

- Se la consideriamo in senso dinamico la spiritualità diventa l'insieme degli atti che un fedele cristiano deve compiere se vuole esprimere nell'esistenza concreta la vita spirituale, intesa come doni dello Spirito, che gli viene donata. L'attenzione, quindi, non è tanto sulla 'formà, che per la parte connessa ai sacramenti deve pure essere conosciuta, in se stessa e nelle sue esigenze, ma piuttosto sulle modalità atte ad esprimere la forma[10]. Così intesa, la spiritualità potrebbe anche essere confusa con quelli che, ordinariamente, vengono chiamati i mezzi per la vita spirituale. Tuttavia non va dimenticato che i cosiddetti 'mezzi' della vita spirituale non sono un 'quid' strumentale (come lo è la penna per scrivere), ma sono 'esigenze' della stessa vita spirituale (la preghiera non è tanto mezzo, ma esigenza, oppure, più compiutamente, è insieme e esigenza e mezzo. La vita cristiana 'esige' che il fedele cristiano preghi; l'atto di preghiera è parte della spiritualità cristiana; il cristiano è tale se prega).

Appare evidente che questo secondo modo di definire la spiritualità contiene o presuppone anche il primo.

 

4. Quando a questi termini aggiungiamo la qualifica 'sacerdotale', intendiamo orientare il nostro campo di ricerca sulla considerazione della 'vita spirituale-santità' e 'spiritualità-santificazione' in quello specifico modo di essere ed operare nella Chiesa, che riguarda il fedele cristiano costituito chierico dal sacramento dell'Ordine sacro. Si inserisce così la necessità di conoscere la realtà spirituale complessiva di cui è costituito il chierico[11].

 

le coordinate della spiritualità sacerdotale

 

1. Dall'identità dell'essere all'identità dell'operare

 

1.1. Per scoprire come deve essere l'operare è necessario conoscere l'essere. La ricerca dovrà sviluppare l'affermazione: per giungere alla 'spiritualità-santificazione del chierico occorre ricostruire la sua 'vita spirituale-santità'.

L'attenzione all'identità del sacerdozio ministeriale, ai suoi contenuti essenziali e alla sua missione specifica, si può dire che ha la stessa età della Chiesa: fin dai primi tempi, i cristiani hanno cercato di rifletterci e di esprimerla[12]. Non perché non vi sia, nella Chiesa, la percezione chiara di chi sia un suo sacerdote; ma perché le sensibilità dei vari tempi e delle varie culture, e i valori e le tentazioni che ne conseguono, hanno sempre richiesto una riflessione costante, con la focalizzazione ora dell'una ora dell'altra prospettiva.

Poiché anche il sacerdozio è un mistero, la sua comprensione ed espressione sono sempre più penetrabili e mai esauribili, almeno per quanto riguarda ciò che opera in noi la libertà dello Spirito.

 

1.2. Il Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri[13], nel suo tentativo di tratteggiare l'attuale immagine espressiva del presbitero, individua quattro componenti, che intervengono sul suo essere e ne richiamano le relazioni.

a) Come tutto e tutti nella Chiesa, anche il sacerdote è nella sua realtà complessiva (essere ed agire) opera del Dio Trinità. L'identità del sacerdote «scaturisce dal ministerium verbi et sacramentorum, il quale è in relazione essenziale al mistero dell'amore salvifico del Padre (...), all'essere sacerdotale di Cristo che sceglie e chiama personalmente il suo ministro a stare con Lui (...), e al dono dello Spirito (...), che comunica ... la forza necessaria per dar vita ad una moltitudine di figli di Dio, convocati nel suo unico Popolo e incamminati verso il Regno del Padre» (n.4). «Tale relazione, pertanto deve essere necessariamente vissuta dal sacerdote in maniera intima e personale, in dialogo di adorazione e di amore con le Tre Persone divine, consapevole che il dono ricevuto gli è stato dato per il servizio di tutti» (n.5).

b) Il sacerdote è costituito tale per «una partecipazione indelebile allo stesso ed unico sacerdozio di Cristo, riguardo alla santificazione, all'insegnamento e alla guida di tutto il Popolo di Dio» (n.6). «In questo senso, l'identità del sacerdote è nuova rispetto a quella di tutti i cristiani che, mediante il Battesimo, partecipano, nel loro insieme, all'unico sacerdozio di Cristo e sono chiamati a dargli testimonianza su tutta la terra. La specificità del sacerdozio ministeriale si situa di fronte al bisogno che tutti i fedeli hanno di aderire alla mediazione e alla signoria di Cristo, resa visibile dall'esercizio del sacerdozio ministeriale. In questa sua peculiare identità cristologica, il sacerdote deve avere coscienza che la sua vita è un mistero inserito totalmente nel mistero di Cristo e della Chiesa in un modo nuovo e specifico e che questo lo impegna totalmente nell'attività pastorale e lo gratifica» (n.6).

c) È lo Spirito Santo che, nell'Ordinazione, fa del sacerdote «un uomo segnato dal carattere sacramentale per essere per sempre ministro di Cristo e della Chiesa», che lo abilita all'annuncio della Parola di Dio, «alla celebrazione della liturgia, soprattutto dell'Eucarestia e degli altri Sacramenti», e che gli dona «la forza per guidare la comunità a lui affidata e per mantenerla nell'unità voluta dal Signore». «Pertanto il presbitero, con l'aiuto dello Spirito Santo e con lo studio della Parola di Dio nelle Scritture, alla luce della Tradizione e del Magistero, scopre la ricchezza della Parola da annunciare alla comunità ecclesiale a lui affidata», per guidarla, per mantenerla nell'unità affinché i fedeli «siano una cosa sola perché il mondo creda che il Padre ha mandato il Figlio per la salvezza di tutti» (nn.8-11).

d) «Il sacramento dell'Ordine... fa partecipe il sacerdote non solo del mistero di Cristo Sacerdote, Maestro, Capo e Pastore ma, in qualche modo, anche di Cristo 'Servo e Sposo della Chiesa». A somiglianza del Vescovo, i presbiteri, «in qualche modo partecipano pure... di quella dimensione sponsale nei riguardi della Chiesa che è bene significata nel rito dell'ordinazione episcopale con la consegna dell'anello». Pertanto i presbiteri «dovranno essere fedeli alla Sposa e, quasi icone viventi del Cristo Sposo, rendere operante la multiforme donazione di Cristo alla sua Chiesa..., dovranno «amare la Chiesa come Cristo l'ha amata, consacrando ad essa tutte le... energie e donandosi con carità pastorale fino a dare quotidianamente la... stessa vita» (n.13). L'appartenenza al presbiterio di una Chiesa particolare «non deve chiudere il sacerdote in una mentalità ristretta e particolaristica, ma aprirlo al servizio anche di altre Chiese, perché ogni Chiesa è la realizzazione particolare dell'unica Chiesa di Gesù Cristo... Tutti i sacerdoti, quindi, debbono avere cuore e mentalità missionaria, essendo aperti ai bisogni della Chiesa e del mondo» (n.14).

 

1.3. Inquadrata così l'identità del sacerdote, il Direttorio focalizza l'attenzione su alcuni aspetti particolari della realtà del presbitero, che caratterizzano la sua attuale azione.

Il presbitero deve esercitare un ministero nei confronti dei fedeli che deve essere essenzialmente pastorale, rifuggendo da due opposte tentazioni: quella di spadroneggiare sul gregge e quella del cosiddetto 'democraticismo' (vanificazione della propria configurazione a Cristo Capo e Pastore) (nn. 16-18).

Il presbitero deve realizzare nella prassi la comunione ecclesiale a tutti i livelli: «con il Papa, con il Corpo episcopale, con il proprio Vescovo, con gli altri presbiteri», con i membri degli Istituti di vita consacrata, «con i fedeli laici» (nn. 21-31).

 

1.4. Insieme alla considerazione dell'identità, il Direttorio ci ha già introdotti, con alcune tracce, anche negli atteggiamenti, nei modi di essere del presbitero, che sono in stretta connessione con quello che egli è.

Ma ciò che il sacerdote è e ciò che egli deve fare ha bisogno di essere focalizzato in un richiamo specifico, desumibile dalla profondità del suo essere nella conformazione a Gesù Cristo, perché il modo di riferirsi alla Trinità, a Cristo, allo Spirito e alla Chiesa, che è sostanzialmente comune a tutti i fedeli cristiani, in lui presenta una dimensione particolare.

 

2. La chiamata alla 'spiritualità-santificazione' dei presbiteri: il titolo specifico.

 

2.1 Nella catechesi del mercoledì 1° dicembre 1993, il Papa Giovanni Paolo II ha ricordato: «Alla base di qualsiasi spiritualità cristiana non possono non porsi le parole di Gesù sulla necessità di una unione vitale con lui: 'Rimanete in me. Chi rimane in me, ed io in lui, questi produce molto frutto' (Gv 15, 5).E' significativa la distinzione, a cui il testo allude, tra due aspetti dell'unione: c'è una presenza di Cristo in noi, che dobbiamo accogliere, riconoscere, desiderare sempre di più, lieti se qualche volta ci è dato di sperimentarla in modo particolarmente intenso; e c'è una presenza di noi in Cristo, che siamo invitati ad attuare mediante la nostra fede e il nostro amore»[14].

Questa unione vitale con Gesù è la sostanza, l'essenziale della cosiddetta vita spirituale: se lui è santo, chi a lui si unisce diventa santo e deve essere santo.

All'unione tutti i fedeli cristiani sono chiamati. Il chierico vi è chiamato con un titolo nuovo, cioè con un dono, una ragione, una motivazione in più, che esige una espressione visibile di santità con specifiche forme e modalità[15].

L'esortazione apostolica Pastores dabo vobis, al n.19, dopo aver richiamato che «tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità» (LG 40), afferma che questa chiamata «trova una sua particolare applicazione per i presbiteri: essi sono chiamati alla santità non solo in quanto battezzati, ma anche e specificamente in quanto presbiteri, ossia ad un titolo nuovo e con modalità originali, derivanti dal sacramento dell'Ordine»[16].

 

2.2. La Pastores dabo vobis si richiama al decreto Presbiterorum Ordinis, per ricordare che «con il sacramento dell'Ordine i presbiteri si configurano a Cristo sacerdote come ministri del Capo, allo scopo di far crescere ed edificare tutto il Corpo che è la Chiesa...» e ancora che «i sacerdoti sono specialmente obbligati a tendere a questa perfezione, poiché essi - che hanno ricevuto una nuova consacrazione a Dio mediante l'ordinazione - vengono elevati alla condizione di strumenti vivi di Cristo eterno Sacerdote...», agiscono «a nome e nella persona di Cristo stesso», fruiscono «di una grazia speciale», per cui mentre sono a servizio del Popolo di Dio possono «avvicinarsi più efficacemente alla perfezione di Colui» che rappresentano e «l'umana debolezza viene sanata dalla santità di lui...»[17].

Il sacerdote, pertanto, è chiamato in modo specifico alla santità, perché in modo specifico è reso segno, rappresentante, del santo Gesù.

Si ama dire che l'essenza del ministero sacerdotale consiste nel riferimento a Cristo sacerdote. Il sacerdozio ministeriale esiste per permettere al sacerdozio di Cristo, cioè a Cristo Capo in persona, di essere ancora oggi alla 'portata' di coloro ai quali è rivolto, attraverso lo strumento di specifiche umanità (quelle degli uomini resi sacerdoti), alle quali viene concesso un particolare dono dello Spirito.

Il sacerdote è segno, rappresenta Cristo Capo. Ciò costituisce ed esige un 'essere con', un 'agire assieme' al Cristo, in un peculiare modo.

Le parole rivolte da Gesù a Filippo: «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14, 9), sintetizzano il mistero e la missione di Gesù. Le parole rivolte da Gesù ai discepoli, la sera del giorno della risurrezione: «Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi» (Gv 20, 21), sintetizzano il mistero e la missione della Chiesa e dei chierici in essa.

Come Gesù non è venuto a sostituire un Dio assente, ma a dare al Padre una pienezza di presenza tra gli uomini, così i presbiteri non sono mandati per rimpiazzare Gesù, ma per consentire a lui, attraverso quel segno e strumento che è la loro umanità di diaconi, preti, vescovi, la pienezza della sua azione personale, unica ed insostituibile.

 

2.3. Proprio perché questa è la struttura essenziale di identità e di missione del chierico, per assumerla occorre che l'uomo sia oggetto di una particolare chiamata, di una particolare consacrazione, di una particolare missione.

L'amore di Gesù raggiunge tutti con una specifico 'sguardo amorevole' e con la specifica 'pronuncia del nome di ciascuno', con una chiamata che è risuonata nella profondità del cuore, dal segno inconfondibile di un atto di amore suo per essi, che ha richiamato ed aiutato la loro risposta d'amore. E' sempre lui che fa il primo 'passo' e che aiuta a seguirne le orme. Il chierico è un fedele cristiano a cui è rivolta una vocazione specifica.

Seguendo la sua voce e il suo passo, con l'aiuto della sua grazia, l'uomo chiamato arriva al momento in cui decide, con un atto di libertà personale, di chiedere a Gesù di consacrarlo per lui, per il suo Regno. Questa consacrazione, significata ed attuata dal sacramento dell'Ordine, ha creato un nuovo legame con lui, una unione specifica; ha reso più perfetta la consacrazione battesimale: più piena e più ricca perché è la donazione cosciente e libera di tutta la persona a lui, amato sopra ogni cosa, donazione che fa divenire sua 'proprietà' assoluta, suoi 'alter ego', in senso sacramentale.

La vocazione e la consacrazione, nel disegno di Dio, non hanno mai un fine chiuso all'interno della persona, ma generano sempre una particolare missione, corredata da specifici doni di grazia. La chiamata e la consacrazione sacerdotale 'rendono' e 'spingono' ad essere segno di Cristo, in senso ministeriale, concretizzandosi ed esprimendosi in variegate e singolari modalità di servizio, che, però, promana da un nucleo essenziale, al quale devono restare imperniate[18].

Così ritorna l'idea: se questo è il chierico, egli deve essere, nella vita ('esse et operari') come Colui di cui è segno, ed essenzialmente per l'aspetto di cui è segno e strumento.

 

 

3. Dal titolo specifico alla spiritualità specifica

 

La struttura costitutiva del chierico e la sua missione peculiare al servizio della Chiesa, esigono che egli sia realmente un uomo 'spirituale', tanto nella sua realtà personale quanto nelle attività richieste al suo ministero[19].

È evidente che, proprio per questo, l'itinerario spirituale (o il 'lavoro' spirituale) del chierico non può essere definito partendo solo dalla missione o solo dalla sua realtà personale, staticamente considerata. La struttura personale e il ministero (per il quale si dà la prima) sono strettamente connessi: più la mia struttura personale è conosciuta e accolta e si arricchisce, nel senso della santificazione, e più si concretizza in un ministero ricco, fatto di tante azioni pastorali, cioè di azioni di Dio tramite la persona fisica del chierico; più il ministero è 'organizzato' in senso cristiano-sacerdotale e più diventerà sorgente di grazia per il chierico e gli farà 'sentire' la necessità di arricchire in santità la propria struttura personale[20]. Ambedue le realtà (la mia 'natura essenziale' e le mie azioni) sono soggette agli influssi esterni, i quali interagiscono con esse sia in senso positivo che in senso negativo.

Pertanto, la 'spiritualità' del chierico deve essere attenta ad entrambe, poiché tutte e due sono in connessione con la multiforme grazia dello Spirito Santo, simultaneamente, il mezzo ed il fine[21].

Il Direttorio così sintetizza l'esigenza della vita spirituale dei presbiteri: essi «manterranno vivo il loro ministero con una vita spirituale, alla quale daranno l'assoluta preminenza, evitando di trascurarla a motivo delle diverse attività. Proprio per poter svolgere fruttuosamente il ministero pastorale, il sacerdote ha bisogno di entrare in una particolare e profonda sintonia con Cristo buon Pastore, il quale solo, resta il protagonista principale di ogni azione pastorale» (n.38)[22].

Questa 'vita spirituale' deve essere 'costruita' ispirandosi ad una specifica 'spiritualità' o 'via spirituale', che, per essere autentica, deve scaturire dalla 'struttura' stessa del sacerdozio ministeriale e deve essere adatta a far esprimere il chierico in maniera efficace, in rapporto alle esigenze e ai fini del ministero medesimo.

Giova qui richiamare S. Francesco di Sales. Conosciamo la sua classica precisazione circa la devozione, il cui significato è certamente traducibile oggi con 'spiritualità': «La devozione deve essere praticata in modo diverso dal gentiluomo, dall'artigiano, dal domestico, dal principe, dalla vedova, dalla donna non sposata e da quella coniugata. Ciò non basta, bisogna anche accordare la pratica della devozione alle forze, agli impegni e ai doveri di ogni persona... Sarebbe conveniente se il vescovo volesse vivere in una solitudine simile a quella dei certosini? E se le donne sposate non volessero possedere nulla come i cappuccini? Se l'artigiano passasse tutto il giorno in chiesa come il religioso, e il religioso si esponesse a qualsiasi incontro per servire il prossimo come è dovere del vescovo? Questa devozione non sarebbe ridicola, disordinata e inammissibile?»[23].

Per 'fare' un sacerdote lo Spirito dona ad un uomo un 'insieme di grazie', costituito da quelle comuni a tutti i fedeli cristiani, in ordine all'essere cristiano e da quelle specifiche, in ordine al servizio ministeriale proprio del sacerdote e alle particolari circostante di luogo e di tempo in cui esso si concretizza. Tale insieme di grazie comporta quelle adeguate risposte del sacerdote che costituiscono la sua spiritualità o santificazione.

 

II. sistematica della spiritualità sacerdotale

 

1. Definizione

 

Alla luce delle coordinate che abbiamo sopra tracciato, diventa possibile dedurre una definizione descrittiva della spiritualità sacerdotale, che, facendo riferimento alla 'res' del chierico, esprima l'attività da essa esigita.

La spiritualità di un fedele cristiano divenuto sacerdote in virtù del sacramento dell'Ordine sacro è il lavoro[24] che gli è richiesto, perché manifesti (esprima, attui) esistenzialmente (nella vita quotidiana) sia i doni che lo Spirito gli ha dato con i sacramenti, sia quelli che gli ha donato come creatura e che continuamente gli dona nelle circostanze attuali.

Presupposto il soggetto portante, la prima parte della definizione richiama il lavoro che un sacerdote deve fare per esprimere la 'forma' che ha in comune con tutti i fedeli cristiani e con tutti i presbiteri; la seconda parte, invece, indica il lavoro che gli è richiesto perché esprima sia i doni dati a lui singolarmente, come persona specifica, sia quelli che in modo attuale gli vengono donati, nelle concrete situazioni di vita (ufficio, tempo, luogo), in vista della comprensione e della realizzazione, 'hic et nunc', della volontà di Dio, sempre per l'utilità comune.

È certamente importante che il chierico sappia quale è il suo essere, ma è altrettanto importante che egli sappia cosa deve fare per esprimere il suo essere. La risposta alla prima questione ci fa conoscere il 'proprium' della sua 'vita spirituale' (la santità donata); la risposta alla seconda ci indica la strada da percorrere per esprimerla, cioè la 'spiritualità' (la santificazione).

Riprendiamo qui, per una esposizione sistematica, la 'res' propria del chierico e, più in particolare, del presbitero, per giungere poi a tracciare le dimensioni della spiritualità di quest'ultimo.

 

2. La 'res' del chierico

 

2.1. In genere

 

2.1.1. In modo plastico e sintetico possiamo dire: egli è un fedele cristiano divenuto chierico mediante il conferimento del sacramento dell'Ordine, che agisce nella realtà quotidiana per un servizio ministeriale a favore della Chiesa. Pertanto, il chierico è un soggetto uomo che si presenta costituito da: una struttura cristiana, una struttura sacerdotale e una struttura personale specifica, armonizzate in una sola realtà.

La struttura o 'forma' cristiana è la partecipazione alla vita divina, donata dallo Spirito con il sacramento del Battesimo (corroborata, restaurata, alimentata da altri sacramenti).

La struttura o 'forma' sacerdotale è lo specifico dono di grazia che viene dato dallo Spirito con il sacramento dell'Ordine sacro.

La struttura o 'forma' personale è costituita dai doni particolari concessi dallo Spirito alla persona singola, con l'atto della creazione, e dai doni di grazia attuali, con i quali lo stesso Spirito previene, accompagna e porta a compimento la sua azione di ogni giorno[25].

 

2.1.2. La descrizione contenutistica dello specifico sacerdotale, come abbiamo già rilevato, ha trovato diverse modalità espressive. L'immagine o 'forma' del sacerdozio ministeriale, che la Chiesa ha percepito ed espresso nel corso dei secoli, ha conosciuto una molteplicità di edizioni esterne molto differenti, pur se sulla falsariga di una tracciato sempre stabile. Talvolta l'accentuazione è andata all'uomo del sacrificio e del culto, tal'altra al mediatore, tal'altra al profeta o, ancora, al consacrato, o, infine, al segno e strumento[26].

Con una notevole efficacia rappresentativa, il Codice di diritto canonico afferma che i chierici sono consacrati affinché «dispensatores sint mysteriorum Dei in servitium eius populi» (can. 276), individuando così, con una sola espressione, in modo generale, l'essere del presbitero[27].

Giovanni Paolo II, nella prima delle tre meditazioni proposte nel ritiro ai preti, nella cripta di Ars, così ha presentato «la triplice missione sacerdotale, indispensabile alla Chiesa:

- quella di annunciatore della Buona Novella: far conoscere Gesù Cristo; porsi in rapporto autentico con Lui; vegliare sull'autenticità e la fedeltà della fede, perché non abbia dei cedimenti, non sia né alterata, né sclerotizzata; e anche mantenere nella Chiesa lo slancio evangelizzatore, formare allo apostolato;

- quella di dispensatore dei misteri di Dio: renderli presenti in modo autentico, in particolare il mistero pasquale attraverso l'Eucarestia, e il perdono; permettere ai battezzati di accedervi, e prepararli ad essa. A tali ministeri, i laici non potranno mai esser delegati; è necessaria un'ordinazione sacerdotale, che consenta d'agire in nome di Cristo-Capo;

- quella infine di Pastore: costruire e mantenere la comunione tra i cristiani, nella comunità che ci è affidata, insieme alle altre comunità diocesane, tutte in collegamento con il successore di Pietro. Prima di essere specializzato, in funzione delle sue competenze personali e in accordo col suo Vescovo, il sacerdote è infatti il ministro della comunione: in una comunità cristiana che rischia spesso di disintegrarsi o di chiudersi, egli assicura allo stesso tempo il raduno della famiglia di Dio e la sua apertura. Il suo sacerdozio gli conferisce il potere di guidare il popolo sacerdotale (cfr. Lettera del Giovedì Santo 1979, n.5)»[28].

In schema, seguendo le tre caratteristiche del popolo di Dio (popolo sacerdotale, profetico e regale), potremmo dire che lo specifico del chierico, rispetto agli altri fedeli cristiani, è:

- essere dispensatore dei misteri di Dio;

- essere annunciatore del Vangelo in forma pubblica (a nome della Chiesa);

- essere servitore 'a tempo pieno' del popolo di Dio, assumendo un ufficio ministeriale di responsabilità, secondo la missione assegnatagli dalla Chiesa.

L'essere del chierico si concretizza poi in particolari compiti, sia per la 'gradualità' di partecipazione sacramentale (diacono, presbitero, vescovo), sia per la diversità delle chiamate (chierico religioso - chierico secolare), sia per la multiforme varietà di mansioni, che possono essere svolte a servizio del popolo di Dio. La volontà di Dio, per ciascuno, si esprime nell'oggi, nell'attualità della propria azione. Per questo lo Spirito attualizza la sua grazia, rendendo possibile e accompagnando la risposta concreta che ognuno deve dare, ad esempio, come parroco ora, come vicario parrocchiale ora, come vicario giudiziale ora, ecc., per portarla alla piena attuazione[29].

 

2.2. Nel presbitero

 

2.2.1. Fermiamoci in modo particolare a considerare gli aspetti di specificità che riguardano più direttamente il solo presbitero[30].

a) L'essere dispensatore dei misteri di Dio, comporta che il presbitero non è solo un 'fruitore'. Egli ha ricevuto dallo Spirito una dimensione di vita caratteristica che gli dona la 'capacità' (che altrimenti non avrebbe) di compiere alcuni atti, nella persona stessa di Gesù Cristo, quali sono la celebrazione dell'Eucarestia, della Confermazione (anche se solo in determinati casi), della Riconciliazione o Penitenza, dell'Unzione degli infermi. Inoltre, a lui, in subordinazione al vescovo, sono demandate le consacrazioni, le dedicazioni, le benedizioni e gli esorcismi e una particolare partecipazione nell'espressione del culto pubblico[31].

b) L'annuncio del Vangelo è compito di tutti i fedeli cristiani. Tuttavia, il canone 757 del Codice di diritto canonico, stabilisce che è «compito proprio dei presbiteri, che sono i cooperatori dei vescovi, annunziare il Vangelo di Dio; sono tenuti a questo dovere verso il popolo loro affidato soprattutto i parroci e gli altri a cui è demandata la cura delle anime; spetta anche ai diaconi essere al servizio del popolo di Dio nel ministero della parola, in comunione col Vescovo e col suo presbiterio». In particolare è riservata ai presbiteri (insieme ai diaconi) quella forma di predicazione che viene detta 'omelia'; ad essi, come pastori d'anime, in modo particolare, è fatto «dovere proprio e grave ... di curare la catechesi del popolo cristiano» e di «provvedere efficacemente perché tutti i fedeli possano beneficiare dell'educazione cattolica»[32].

c) Il servizio ministeriale proprio che è richiesto al presbitero è quello di assumere nella Chiesa quei 'ruoli' di responsabilità, per i quali o la natura delle cose o la legislazione della Chiesa esigono l'Ordine sacro. Molti, inoltre, sono i compiti specifici dei presbiteri. Essi sono costituiti, nel presbiterio e nel Consiglio presbiterale (che ne è la forma storica rappresentativa), quali necessari cooperatori del Vescovo nel governo della Chiesa particolare e nella sollecitudine per tutta la Chiesa (missionarietà)[33]; solo essi possono far parte del Collegio dei Consultori, organismo con compiti di tipo 'governativo', e del Capitolo dei Canonici, collegio con peculiare funzione liturgica e, in alcuni casi, anche con compiti di altro genere[34]; solo ad essi possono essere conferiti quegli uffici ecclesiastici che comportano la piena cura d'anime o anche altri uffici, secondo la scelta operata dalla legislazione della Chiesa[35].

Nell'esercizio concreto del suo servizio ministeriale, molto spesso, il presbitero esercita altri compiti non connessi con l'Ordine sacro, né per la natura della cose né per disposizione legislativa, ma che egli è chiamato a svolgere per indicazione del proprio Ordinario oppure per necessità contingenti o per scelta personale. Se descrivessimo la situazione di fatto di ciò che 'fanno' i presbiteri per esprimere il loro servizio attuale alla Chiesa, potremmo individuare anche una serie di compiti che hanno solo un collegamento di 'convenienza' con l'Ordine sacro (ad esempio, insegnante di religione cattolica nella scuola statale, addetto o officiale della curia...), oppure che non hanno nessuna connessione (insegnante di materie 'profane', preside di scuola pubblica, presidente di Istituto per il sostentamento del clero...).

È evidente che pure in questi compiti il presbitero 'trascina' con sé anche il suo essere chierico, con tutte le implicanze, sia in ordine al suo 'modus vivendi' sia in ordine ad alcuni rapporti che, vincolandone la persona, condizionano gli stessi uffici che essa svolge[36].

 

2.2.2. Quando consideriamo il presbitero in azione pastorale, non possiamo mai distaccare il suo essere e il suo agire personali dall'azione dello Spirito che è in lui e che lo accompagna, fatta salva la dimensione del peccato.

Lo 'spirito geometrico' può anche distinguere, nell'essere e nell'operare del presbitero, una diversa 'gradazione' di presenza e di coinvolgimento dello Spirito Santo, a secondo degli atti che il medesimo presbitero è chiamato a compiere: negli atti connessi ai sacramenti egli agisce 'in persona Christi' nel senso pieno, in quanto è lo stesso Spirito di Cristo che opera sui soggetti terminali del sacramento, servendosi delle parole e dei segni del ministro; negli altri atti può essere considerata 'prevalente' o 'equivalente' la dimensione personale del presbitero, nella quale lo Spirito si inserisce con un dono di grazia, che rende possibile l'efficacia 'spirituale' di quanto l'uomo fa e dice. Tuttavia, occorre sempre mettere in risalto che ogni atto che il presbitero compie, eccetto il peccato, è sempre un atto 'pastorale', cioè è sempre un atto compiuto da una 'forma ministeriale', da un 'uomo reso ministro', da un uomo che agisce 'con' e 'accompagnato' da una presenza tipica dello Spirito di Cristo.

È questo 'essere ministeriale' ontologico, costituito da ciò che è sempre presente in quanto dato dal carattere sacramentale e da ciò che è attualmente dato per l'esigenza dell'azione, che diventa il parametro per individuare quel 'lavoro', che dipende dalla libertà personale e che, nel misterioso disegno divino, costituisce la 'parte' propria del presbitero per l'efficacia della grazia dello Spirito.

La spiritualità del presbitero diventa, quindi, una esigenza per rendere se stesso, quale persona libera nella quale avviene l'incarnazione di particolari doni ministeriali dello Spirito, strumento il più adeguato possibile perché gli stessi doni producano il frutto desiderato.

 

3. La spiritualità del presbitero

 

3.1. Il rito dell'Ordinazione del presbitero, dopo l'imposizione delle mani, prevede la «Preghiera di ordinazione». In essa vengono formulate alcune richieste che, con brevi tratti, sintetizzano la missione propria del presbitero in due direzioni: nell'adempimento fedele del «ministero del secondo grado sacerdotale» e nella «comunione di fede e di opere con l'ordine episcopale»[37]. Per la realizzazione di tale missione, già lo abbiamo rilevato, egli ha ricevuto il dono di una nuova consacrazione, mediante un particolare dono dello Spirito[38].

Le azioni del presbitero, per essere vere, devono fondarsi ed essere costantemente collegate sia con la propria realtà strutturale e sia con le esigenze della missione specifica a cui è chiamato[39].

Quando usiamo il termine 'presbiteri' ci riferiamo ad ambedue le categorie fondamentali di persone a cui esso può venire applicato: i diocesani e i religiosi. Evidentemente le linee di spiritualità che li riguardano si presentano con alcuni aspetti diversificanti, essendo diverso il grado di vincolo esistente con la Chiesa particolare e il suo Vescovo (o Ordinario) e con la comunità cristiana destinataria del ministero, così come essa si trova strutturata nell'organizzazione interna della Chiesa particolare.

Tuttavia è possibile individuare alcune componenti di spiritualità che sono comuni a tutti i presbiteri.

Lo schema riassuntivo del lavoro spirituale che ogni presbitero è chiamato a compiere, per 'natura' e per 'missione', può essere così espresso:

a) il presbitero è chiamato al compimento di tutti quegli atti, o ad assumere quelle situazioni di vita, che sono esigiti dalla spiritualità cristiana, per la manifestazione della santità battesimale (la purificazione dal peccato, l'esercizio delle virtù e dei doni dello Spirito, la vita di preghiera, ecc.)[40];

b) il presbitero è chiamato al compimento di alcuni atti specifici, che gli sono richiesti per rendere maggiormente evidente (per il nuovo titolo della consacrazione sacerdotale) la sua unione personale con Cristo e con Maria. Si tratta di un particolare modo di lottare contro il peccato (con un diverso modo di vivere il sacramento della Riconciliazione), di dar lode a Dio nella preghiera (con 'pratiche' di pietà specifiche come, ad esempio, la 'Liturgia delle Ore'), di venerare e ricorrere a Maria in ogni aspetto della sua vita, di sentirsi e di esprimere, nella Chiesa, la comunione dei santi, utilizzando tutti i 'mezzi' in essa disponibili[41];

c) il presbitero è chiamato al 'lavoro' richiesto per adeguare la sua persona alle esigenze del carattere sacerdotale, ricevuto nell'ordinazione, con l'accoglienza e la realizzazione dei contenuti della povertà, del celibato e dell'obbedienza, come 'status' personale che la Chiesa richiede a chi è chiamato al sacerdozio ministeriale[42];

d) il presbitero deve essere debitamente e permanentemente preparato e deve adeguatamente svolgere tutto ciò che è richiesto dal suo ministero pastorale, che comprende:

- la celebrazione dei sacramenti a lui affidati[43],

- la predicazione, nel senso ampio del termine, della Parola di Dio[44],

- l'esercizio della carità pastorale[45];

all'interno del ministero, poi, deve compiere tutto ciò che è richiesto dall'ufficio specifico che gli è stato affidato[46];

e) il presbitero deve attuare concretamente la particolare comunione che lo vincola al Collegio Episcopale e, in esso, in forma speciale, al Papa e al proprio Vescovo o Ordinario[47];

f) il presbitero deve mettere in atto tutto ciò che fa esprimere la sua particolare comunione di fraternità con i membri dell'ordine presbiterale e, in esso, in forma speciale, con il proprio presbiterio diocesano[48];

g) il presbitero è chiamato al compimento di tutto ciò che serve a realizzare la piena comunione con tutto il popolo di Dio, con le espressioni della vita consacrata e con i fedeli laici, rispettando e valorizzando l'essere e i compiti propri di ciascuno[49];

h) il presbitero deve mettere in atto la sua funzione di 'mediatore' tra Dio e il popolo, in particolare quella porzione di fedeli che è affidata alle sue cure pastorali dirette[50];

i) il presbitero deve curare anche la dimensione strettamente missionaria, sia per la porzione di popolo di Dio che gli è affidata sia per tutta la Chiesa[51]

 

3.2. E' opportuno ribadire, ancora una volta, che l'applicazione concreta della 'spiritualità presbiterale' diventa autentica nella misura in cui essa tende a tradurre in forma armonica il 'lavoro' richiesto per realizzare tutte le dimensioni di cui si compone.

Un presbitero parroco che fosse esemplare nella cura della propria parrocchia, ma che fosse 'assente' dagli atti espressivi della comunione all'interno del presbiterio diocesano, quali ad esempio incontri di formazione permanente o ritiri spirituali, oppure che assumesse atteggiamenti di disobbedienza o di rottura col proprio Vescovo o con il Papa, sarebbe certamente mancante in ordine a un aspetto della sua spiritualità, che ridonderebbe in modo negativo sul 'tutto' di sé[52].

La stessa valutazione deve essere fatta per un vicario parrocchiale, a cui fosse affidata la cura di un 'oratorio', frequentato da molti ragazzi e giovani, che assumesse una vita 'da certosino' e trascurasse così il rapporto diretto e organizzativo con il suo compito specifico, oppure anche per un presbitero che si lasciasse talmente assorbire dalle sue attività 'per le anime' che gli sono affidate, da trascurare la sua vita di preghiera personale.

 

3.3. Un accenno particolare merita una problematica che, ogni tanto, si ripresenta, sia dal punto di vista teorico sia negli atteggiamenti concreti dei singoli. Si tratta del rapporto tra il presbitero e le varie 'spiritualità', così come si sono fissate in 'scuole di spiritualità' (francescana, benedettina, carmelitana, passionista, ecc.) o come, ogni tanto, si generano 'ex novo' nella Chiesa per la libera azione dello Spirito.

Ovviamente il problema non si pone per i presbiteri francescani, benedettini, carmelitani, ecc., né per quei presbiteri che appartengono a specifiche istituzioni, anche non di vita consacrata, che hanno nella Chiesa una finalità specifica, connotata inevitabilmente da indirizzi spirituali caratteristici (filippini, lazzaristi, sulpiziani, eudisti, ecc.).

La questione, invece, assume una certa rilevanza per quanto riguarda i presbiteri diocesani, cioè quei presbiteri che sono a totale servizio ministeriale di una Chiesa particolare, sotto la diretta autorità di un Ordinario diocesano.

Senza dilungarci molto, si può affermare un principio direttivo.

Non è discutibile, in tal caso, che la spiritualità fondamentale e indispensabile deve essere quella del presbitero come sopra è stata esposta, con uno specifico riferimento al presbiterio e all'Ordinario diocesani. Le eventuali altre spiritualità devono intendersi unicamente come 'tonalità' specifiche che, in tanto possono essere assunte dal presbitero in quanto lo aiutano a mettere in atto la sua spiritualità di presbitero diocesano. Le altre spiritualità non possono divenire 'primarie' rispetto a quella propria; se ciò dovesse accadere, il presbitero dovrebbe sentirsi 'fuori posto', o perché 'mancante' o perché portatore di altra vocazione.

Naturalmente le problematiche non vanno esasperate. La spiritualità dei cristiani, per buona parte, è comune a tutti: chierici, consacrati, laici, passionisti o sulpiziani o altro. Molte delle accentuazioni possono essere vissute, armonizzandole con i propri compiti primari.

Ma, poiché le 'confusioni' talvolta sono tali da generare sfasature nei comportamenti pratici, è bene affermare con chiarezza che un presbitero diocesano non è un monaco, né un religioso, né alcunché d'altro che istituzioni o associazioni propongano; esso è un presbitero diocesano e la sua realizzazione spirituale autentica si ha solo quando attua pienamente ciò che è e ciò per cui è mandato, all'interno del suo presbiterio, senza il bisogno di 'vestirsi' con panni d'altri.

 

4. I protagonisti della spiritualità-santificazione

 

4.1. Nelle precedenti considerazioni abbiamo dovuto fare riferimento, molto spesso, da una parte a Gesù Cristo, allo Spirito Santo, come soggetto che dona e che accompagna e porta a compimento il dono, e dall'altra al presbitero come soggetto che riceve e che liberamente risponde al dono ricevuto. La spiritualità, intesa nel suo aspetto esistenziale, può essere paragonata al lavoro richiesto per costruire, riparare e abbellire il proprio 'edificio spirituale[53].

Una sistematica della spiritualità presbiterale, come del resto di qualsiasi spiritualità, non può prescindere dal tenere presenti i soggetti personali che interagiscono nel lavoro richiesto dalla costruzione dell'edificio spirituale, perché devono essere sempre evidenti le forze a cui ci si deve rivolgere e sulle quali si può e si deve contare.

 

4.2. È fuori di dubbio che l'edificio della nostra santità personale 'storica' è il frutto di una molteplicità di interventi, messi in atto da persone o influenzati da avvenimenti. Dalla nascita alla morte è un intreccio continuo, che coinvolge la nostra 'natura' e le persone, le cose, i fatti, le illuminazioni, con i quali essa si imbatte. Tutto concorre a modellarci, a strutturarci. La nostra 'storia', in un certo senso, cambia, plasma la nostra 'natura. Tutto può contribuire a portare a pienezza la santità che, in essenza, ci è stata donata nel Battesimo.

Ci è già chiaro, tuttavia, che i protagonisti principali di questa grande opera, che trasforma e qualifica il nostro essere e il nostro operare, che influenza quindi i nostri singoli atti, offrendo al di fuori di noi una specifica 'immagine', vanno ricondotti a due: lo Spirito Santo e la persona soggetto-fedele cristiano.

 

4.3. Giovanni Paolo II, nella catechesi già richiamata del mercoledì 1 dicembre 1993, ha ricordato che l'unione «con Cristo è dono dello Spirito Santo, il quale la infonde nell'anima che l'accetta e l'asseconda sia nella contemplazione dei divini misteri, sia nell'apostolato che tende a comunicare la luce, sia nell'azione a raggio personale e sociale (cf. san Tommaso d'Aquino, Summa Theol. II-II, q.45, a.4)».

Non dobbiamo mai dimenticare che l'identificazione di un uomo con Gesù Cristo Sacerdote è un fatto e un compito che vanno al di là della natura e delle abilità umane. Tale identificazione non sarebbe possibile e rimarrebbe incompleta se non potessimo contare sul dono e sull'aiuto di Dio, attraverso l'azione del suo Spirito Santificatore.

La nostra santità esistenziale è il risultato di un processo lento, laborioso, con momenti di speditezza e di gioia che si alternano a momenti di regresso o di stasi, di afflizione, di luce o di oscurità.

Nessuno, all'infuori dello Spirito Santo, può sostenere adeguatamente, riparare ed incoraggiare dal di dentro lo sforzo di chi si è messo in cammino sulle orme di Gesù, di chi, come lui, viene consacrato e mandato.

 

4.4. L'opera misteriosa dello Spirito Divino rispetta con amore e si inserisce nella libertà che ci ha dato nel crearci a sua immagine e somiglianza.

Il presbitero deve essere sempre consapevole che anch'egli è un protagonista della sua santità, anzi che ne è il primo interessato e il primo responsabile nell'ordine umano. È lui, che è soggetto personale dell'amore di Dio, che è stato chiamato alla consacrazione; è lui, che con un atto umano libero ha dato la sua risposta, che ha accettato la consacrazione sacerdotale e la missione, che attuerà nella vita una testimonianza più o meno fruttuosa a seconda della santità che avrà acquisito e che andrà acquisendo esistenzialmente, costituendo un grado di unione con Dio, che entrerà a influenzare la sua vita.

Lo Spirito che ci è donato per una missione, richiama, esige il nostro apporto perché i suoi doni si realizzino efficacemente in noi a bene di quelli per il cui servizio siamo resi ministri e ai quali siamo mandati.

Il richiamo alla nostra collaborazione nell'opera della nostra santificazione, ci rimanda alla 'verità' della realtà della nostra vita con la attuale presenza del peccato. Il presbitero, come ogni fedele cristiano, sa che deve essere santo, ma sperimenta quotidianamente la sua fragilità, che lo porta, a volte, a lasciarsi ingannare da altri miraggi, ad essere coinvolto in ciò che è del mondo «la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita» (1 Gv. 2, 16)[54].

La chiara percezione di quali siano i protagonisti è indispensabile per impostare una armonica spiritualità, sia per evitare un inutile lavoro per una impossibile spiritualità autonoma, sia per acquisire la serenità necessaria difronte ad una lavoro che diventa possibile e fruttuoso solo perché è reso fattibile dalla presenza di Colui che è capace di portarlo a compimento.

 

Mons. Mario Marchesi

Sotto Segretario del Pontificio Consiglio

 per l'Interpretazione dei Testi Legislativi



[1] Traduzione di una definizione di M. Dupuy, "Spiritualité" (voce), in Dictionnaire de Spiritualité, Paris, 1990, fasc. XCV, col. 1162. Per una esposizione chiara ed essenziale del significato di 'spiritualità' si veda tutta la trattazione della voce corrispettiva, esposta unitamente a A. Solignac. Con molta chiarezza si dice che la 'vita spirituale' è la vita divina partecipata, per dono, alla creatura umana.

[2] S. De Fiores, "Spiritualità contemporanea" (voce), in Dizionario di Spiritualità, Roma, 1979, p.1525. La comprensione di questa definizione presuppone la spiegazione della 'coincidenza' e della 'qualità'.

[3] Traduzione di una definizione di A. Solignac, Sainteté-Sanctification de l'homme, in o. c., fasc. XCI, col.192. Non è difficile, anche se le espressioni sono diverse, cogliere una somiglianza tra questa definizione e quelle date prima per la vita spirituale e la spiritualità.

[4]  Il termine 'spiritualità' ha assunto un significazione ordinaria soltanto in tempi recenti; basta notare che il Lessico Ecclesiastico Illustrato, edito dalla Vallardi, Milano, 1906, non riporta neppure la voce 'spiritualità' e che neppure nell'Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1953, è presente tale la voce, nonostante che il primo volume del Dictionnaire de Spiritualité, fosse già comparso nel 1937. Inoltre, nell'uso corrente, tale termine assume diverse sfumature di significato, a secondo del contesto (case di spiritualità - corsi di spiritualità - tempo di spiritualità - incontri di spiritualità, spiritualità benedettina...). «Dalle stesse materie che deve trattare, vediamo come la teologia ascetica e mistica è un ramo, ossia una parte della Teologia, un'applicazione della teologia alla condotta delle anime. Deve dunque procedere al lume della Rivelazione, perché questa sola permette di conoscere che cos'è la vita della grazia e l'unione soprannaturale dell'anima con Dio. Questa parte della teologia è soprattutto uno svolgimento del trattato dell'amor di Dio e di quello dei doni dello Spirito Santo, per mostrarne le applicazioni, o per condurre le anime all'unione divina...L'ascetica tratta soprattutto della mortificazione dei vizi o difetti e della pratica delle virtù. La mistica tratta principalmente della docilità allo Spirito Santo, della contemplazione infusa dei misteri della fede, dell'unione a Dio che ne risulta, ed ancora delle grazie straordinarie - come visioni e rivelazioni - che accompagnano talvolta la contemplazione infusa». (R. Garrigou - Lagrange, O.P., Le tre età della vita interiore, Roma, 1984, vol. I, pp.25-26).

[5] «I seguaci di Cristo, chiamati da Dio non in base alle loro opere ma al disegno della sua grazia, e giustificati nel Signore Gesù, col battesimo della fede sono stati fatti veri figli di Dio, resi pertecipi della natura divina, e perciò realmente santi». (LG, 40). Cfr., ad esempio, Rm 8, 14-17; Gal 3, 26-29; Ef 1, 1-5; Col 3, 12.

[6] Cfr., ad esempio, Mt 5, 48 e 1 Pt 1, 14-16.22-23. Si tenga, però, presente che, nel linguaggio parlato e scritto, assai spesso, i quattro termini non vengono sempre usati in modo chiaramente distinto.

[7] Cfr. i manuali di teologia della perfezione cristiana o i manuali della spiritualità cristiana. Se nel Battesimo riceviamo una vita soprannaturale, la spiritualità che ne è esigita si può descrivere esprimendo quale vita viene donata nel Battesimo e che cosa si esige perché essa sia 'viva' nell'agire concreto. Si veda, ad esempio, M. A. Royo, Teologia della perfezione cristiana, 1989, P.II, pp.93-43.

[8] «Ogni anima..., sotto la direzione e l'impulso dello Spirito Santo, segue la propria via nel cammino verso la santità. Non ci sono due fisionomie identiche nel corpo come nello spirito. Tuttavia, i maestri della vita spirituale, considerando le disposizioni predominanti nelle anime, hanno tentato delle classificazioni che non sono prive di utilità, quando si tratta di stabilire al grado approssimativo di vita spirituale raggiunto da un individuo in particolare. Tale conoscenza ha molta importanza nella vita pratica, giacché la direzione da dare ad un'anima che cammina per i primi gradi della vita spirituale è molto diversa da quella che conviene a delle anime più progredite e perfette» (M. A. Royo, o. c., p.345).

[9] Così, quando si descrive la spiritualità benedettina o carmelitana o francescana, si tratteggia quel particolare modo di esprimersi della spiritualità cristiana, che si è connotato di alcune 'focalizzazioni' particolari, le quali diventano tracce o modelli specifici, quasi ipostatizzati, che vengono assunti da un cristiano (o da più cristiani) come punti di riferimento vitale per se stesso.

[10] Cfr. M. A. Royo, o. c., P. III, pp.343-1022.

[11] Una esposizione completa sulla spiritualità sacerdotale si può vedere in A. Favale, Spiritualità del ministero presbiterale, Roma, 1985, pp. 176. Richiamiamo qui che si darà per presupposta la realtà 'naturale' dell'uomo, costituita dai doni di 'natura' che si hanno in quanto 'creature' e che esigono anch'essi un lavoro di adeguamento spirituale.

[12] Si veda, ad esempio, la lettera agli Ebrei.

[13] Congregazione per il Clero, Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri, Città del Vaticano, 1994; d'ora in poi sarà citato semplicemente come Direttorio.

[14] In L'Osservatore Romano, 2 dicembre 1993, p.6.

[15] La specifica posizione esistenziale ed istituzionale dei sacerdoti all'interno del popolo di Dio e il loro rapporto con Dio che sceglie è un dato teologico. Tutto Israele è 'popolo eletto' e a tutto Israele è rivolto il comando: «Siate santi, perché io, il Signore, Dio vostro, sono santo» (Lv 19, 2). Ma, all'interno del popolo, la tribù di Levi ha una condizione particolare, è scelta con un compito unico. Con la conquista della terra promessa, essa non ottiene una propria 'parte', è proprietà di Dio in un modo più specifico: «Così separerai i leviti dagli israeliti e i leviti saranno miei. Dopo, i leviti verranno a fare il servizio nella tenda del convegno... poiché mi sono tutti dediti tra gli israeliti». Tutti coloro a cui Gesù si rivolge sono chiamati ad «essere perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5, 48). Ma, tra tutti, Gesù «salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui. Ne costituì dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni» (Mc 3, 13-14; cfr. anche Mt 10, 1-4 e Lc 6, 12-16). Secondo Luca, i dodici sono scelti tra i discepoli. Questa scelta particolare comporta pure una missione singolare. L'accenno al nuovo titolo richiama quanto si dice anche a proposito della consacrazione mediante la professione dei consigli evangelici, così sintetizzata dal can. 573 del Codice di Diritto Canonico: i consacrati «...dedicandosi con nuovo e speciale titolo» all'onore di Dio, «alla edificazione della Chiesa e alla salvezza del mondo, sono in grado di tendere alla perfezione della carità nel servizio del Regno di Dio...».

[16] Ovviamente questo vale anche per i diaconi e i vescovi.

[17] PO, 12.

[18] Cfr. le chiamate di Geremia (Ger 1), di Isaia (Is 6), di Samuele (1 Sam 3), di altri profeti dell'A.T. e quelle degli apostoli.

[19] «Nell'attuale fase della vita della Chiesa e della società, i presbiteri sono chiamati a vivere con profondità il loro ministero, attese le sempre più profonde, numerose e delicate esigenze di ordine non solo pastorale ma anche sociale e culturale, alle quali devono far fronte» (Direttorio, n.34).

[20] «I presbiteri, infatti, sono ordinati alla perfezione della vita in forza delle stesse sacre azioni che svolgono quotidianamente, come anche di tutto il loro ministero, che esercitano in stretta unione con il vescovo e tra di loro. Ma la stessa santità dei presbiteri, a sua volta, contribuisce moltissimo al compimento efficace del loro ministero...» (PO, 12).

[21] «La parola 'spiritualità' ha due significati: essa indica sia le saggezze particolari che i santi... hanno impresso alla loro opera, sia lo spirito di una data realtà cristiana (il sacerdozio, il laicato, la consacrazione delle vergini, l'oblazione per la missione, la vita coniugale e familiare ecc.). Il Concilio usa questo secondo significato quando chiede ai sacerdoti, a tutti i sacerdoti (anche a quelli che si rifanno alla 'spiritualità' carmelitana o benedettina), di condurre una vita che corrisponda al loro ministero. Non si tratta quindi anzitutto di 'mezzi pii', ma della ripercussione del sacramento ricevuto sul modo di comportarsi, perché esista una coerenza profonda tra questo sacramento e la vita quotidiana del prete. Più che una semplice saggezza, questa spiritualità è il frutto di una realtà dogmatica» (A. Manaranche, I preti, Torino, 1996, p.132).

[22] «Vita spirituale», evidentemente, sta per 'spiritualità', cioè un insieme di atti che mantengono e sviluppano l'unione con Cristo, la santità donata dallo Spirito.

[23] Francesc di Sales, Introduzione alla vita devota, P. I, Cap. 3. Lo stesso autore scrive anche: «Se qualcuno si ponesse la domanda perché Dio abbia fatto i cocomeri più grossi delle fragole, o i gigli più grandi delle violette; perché il rosmarino non sia una rosa o perché il garofano non sia una calendola; perché il pavone sia più bello di un pipistrello, o perché il fico sia dolce e il limone aspro, si riderebbe delle sue domande e gli si direbbe: pover'uomo, siccome la bellezza del mondo richiede varietà, è necessario che nelle cose ci siano perfezioni diverse e differenziate e che l'una non sia l'altra; ecco perché le une sono piccole, le altre grandi, le une aspre, le altre dolci, le une più belle, le altre meno. Avviene lo stesso nelle cose soprannaturali: ognuno ha il suo dono, chi in un modo, chi in un altro, dice lo Spirito Santo. È dunque un'impertinenza voler sapere perché san Paolo non ha avuto la grazia di san Pietro o san Pietro quella di san Paolo; perché sant'Antonio non è stato sant'Atanasio e san Girolamo: chi fosse in grado di rispondere a queste domande direbbe che la Chiesa è un giardino colorato da una infinita varietà di fiori; è necessario che ce ne siano di diversa grandezza, di diverso colore, di diverso profumo e, insomma, di qualità diverse. Tutti hanno il loro pregio, la loro grazia, il loro splendore e tutti, visti nell'insieme delle loro varietà, costituiscono un meraviglioso spettacolo di bellezza» [Trattato dell'amor di Dio, (a cura di Ruggero Balboni), Milano, 1989, pp.201-202].

[24] Il lavoro inteso come «partecipazione all'opera di Dio» (Giovanni Paolo II, Laborem Exercens, n.25 - EV 7/1501). Esso diventa pertanto tutto ciò che serve ad adeguare la nostra realtà naturale e soprannaturale, la nostra storia, al dono di Dio e alla sua opera, così da essere idonei all'impegno richiesto dalla nostra specifica vocazione; oppure anche tutto ciò che serve per conservare e portare a compimento quanto lo Spirito ha fatto di noi con il Battesimo, la Cresima, l'Ordine, ...

[25] Non indugiamo sulla descrizione della prima realtà, poiché essa è comune a tutti i fedeli cristiani.

[26] «L'identità del sacerdote... deriva dalla partecipazione specifica al Sacerdozio di Cristo, per cui l'ordinato diventa, nella Chiesa e per la Chiesa, immagine reale, vivente e trasparente di Cristo Sacerdote, 'una rappresentazione sacramentale di Cristo Capo e Pastore'. Attraverso la consacrazione, il sacerdote 'riceve in dono un «potere spirituale» che è partecipazione all'autorità con la quale Gesù Cristo, mediante il Suo Spirito, guida la Chiesa'. Questa sacramentale identificazione con il Sommo ed Eterno Sacerdote inserisce specificamente il presbitero nel mistero trinitario e, attraverso il mistero di Cristo, nella comunione ministeriale della Chiesa per servire il Popolo di Dio» (Direttorio, n.2). La prospettiva del presbitero come segno e strumento di Cristo, per un particolare aspetto del mistero della redenzione ('capo' della comunità), è quella che ha trovato nel Concilio Vaticano II, e nel magistero e dottrina successivi, il riconoscimento più vasto e più profondo. Essa è di grande aiuto a non sdoppiare l'immagine del sacerdote tra uomo 'di culto' e uomo 'di prassi', ma ad unificare ambedue gli aspetti: Gesù è insieme 'giovedì santo' e 'venerdì santo' (culto-lode e croce), prima di giungere alla risurrezione. Essa, inoltre, armonizza tutte le dimensioni fondamentali del ministero presbiterale, così come le abbiamo trovate esposte nel Direttorio.

[27] Cfr. 1 Cor 4, 1; Pio XI, Firmissimam constantiam, in AAS, XXIX (1937) 190-199; LG, 28, 41; PO, 12, 13.

[28] In L'Osservatore Romano, 7 ottobre 1986, p.8. Questa descrizione dei sacerdoti (presbiteri) e Vescovi contiene elementi comuni agli altri fedeli cristiani, che si connotano però in modo peculiare, ed elementi specifici del sacerdote, nei gradi di presbitero e vescovo.

[29] Cfr. Rm 12, 3-8 e 1 Cor 12, 4-31.

[30] È utile richiamare qui le «interrogazioni» che il Vescovo fa al presbitero nel rito dell'Ordinazione: «Vuoi esercitare per tutta la vita il ministero sacerdotale nel grado dei presbiteri, collaborando con il vescovo nel servizio del popolo di Dio sotto la guida dello Spirito Santo? - Vuoi celebrare piamente e fedelmente i misteri di Cristo a lode di Dio e per la santificazione del popolo cristiano, secondo la tradizione della Chiesa? - Vuoi compiere in maniera degna e saggia il ministero della parola nell'annunzio del Vangelo e conservando l'ortodossia nella esposizione della fede? - Vuoi essere unito sempre più strettamente a Cristo sommo sacerdote, che come vittima pura si è offerto al Padre, consacrando anche te stesso a Dio per la salvezza di tutti gli uomini?» (Conferenza Episcopale Italiana, Ordinazione del vescovo dei presbiteri e dei diaconi, Roma, 1979, n.143).

[31] Cfr. cann. 834 e 835.

[32] Cfr. cann. 767, §§ 1 e 2, 773 e 794, § 2.

[33] Cfr. cann.495-502.

[34] Cfr. cann. 502 e 503ss.

[35] Cfr. can.150. Un elenco indicativo: amministratore diocesano (can. 425, § 1), vicario generale ed episcopale (can. 478, § 1), vicario giudiziale (can. 1420, § 4), moderatore della curia (can. 473, § 2), vicario foraneo (can. 553), rettore del seminario (can. 262), parroco e vicario parrocchiale (cann.521, § 1 e 546), amministratore parrocchiale (can.539), rettore e cappellano (cann.556 e 564).

[36] Un presbitero che sia, ad esempio, insegnante di matematica in una scuola statale, resta sempre vincolato, per l'obbedienza, al Vescovo della diocesi in cui è incardinato, il quale potrebbe sempre 'influenzare' il suo impegno, chiamandolo ad esercitare un altro compito.

[37] Cfr. Conferenza Episcopale Italiana, o. c., n.151.

[38] «In effetti Cristo, per continuare a realizzare incessantemente questa stessa volontà del Padre nel mondo per mezzo della Chiesa, opera attraverso i suoi ministri, e pertanto rimane sempre il principio e la fonte della unità di vita dei presbiteri. Per raggiungerla, essi dovranno perciò unirsi a Cristo nella scoperta della volontà del Padre e nel dono di sè per il gregge loro affidato. Così, rappresentando il Buon Pastore, nello stesso esercizio pastorale della carità troveranno il vincolo della perfezione sacerdotale che realizzerà l'unità della loro vita e attività. D'altra parte, questa carità pastorale scaturisce soprattutto dal Sacrificio Eucaristico, il quale risulta quindi il centro e la radice di tutta la vita del presbitero...» (PO, 14).

[39] In rapporto alla spiritualità specifica dei sacerdoti diocesani, è stato scritto: «Siamo invitati, noi sacerdoti diocesani, a scoprire ancor di più e meglio l'unione vitale ed operativa con Cristo Buon Pastore, oltreché con Cristo Capo, per vivere pienamente le potenzialità del nostro ministero e la virtus inrtinseca che lo feconda come azione propria di Cristo che evangelizza, santifica e guida, con la carità del Buon Pastore, il suo popolo. Il sacerdote diocesano è essenzialmente pastore, perché esercita in mezzo al suo popolo l'azione propria di Cristo che continua a vivificare la sua Chiesa con il suo perenne sacerdozio ministeriale. Ed è annunciando Cristo, vivificando il suo popolo con la vita in Cristo ed a lui conducendolo con la forza (= sacra potestas) della carità, che il prete diocesano trova la sua vita ascetica e di santificazione, senza alcuna esigenza di altre spiritualità, ancorché validissime e saldamente convalidate» (Vincenzo Card. Fagiolo, La spiritualità specifica dei sacerdoti diocesani, in L'Osservatore Romano, 12 maggio 1994, p.4).

[40] «... il sacerdote deve anzitutto ravvivare la sua fede, la sua speranza e il suo amore sincero al Signore, in modo tale da poterlo offrire alla contemplazione dei fedeli e di tutti gli uomini come veramente è...» (Direttorio, n.35).

[41] «È necessario, pertanto, che il presbitero programmi la sua vita di preghiera in modo da comprendere: la celebrazione eucaristica quotidiana, con adeguata preparazione e ringraziamento; la confessione frequente e la direzione spirituale già praticata in seminario; la celebrazione integra e fervorosa della liturgia delle ore, alla quale è quotidianamente tenuto; l'esame della propria coscienza; l'orazione mentale propriamente detta; la lectio divina; i prolungati momenti di silenzio e di colloquio, soprattutto negli Esercizi e Ritiri Spirituali periodici; le preziose espressioni della devozione mariana, come il Rosario; la Via Crucis e gli altri esercizi; la fruttuosa lettura agiografica» (ivi, n.39). «La centralità dell'Eucarestia dovrà apparire non solo dalla degna e sentita celebrazione del Sacrificio, ma altresì dalla frequente adorazione del Sacramento...» (ivi, n.50).

[42] Cfr. ivi, nn.57-67.

[43] «È necessario richiamare il valore insostituibile che per il sacerdote ha la celebrazione quotidiana della Santa Messa, anche quando non vi fosse concorso di alcun fedele...» (ivi, n.49). «Sia a motivo del suo ufficio, sia anche a motivo dell'ordinazione sacramentale, il presbitero dovrà dedicare tempo ed energie all'ascolto delle confessioni dei fedeli, i quali, come dimostra l'esperienza, si recano volentieri a ricevere questo sacramento laddove sanno che vi sono sacerdoti disponibili». (ivi, n.52). E così anche per gli altri sacramenti affidati alla celebrazione del presbitero.

[44] «Per un fruttuoso ministro della Parola... il presbitero darà il primato alla testimonianza della vita, che fa scoprire la potenza dell'amore di Dio e rende persuasiva la sua parola. Inoltre, terrà conto della predicazione esplicita del mistero di Cristo ai credenti, ai non credenti e ai non cristiani; della catechesi, che è l'esposizione ordinata e organica della dottrina della Chiesa; dell'applicazione della verità rivelata alla soluzioen dei casi concreti» (ivi, n.45).

[45] «La carità pastorale costituisce il principio interiore e dinamico capace di unificare le molteplici e diverse attività pastorali del presbitero e, dato il contesto socio-culturale e religioso nel quale egli vive, è strumento indispensabile per portare gli uomini alla vita della Grazia. Plasmata da tale carità, l'attività ministeriale deve essere una manifestazione della carità di Cristo, di cui il presbitero saprà esprimere atteggiamenti e comportamenti, fino alla donazione totale di sé a favore del gregge che gli è stato affidato. Assimilare la carità pastorale di Cristo in modo da farla diventare forma della propria vita, è una meta che richiede dal sacerdote impegni e sacrifici continui, giacché essa non si improvvisa, non conosce soste né può essere raggiunta una volta per sempre. Il ministro di Cristo si sentirà obbligato a vivere e a testimoniare questa realtà sempre e dovunque, anche quando, a ragione dell'età, fosse sgravato da incarichi pastorali concreti» (ivi, n.43).

[46] «Uomo di comunione, il sacerdote non potrà esprimere il suo amore per il Signore e per la Chiesa senza tradurlo in amore fattivo e incondizionato per il popolo cristiano, oggetto della sua cura pastorale (ivi, n.30). Cfr. anche ivi, n.55. Notiamo che per i presbiteri religiosi o appartenenti a Società di vita apostolica un 'proprium' è dato dal carisma tipico dell'istituto di appartenenza.

[47] «Il presbitero è tenuto ad un 'obbligo speciale di rispetto e obbedienza' nei confronti del Sommo Pontefice e del proprio Ordinario...» (Ivi, n.62).

[48] «Il presbiterio è il luogo privilegiato nel quale il sacerdote dovrebbe poter trovare i mezzi specifici di santificazione e di evangelizzazione ed essere aiutato a superare i limiti e le debolezze che sono propri della natura umana e che oggi sono particolarmente sentiti» (ivi, n.27).

[49] «Nello svolgimento del loro ministero, i presbiteri... lavoreranno... con i fedeli consacrati per la professione dei consigli evangelici e con i fedeli laici. Essi, inoltre, non mancheranno di richiedere, nelle forme legittime e tenendo conto delle capacità di ciascuno, la cooperazione dei fedeli consacrati e dei fedeli laici, nell'esercizio della loro attività» (ivi, n.56).

[50] Cfr. ivi, n.43. Cfr. anche Ebr 5. Nell'A.T.. Il modello è Mosé, colui che si offre e intercede per il popolo presso Dio (Si vedano soprattutto i tanti riferimenti contenuti nel Dt); un aspetto tipico lo si trova anche in Ez 3, 16-21; 4, 4; 9, 8ss e 11, 13.

[51] Cfr. Direttorio, nn.32 e 45.

[52] Per analogia a quanto dice Gc. 2,10: «Poiché chiunque osservi tutta la legge, ma la trasgredisca anche in un punto solo, diventa colpevole di tutto».

[53] Cfr. 1 Pt 2, 4-5.

[54] Cfr. anche 1 Gv 1, 8-10.