Beato
Leonid Fedorov
Esarca,
catechista
(1879
St. Petersburg – 1935 Russia)
Nel 1928, sacerdoti cattolici ed ortodossi, deportati
nel Grande Nord della Russia, tengono conferenze ecumeniche di una levatura e
di una cordialità eccezionale. Grazie a libri presi a prestito da monaci
ortodossi, un sacerdote cattolico, Padre Fëdorov, spiega la dottrina
sull'infallibilità del Papa. Dopo una lunga discussione, l'arcivescovo Ilarion,
ex ausiliario del Patriarca di Mosca, dichiara: «Inteso in questo modo, non
vedo più perchè questo dogma ripugnerebbe al mondo ortodosso». Il 27 giugno
2001, Papa Giovanni Paolo II beatificava Leonida Fëdorov, la cui preoccupazione
costante era stata l'unità dei Cristiani.
Leonida
Fëdorov nasce il 4 novembre 1879, in una famiglia ortodossa. Suo padre muore
prematuramente e la Signora Fëdorov continua a gestire da sola un ristorante a
San Pietroburgo. Leonida è un adolescente mite e gentile. Sua madre fa di tutto
per iniziarlo alla devozione cristiana. Di un temperamento indipendente e
idealistico, il giovane legge avidamente gli autori francesi, italiani o
tedeschi. Dopo aver letto opere di filosofia indù, pensa: «A che serve questa
vita senza valori? A che servono l'attività, l'agitazione, gli slanci generosi,
lo sforzo? Non è preferibile il riposo perpetuo del nirvana, in cui si spegne
ogni aspirazione, in cui si instaura la quiete eterna dell'annientamento?» Ma
tali disposizioni d'animo sono passeggere. Influenzato da un sacerdote
ortodosso, che alleava virtù e scienza con un grande talento pedagogico,
l'anima del giovane si pacifica e, dopo gli studi medi superiori, condotti
brillantemente, entra all'Accademia ecclesiastica, scuola superiore di
teologia.
Un'auspicata riconciliazione
Il
ristorante della Signora Fëdorov è un luogo d'incontro per gli intellettuali.
Fra di essi, si trova un giovane e brillante professore di filosofia, Vladimiro
Soloviev, che insiste sulla responsabilità dei Cristiani, predica con foga il
ritorno ad un cristianesimo integrale e la riconciliazione della Russia con il
Papato. Influenzato da lui, tutto si chiarisce in Leonida: «Avevo già
vent'anni, scriverà più tardi, quando, attraverso la lettura dei Padri della
Chiesa e della Storia, riuscii a scoprire la vera Chiesa Universale». Ma la
legislazione russa rende praticamente impossibile il passaggio di un Ortodosso
al cattolicesimo.
Infatti,
la Chiesa nazionale russa, ortodossa, era profondamente legata al potere
temporale. Avendo salvato molte volte la nazione nei momenti cruciali, essa
appariva come assolutamente necessaria alla sua vita. Separarsi da essa
equivaleva a separarsi dalla comunità russa stessa. Infatti, i Cattolici russi
erano quasi tutti di origine straniera e in maggioranza di origine polacca; la
lingua dei Cattolici era il polacco ed il rito seguito, quello latino. Per i
Russi ortodossi, il rito latino era quello di coloro che riconoscono la
supremazia del Papa, ed il rito bizantino-russo una specie di patrimonio
familiare inalienabile. Il governo russo non voleva a nessun costo che si
instaurassero chiese in cui i fedeli avrebbero pregato secondo il rito
bizantino, pur riconoscendo il Papa come pastore supremo.
Nella
sua ricerca della verità, Leonida si intrattiene con il Rettore della chiesa
cattolica principale di San Pietroburgo, poi decide di farsi Cattolico, e,
pertanto, di andarsene all'estero. Il 19 giugno 1902, parte alla volta
dell'Italia. A Leopoli, in Ucraina, va a trovare il Metropolita cattolico di
rito orientale, Andrea Cheptitzky, che gli fornisce una raccomandazione scritta
indirizzata a Papa Leone XIII. Leonida giunge a Roma nel corso del mese di
luglio del 1902, e il 31, festa di sant'Ignazio di Loyola, fa professione di
fede cattolica nella chiesa del Gesù, tenuta dai Gesuiti. Poco dopo, il Santo
Padre lo riceve in udienza privata, lo benedice e gli attribuisce una borsa per
gli studi sacerdotali.
Leonida
si reca al seminario di Anagni, a 50 km. a sud di Roma e diretto dai Gesuiti.
L'esuberanza dei giovani compagni meridionali talvolta lo infastidisce, ma si
sforza di non brontolare e si piega ad un regolamento assolutamente nuovo per
lui. Inizia i compagni ai problemi religiosi russi. «Si conosce talmente male
la Russia a Roma, ripete. Infatti, la Russia è molto più prossima di Roma che
non i paesi protestanti, ma qualsiasi provvedimento inopportuno nei suoi
riguardi può causare un gravissimo pregiudizio alla causa dell'unione». Dopo
tre anni di sforzi notevoli, consegue il grado di dottore in filosofia ed
inizia gli studi di teologia. «Gli anni di studio, scriverà in seguito, furono
per me una vera rivelazione. La vita austera, la regolarità, lo studio
razionale e profondo che mi furono richiesti, i compagni che vi frequentai,
pieni di gioia e di vitalità, non ancora corrotti dagli scritti atei dell'epoca,
il popolo italiano, anch'esso tanto vivace, tanto intelligente e pervaso della
vera civiltà cristiana, tutto ciò mi rimise veramente in sesto e mi iniettò una
nuova energia». Aggiunge tuttavia: «Mi si aprirono gli occhi sulla
disuguaglianza che regna nella Chiesa cattolica fra i vari riti e il mio animo
si ribellò contro l'ingiustizia dei Latini nei riguardi degli Orientali, contro
la loro ignoranza generale della cultura spirituale orientale». Infatti, per
molti sacerdoti cattolici di allora, il rito latino era considerato come il
rito cattolico per eccellenza, essendo gli altri riti soltanto tollerati.
Leonida non condivide quest'opinione: «Meditando le istruzioni del Metropolita
Cheptitzky, scriverà, mi resi conto che il mio vero dovere di Cattolico era
quello di rimanere irremovibilmente fedele al rito ed alle tradizioni religiose
russe. Il Sommo Pontefice lo esigeva molto chiaramente». Non per questo Leonida
assume una mentalità gretta: si appassiona per tutte le iniziative della Chiesa
d'Occidente.
Ma
in Russia, la rivoluzione incombe. Alla fine di ottobre 1905, lo Zar è
costretto a fare concessioni, a riconoscere in particolare la libertà di
coscienza. Tuttavia, quando una persona molto coraggiosa, la Signorina
Ouchakoff, organizza una cappella cattolica di rito orientale a San
Pietroburgo, il governo rifiuta di approvare tale iniziativa. «Si permetteva,
in Russia, scrive un testimone, la costruzione di moschee, di pagode buddiste,
di cappelle protestanti di quasiasi genere, tutta una serie di logge massoniche
e perfino chiese cattoliche di rito latino, ma mai una chiesa cattolica di rito
russo! L'attrattiva sarebbe stata troppo grande!»
Partenza immediata
Nel
1907, Leonida ottiene per decreto pontificio il riconoscimento ufficiale della
sua appartenenza al rito bizantino. Tale decreto di Papa san Pio X segnava una
svolta nell'attività apostolica della Chiesa cattolica in Russia, poichè i
Cattolici russi potevano ormai esser riconosciuti ufficialmente da Roma, pur
conservando il loro proprio rito, il rito bizantino-russo. Nel giugno 1907,
quando Leonida chiede il rinnovo del passaporto, il governo russo risponde: «Se
Leonida Fëdorov non lascia immediatamente un istituto diretto dai Gesuiti, gli
si vieterà per sempre il rientro in Russia!» Leonida lascia Anagni per il
Convitto della Propaganda, a Roma città. Si trova ormai in un ambiente molto
cosmopolita che gli permette di toccar con mano l'universalità della Chiesa
cattolica.
Durante
l'estate del 1907, Leonida si reca al primo Congresso di Velehrad, in Moravia,
dove s'incontrano specialisti delle questioni orientali per «aprire la via
della pace e della concordia fra l'Occidente e l'Oriente, per proiettare luce
sulle questioni controverse, per correggere le idee preconcette, per
ravvicinare i più ostili, per ristabilire l'amicizia totale». Gli viene
affidata una missione urgente in favore degli Orientali greco-cattolici
emigrati negli Stati Uniti; questi, mal compresi dai vescovi del paese, si
avvicinano agli Ortodossi. Leonida intercede per essi presso la Santa Sede, che
accorderà loro, nel maggio 1913, uno statuto giuridico corrispondente alle loro
necessità.
Alla
fine dell'anno scolastico 1907-1908, a seguito di una nuova richiesta del
governo russo, Leonida deve lasciare Roma; si reca in incognito a Friburgo, in
Svizzera, per finire gli studi. Durante l'estate del 1909, torna a San
Pietroburgo, dove ritrova commosso sua madre, la quale ha anch'essa fatto
professione di fede cattolica. Alla stessa epoca, il Metropolita Cheptitzki
chiede ed ottiene da Papa san Pio X una vera e propria giurisdizione sui
Greco-cattolici di Russia, che non saranno così più sottoposti a vescovi
polacchi di rito latino.
Far scomparire un'opera diabolica
Il
26 marzo 1911, Leonida è ordinato sacerdote. Il 27 luglio, partecipa al
congresso di Velehrad. L'assenza di prelati ortodossi a tale congresso lo
addolora; scrive loro: «È nostra intenzione servirci della ricerca scientifica
per preparare le vie del nostro mutuo ravvicinamento. I congressi di Velehrad
non sono istituzioni esclusivamente confessionali (vale a dire riservate ai
Cattolici) bensì piuttosto riunioni di studiosi, animati da spirito religioso e
convinti che la disunione è un'opera diabolica che bisogna far scomparire».
Tuttavia,
da parecchi anni, Padre Leonida si sente attirato dalla vita monastica. Nel
maggio del 1912, viene accolto in un monastero in cui la vita si divide fra la
celebrazione dell'Uffizio divino secondo il rito bizantino e i lavori dei
campi. Grazie alla sua salute robusta ed al suo carattere conciliante, si piega
senza troppa difficoltà all'austerità dello stile di vita. L'isolamento dal
mondo ed il raccoglimento lo soddisfanno, benchè gli manchino lo studio della
teologia e le informazioni sulla situazione politica. Scopre nel proprio
temperamento una certa durezza nei riguardi del prossimo, che non si manca di
fargli notare, e contro cui lotta con successo. «Parlava con molta dolcezza,
potrà dire di lui uno dei confratelli. Era sempre di umore costante».
Durante
l'estate del 1914, scoppia la prima guerra mondiale. Padre Leonida torna
immediatamente a San Pietroburgo, diventata Pietrogrado. Ivi lo attende una
penosa sorpresa: il governo lo esilia a Tobolsk, in Siberia, poichè è legato a
nemici della Russia. Padre Leonida si sistema in una stanza d'affitto e trova
un lavoro nell'amministrazione locale. Così passano gli anni 1915 e 1916,
contrassegnati da una lunga immobilizzazione a letto, dovuta ad una violenta
crisi di reumatismi articolari. Ma la guerra ha disorganizzato l'economia
nazionale ed il popolo soffre a causa della penuria di viveri. Nel febbraio del
1917, scoppia la rivoluzione, e il 2 marzo, lo Zar Nicola II abdica. Un governo
provvisorio, presieduto dal Principe Lvoff, proclama un'amnistia totale per i
delitti in materia religiosa ed abolisce tutte le restrizioni alla libertà di
culto. Il Metropolita Cheptitzky, anch'egli esiliato, viene quindi amnistiato e
riorganizza l'attività dei Cattolici russi. Sceglie Padre Leonida in qualità di
esarca, vale a dire quale rappresentante dell'autorità religiosa sul territorio
russo. Amnistiato a sua volta, egli torna a Pietrogrado. Il Metropolita ha in
animo di conferirgli la consacrazione episcopale, ma Padre Leonida rifiuta.
Cattolico, russo, di rito bizantino
Il
nuovo esarca inizia l'opera pastorale preoccupandosi dell'unità dei cristiani
d'Oriente e d'Occidente. Per lui, la vera soluzione va ricercata in una
riconciliazione tramite le gerarchie. La sua piccola comunità dimostra con i
fatti che si può essere Cattolici, rimanendo totalmente Russi e conservando il
rito orientale. Ma il 25 ottobre, i Bolscevichi rovesciano il governo ed
installano un rivolgimento radicale dell'ordine sociale. Cominciano cinque anni
di privazioni, di lotte e di angosce. All'inizio del 1919, Padre Leonida scrive
ad un amico: «Attribuisco ad un miracolo della bontà divina il fatto di essere
ancora in vita e che la nostra chiesa continui ad esistere. Buon numero dei
nostri Cattolici russi sono morti d'inedia. Gli altri si sono dispersi di qua e
di là, per sottrarsi al freddo e alla fame». Nel 1918, egli ha il dolore di
perdere sua madre, poi la Signorina Ouchakoff. Tuttavia, fa conoscenza con una
donna molto colta, docente universitaria, la Signorina Danzas, che, dopo
essersi convertita al cattolicesimo, lo assiste con una grande dedizione.
Esercita
il suo apostolato in tre centri: Pietrogrado, Mosca e Saratov, che riuniscono
circa 200 fedeli, cui vanno aggiunti 200 altri che si sono dispersi
nell'immenso territorio russo; giudica che sono circa 2000 quelli che hanno
lasciato la Russia o sono morti. La Signorina Danzas scriverà di Padre Leonida:
«L'amore di Dio e la fervente fede dell'esarca si manifestavano particolarmente
attraverso il di lui modo di celebrare la Santa Liturgia. Soprattutto in questo
modo egli conquistava le anime. Come predicatore, non era sempre alla portata
del pubblico; era un teologo profondo, ed aveva talvolta difficoltà a mettersi
al livello dell'assistenza composta di gente semplice... Come confessore, era
eccezionale e tutti quelli che hanno avuto l'occasione di sottomergli casi di
coscienza hanno sempre conservato il commosso ricordo del modo in cui egli si
dava totalmente a questo ministero».
L'estate
del 1921 è contrassegnata da una siccità eccezionale che, aggiunta alla
politica agraria del governo, porta con sè una spaventosa carestia, causa della
morte di circa cinque milioni di persone. La Santa Sede incarica Padre Walsh,
Gesuita, di organizzare i soccorsi che manda agli affamati tramite
un'associazione americana. In poche settimane, migliaia di Russi vengono
salvati, grazie alla generosità dei Cattolici di tutto il mondo. Padre Leonida
incontra il Gesuita e fra di loro nasce una profonda amicizia. Su consiglio
dell'esarca, Padre Walsh fornisce viveri al clero ortodosso, nelle regioni in
cui i sacerdoti soffrono la fame.
Lo
smarrimento e la persecuzione dei Cristiani in Russia chiariscono loro
vigorosamente i vantaggi di un'unione con il resto del mondo cristiano ed in
particolare con il Sommo Pontefice. Proteste comuni, firmate da prelati
ortodossi e cattolici, cosa che non si era mai riscontrata nella storia della
Russia, vengono indirizzate al governo, per difendere gli interessi comuni.
Conferenze apologetiche comuni vengono progettate, in vista di lottare contro
la propaganda degli atei. Padre Fëdorov compone una breve preghiera che possa
esser recitata senza reticenze tanto dai Cattolici quanto dagli Ortodossi.
Ma
il governo intensifica le persecuzioni. Ai sacerdoti è vietato insegnare la
religione ai ragazzi minori di 18 anni. L'ateismo viene insegnato ufficialmente
nelle scuole. Con il pretesto di comprare viveri per nutrire gli affamati, le
autorità civili spogliano le chiese dei vasi sacri e oggetti preziosi.
All'inizio del febbraio 1923, Padre Fëdorov riceve l'ordine di recarsi a Mosca,
con altri ecclesiastici di Pietrogrado, per comparire davanti alla Suprema
Corte Rivoluzionaria. Lo si accusa di essersi opposto al decreto che spogliava
le chiese dei vasi sacri, di aver intrattenuto rapporti criminali con l'estero,
di aver insegnato la religione a minorenni ed infine di essersi impegnato nella
propaganda antirivoluzionaria.
Qualunque cosa dica la legge...
Iniziato
il 21 marzo, il processo dura cinque giorni. Il Procuratore non riesce a
nascondere l'astio che lo anima: «Sputo sulla vostra religione, come sputo su
tutte le religioni...». Rivolgendosi all'esarca, lo interroga: «Ubbidisci o no
al Governo sovietico? – Se il Governo sovietico mi chiede di agire contro la
mia coscienza, non ubbidisco. Per quanto concerne l'insegnamento del
catechismo, la dottrina della Chiesa cattolica esige che i bambini ricevano
un'istruzione religiosa, qualunque cosa dica la legge». Verso la fine del
processo, il Procuratore dichiara: «Fëdorov è all'origine delle riunioni con il
clero ortodosso... Deve esser giudicato non solo per quel che ha fatto, ma per
quello che può ancora fare», e richiede la pena di morte. Due avvocati sono
autorizzati a difendere i sacerdoti di rito latino. L'esarca, per quanto lo
concerne, espone personalmente la propria difesa. Dimostra abilmente come tutto
il processo non sia altro che una commedia già preparata, ma lo fa senza
acredine, come un uomo la cui posizione è talmente salda, che non ha alcun
bisogno di difendersi. Alla fine, afferma: «Il desiderio del mio animo è quello
che la nostra Patria riesca a capire che la fede cristiana e la Chiesa
cattolica non sono un'organizzazione politica, ma una comunità d'amore». La sentenza
viene emessa: l'esarca è condannato a dieci anni di reclusione.
Padre
Leonida approfitta della reclusione per redigere due catechismi in russo.
«Posso attestare, scriverà la Signorina Danzas, dopo aver reso visita
all'esarca, che il suo atteggiamento era ancora più calmo e più lieto del
solito. Mi diceva che non si era mai sentito tanto felice. Padre Leonida
mantiene, dalla prigione, una fitta corrispondenza con i fedeli. Si preoccupa
di intrattenere i rapporti con gli Ortodossi: «Qui, scrive, ci sono due vescovi
e circa venti sacerdoti ortodossi. I nostri rapporti sono ottimi». Verso la
metà di settembre nello stesso anno 1923, Padre Leonida viene trasferito in
un'altra prigione, dove il regime è molto più severo. Lì, è sottoposto ad una
segregazione cellulare totale. Nell'aprile del 1926, una generosa ed energica
signora, membro della Croce Rossa, ottiene la liberazione del prigioniero. Ma,
nel corso del mese di giugno, egli viene nuovamente arrestato, poi condannato a
tre anni di deportazione nelle isole Solovki, nel Mar Bianco (Grande Nord della
Russia europea).
Le
isole dell'arcipelago Solovki, dove il clima è molto freddo ed umido, sono
coperte di foreste. I Soviet hanno trasformato il monastero ortodosso, che
esisteva fin dal XV secolo, in un'immensa prigione. Padre Fëdorov ci arriva
verso la metà di ottobre del 1926. Tutte le mattine, i prigionieri vengono
condotti nelle foreste, per lavorarvi in qualità di boscaioli. I Cattolici di
rito bizantino hanno ottenuto la facoltà di pregare, utilizzando un'antica
cappella, a trenta minuti di strada dall'ex monastero. A partire dall'estate
1927, il Santo Sacrificio vi è celebrato la domenica, nel rito latino e nel
rito bizantino, in alternanza.
Un
sacerdote scriverà dell'esarca: «Quando potevamo beneficiare di un po' di
riposo nei nostri lavori forzati, ci piaceva raggrupparci intorno a lui; ci
attirava... Si distingueva per una cortesia ed una semplicità eccezionali... Se
notava che uno o l'altro di noi attraversava un periodo di depressione, lo
aiutava a riprendersi, risvegliando in lui la speranza di tempi migliori. Se
per caso riceveva da fuori un soccorso d'ordine materiale, aveva l'abitudine di
dividerlo con gli altri».
In terra russa, per la Russia
Ma,
all'inizio del novembre 1928, la cappella viene chiusa ed una perquisizione
confisca tutto quello che può servire al culto. «Chiesi allora all'esarca,
riferirà un sacerdote, se bisognasse continuare a celebrare il Santo Ufficio
sotto la minaccia di penose sanzioni. Mi rispose allora con le seguenti memorabili
parole: «Non dimentichi che le Liturgie Divine che celebriamo a Solovki sono
forse le sole che celebrano sacerdoti cattolici di rito russo in terra russa
per la Russia. Bisogna far di tutto perchè almeno una liturgia venga celebrata
ogni giorno»». Nella primavera del 1929, lo stato di salute dell'esarca si
deteriora considerevolmente ed egli viene ricoverato presso l'ospedale del
campo. Alla fine dell'estate, si conclude il periodo dei tre anni di campo di
concentramento, ma egli deve rimanere in esilio per altri tre anni. Passerà gli
ultimi anni di vita presso agricoltori del Grande Nord. Nel gennaio del 1934,
si stabilirà in una città a 400 km. più a sud, presso un ferroviere. All'inizio
del febbraio 1935, è spossato e oppresso da una continua tosse; il 7 marzo,
esala l'ultimo respiro.
Come
il beato Leonida Fëdorov, abbiamo a cuore l'unità dei Cristiani e seguiamo le
esortazioni del Concilio Vaticano II: «Che tutti i fedeli si ricordino che
favoriranno l'unione dei Cristiani, ed anzi che la realizzeranno, per quanto si
applicheranno a vivere più puramente secondo il Vangelo. Quanto più stretta,
infatti, sarà la loro comunione con il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo,
tanto più essi potranno rendere intima e facile la mutua fratellanza... Questa
conversione del cuore e questa santità di vita, come pure le preghiere
pubbliche e private per l'unità dei Cristiani, devono esser considerate come
l'anima di tutto l'ecumenismo e possono a giusto titolo essere chiamate
ecumenismo spirituale» (Unitatis redintegratio, 7-8).
Dom Antoine Marie osb
http://www.clairval.com/lettres/it/2005/11/02/7021105.htm