India 2010
Conferenza
Conferenza
del Cardinale Cláudio Hummes all’ “Indian Priests Congress” in Velankanni
(India) gli 9,10,11 di febbraio 2010.
Carissimi
Fratelli Cardinali, Arcivescovi e Vescovi, Sacerdoti, Fratelli e Sorelle,
Sono molto grato e onorato di poter
partecipare a questo “Indian Priests’ Congress” e rivolgere la parola ai
Fratelli Cardinali e Vescovi, e ai Sacerdoti, di questa grande ed amata India.
Il congresso appare particolarmente significativo perché si situa nell’Anno
Sacerdotale indetto da Sua Santità il Papa Benedetto XVI e prende come oggetto
di riflessione lo stesso tema che il Santo Padre ha scelto per quest’anno
speciale, cioè “Fedeltà di Cristo, fedeltà del Sacerdote”.
Il Santo Padre segue con grande interesse
tutte le iniziative che le Chiesi locali nel mondo programmano per l’Anno
Sacerdotale in corso. Così, anche questo vostro congresso è molto apprezzato
dal Papa, il quale vi invia tutte le sue benedizioni.
L’Anno Sacerdotale offre alla Chiesa
l’opportunità di dire nuovamente a tutti i suoi presbiteri che li ama, li
venera, è fiera di loro e riconosce ciò che sono e ciò che realizzano, sia
nelle comunità ecclesiali locali, in mezzo al popolo, sia nell’avanguardia
della Missione. Nelle comunità locali essi predicano la Parola di Dio,
evangelizzano, aiutano il popolo a leggere la Bibbia, catechizzano, riuniscono
i fedeli per celebrare l’Eucaristia e gli altri Sacramenti, assistono loro in
altre forme di preghiera comunitaria e di devozione, convocano la comunità per
discutere, pianificare ed attuare progetti di attività pastorale, conducono la
comunità ad assumere la solidarietà e la carità verso i poveri, a promuovere la
giustizia sociale, i diritti umani, l’uguale dignità di tutti, la libertà e la
pace nella società. Nell’avanguardia
della Missione, portano il primo annuncio del Vangelo in ambienti
culturali diversi, in società all’inizio spesso indifferenti o alle volte
perfino ostili alla loro predicazione e al loro lavoro apostolico. Non
raramente i sacerdoti nella Missione testimoniano la loro fede anche con il
martirio. Si potrebbero ricordare e specificare tanti altri modi con cui i
sacerdoti portano la Chiesa ad essere luce e lievito nel mondo. In verità,
esercitano un ministero strategico ed essenziale per la vita concreta e
quotidiana della Chiesa in tutto il mondo. In questo senso, si può dire che la
Chiesa cammina con i piedi dei presbiteri.
Secondo
l’ultima statistica pubblicata dal Vaticano, i Presbiteri nel mondo erano, alla
fine del 2007, circa 408.000, essendo cresciuto il loro numero di circa mille
riguardo all’anno precedente. Come
sappiamo, in molti paesi cosiddetti cristiani, specialmente nell’ Occidente,
c’è un calo notevole nel numero dei sacerdoti ed anche dei seminaristi, un
fenomeno che porta con sé non pochi problemi alla Chiesa e al suo futuro. Nei paesi
di missione, invece, vediamo una buona crescita del numero dei sacerdoti e una
fioritura di vocazioni sacerdotali e religiosi, anche in India. Tuttavia,
nonostante il fatto che ci sia stata una piccola crescita del numero dei
sacerdoti e dei seminaristi nel mondo, tale aumento non è proporzionale ed
adeguato alla crescita della popolazione mondiale neanche di quella dei
cattolici.
Riguardo all’India, le statistiche vaticane
mostrano l’aumento dei sacerdoti e dei seminaristi, grazie a Dio. Lo stesso si
verifica in molti paesi di missione. Le origine del cristianesimo in India,
d’altra parte, secondo antiche tradizioni, ci conducono a ritroso nella storia
fino all’apostolo Tommaso, il quale predicò il Vangelo ai Parti, ai Medi, ai
Persiani ed agli Ircani, e poi penetrò nell’India, ove annunciò il Vangelo,
costituì comunità cristiane e più tardi fu martirizzato e sepolto. Nei secoli
posteriori le sue spoglie furono trasportate ad Edessa e infine ad Ortona, in
Italia, mentre in India permase il gruppo chiamato “i cristiani di San
Tommaso”, che perdura attraverso i secoli. Una nuova fase è iniziata
coll’arrivo dei navigatori portoghesi e con il straordinario lavoro missionario
di San Francesco Saverio nel secolo XVI. Oggi è una Chiesa che comprende la
Chiesa Latina, la Chiesa Syro-Malabarese e la Chiesa Syro-Malankarese. Queste
diverse tradizioni liturgiche e spirituali rendono la Chiesa in India molto
bella e tale ricchezza potrà contribuire molto all’evangelizzazione di questo
grande Paese. Oggigiorno vediamo qui una Chiesa fiorente, non però senza sfide
rilevanti. Infatti, nonostante la millenaria presenza del cristianesimo in
India, rimane ancora molto da fare, ci sono ancora grandi sfide apostoliche e
missionarie da affrontare. Solo il 2% della popolazione è cattolica.
Da rilevare con gioia e speranza, è la prima
canonizzazione recentemente avvenuta, di una donna proveniente dall’India,
Santa Alfonsa, una semplice suora religiosa che visse nei nostri tempi e mostrò
alla Chiesa Universale che la santità è raggiungibile mediante una vita
ordinaria e tramite la pazienza nella sofferenza. La beatificazione della
missionaria albanese che è diventata figlia adottiva dell’India, la beata
Teresa di Calcutta, una delle figure più ammirate nel mondo contemporaneo, a motivo
della sua solidarietà verso i poveri e verso i marginalizzati, ha messo in
evidenza l’autenticità del carattere missionario della Chiesa in India. Sono
anche veri figli e figlie della Chiesa nell’India il beato Kuriakose Elias
Chavara, la beata Mariam Thresia, il beato Agostino Thevarparampil, e la beata
Euphrasia, che diedero testimonianza di Cristo mediante una vita eroica. A
quest’elenco dovremmo anche aggiungere due eminenti cristiani di origine
Indiano, il Santo Gonsalo Garcia, martirizzato in Giappone nel XVI.mo secolo e
il beato Joseph Vaz, apostolo di Sri Lanka nel XVII.mo secolo.
Mi
pare giusto ricordare questa significativa storia, perché l’Anno Sacerdotale
vuol dare anche una forte spinta missionaria ai Sacerdoti. Infatti, la missione
ha sempre rinnovato la Chiesa. Anche il sacerdote, quando si decide ad essere
veramente missionario, sia ad gentes
sia nella parrocchia già stabilita, ritrova la sua vera identità e si rinnova
nel ministero.
Il
Concilio Vaticano II ha sottolineato fortemente che la Chiesa è essenzialmente
missionaria. Oggi, grazie a Dio, la coscienza missionaria cresce dinanzi a una
riconosciuta urgenza missionaria in tutto il mondo, anche nei paesi cristiani
dell’Occidente. Il Papa Paolo VI, di felice memoria, ha scritto l’esortazione
apostolica Evangelii Nuntiandi
sull’evangelizzazione nel mondo attuale. Il Venerabile Giovanni Paolo II
scrisse lenciclica Redemptoris Missio
sulla missione e, al contempo, ha
convocato l’intera Chiesa per una nuova evangelizzazione nelle regioni dove la
Chiesa è già stabilita, “con nuovo ardore missionario, nuovi metodi e nuove
espressioni”. Il nostro amato Papa Benedetto XVI, fin dall’inizio del suo
pontificato, non si è mai stancato di richiamare la Chiesa ad essere più
missionaria. Ai vescovi di Germania, nel 2005, affermando che tutta l’Europa è
diventata terra di missione, disse: “non è sufficiente che noi cerchiamo di
conservare il gregge esistente, anche se questo è necessario”(disc. 21.8.05 ai Vescovi di Germania).
In Brasile, nel 2007, richiamò tutta la Chiesa nel Paese a diventare più
missionaria e ad essere vicina alla gente, anzitutto ai poveri “delle periferie
urbane o della campagna”, dato che “i
poveri sono i destinatari privilegiati del Vangelo” (disc. 11 maggio 2007, nella Cattedrale di
São Paulo, n.3). Inoltre, nei suoi messaggi annuali per la Giornata
Missionaria Mondiale incoraggia le missioni ad
gentes e ricorda con ammirazione e amore tanti missionari di oggi e di ieri.
La
coscienza missionaria continuamente vive anche qui in India, come avete
dimostrato nel Congresso Missionario del scorso ottobre, a Mumbai. Il vostro
Cardinale Gracias, presentando quel congresso, diceva che esso puntava “a far
emergere la ricchezza della vita della comunità indiana e a sollecitarne
l’impeto missionario” e indicava Madre
Teresa di Calcuta come “privilegio e esempio vivo di missione in India e per
l’India” (Osserv. Romano, 10.10.09).
Come si sa, il processo missionario
richiede sempre quattro elementi, cioè il servizio, il dialogo, l’annunzio e,
finalmente, la costituzione e successiva testimonianza delle comunità dei
credenti. Il Cardinale Gracias, nella presentazione del congresso, sottolineava
il servizio nel campo dell’educazione, nelle scuole, università e istituti, poi
il servizio “delle opere di carità piccole e grandi che arrivano fino alle aree
rurali e offrono un aiuto ai poveri altrimenti esclusi dai servizi sanitari di
base”. È vero. Il servizio della carità
è generalmente la porta d’ingresso del missionario in una società non cristiana
da evangelizzare. Gesù ha detto: “Da questo tutti sapranno che siete miei
discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35). Questo amore deve
distinguere i cristiani e si manifesta sia nelle opere di carità in mezzo alla
società umana sia nell’amore fraterno che unisce i credenti nelle loro comunità ecclesiali. Dinanzi a questo amore
i non cristiani si interrogano: perché i cristiani amano così, amano perfino i
loro nemici? Tale domanda diventa l’atmosfera in cui si può annunziare Gesù
Cristo, il suo amore verso l’umanità, la sua morte e risurrezione per la nostra
salvezza, e tutto il suo messaggio come buona novella per l’umanità. Egli è la
ragione fondamentale della nostra fraternità e carità. Ma sull’esempio dello
stesso Gesù Cristo, il Vangelo non è mai imposto, ma proposto, rimanendo la
libertà degli ascoltatori di aderire o meno. Ciò vuol dire, che l’annunzio e il
dialogo vanno sempre insieme. Dio stesso ha sempre dialogato con l’uomo. Da
questo annunzio, quelli che aderiscono sono condotti a Gesù Cristo, affinché
egli li trasformi in suoi discepoli, i quali successivamente sono costituiti in
comunità di credenti, che a loro volta si coinvolgono, come operatori, in un
continuo processo missionario nel mondo.
Non posso non ricordare le parole del
vostro Cardinale Toppo. Nel contesto del vostro scorso Congresso Missionario a
Mumbai, egli disse: “La Chiesa è missionaria; questa missione è rivolta ai non
cristiani e in particolare ai più poveri dei poveri, i tribali e i dalit, da
sempre sfruttati e oppresssi nella società indiana” e successivamente il
cardinale racconta la sua propria storia come primo cardinale tribale, dicendo:
“La fede in Gesù, alimentata dal lavoro educativo e sociale dei primi
missionari, ha liberato e trasformato me ed il mio popolo” (cf. AsiaNews 17.10.09).
Cari Sacerdoti, seguendo le orme di tanti
missionari e missionarie, continuate ad essere missionari, sia verso i non cristiani
sia verso i battezzati delle vostre parrocchie che si sono allontanati e perciò
richiedono una ri-evangelizzazione. Non basta ricevere quelli che si presentano
in parrocchia. Bisogna anche uscire ed andare, da buoni pastori, in cerca delle
pecore ancora lontane. La missione vi rinnoverà
sicuramente nella comprensione e nella realizzazione della vostra identità
presbiterale e del vostro ministero.
Tuttavia, la missione richiede anche
l’inculturazione del Vangelo. Il Figlio di Dio, fatto uomo, Gesù Cristo, si fece
giudeo e inculturò il suo messaggio nella cultura giudaica dell’epoca. Sul suo
esempio, anche la Chiesa, attraverso i secoli, deve essere capace di
inculturare sempre di nuovo il Vangelo nelle differenti culture. L’India
possiede un ricco e differenziato patrimonio culturale millenario, che sente oggi anche la presenza e l’influsso
sempre più forte della nuova ed avvenente cultura globale dominante. Questo
rappresenta una sfida stimolante all’inculturazione della fede e
all’evangelizzazione delle culture. Come sappiamo, l’inculturazione della fede
è un processo in cui si attuano i misteri centrali della nostra salvezza, ossia
i misteri dell’incarnazione di Cristo, della sua opera di redenzione e
dell’evento di Pentecoste. In effetti, nel processo dell’inculturazione, la fede
cristiana, nel suo incontro con una determinata cultura, cerca di assumere i
veri valori di quella cultura in un processo di incarnazione, poi purifica la
cultura dai suoi contenuti malefici e peccaminosi in un processo di redenzione,
ossia di morte e risurrezione, e infine, da questo processo, sotto l’azione
trasformatrice dello Spirito Santo, sorge una nuova società e un nuovo uomo,
come frutto pentecostale. Un processo, quindi, che non distrugge la cultura, ma
l’assume, la redime e la rinnova in Cristo, portandola al compimento del suo
vero senso.
In tutto
questo che è stato detto - e si potrebbero aggiungere ancora tanti altri
contenuti -, cari fratelli, si manifesta quanto è bello ma anche esigente il
ministero dei Presbiteri nella Chiesa e nella società. Ciò implica un’enorme
responsabilità, che le forze umane da sole non sarebbero capaci di portare. C’è
bisogno della grazia divina, che Dio ben volentieri offre ad ogni sacerdote. Lo
stesso sacramento dell’Ordine è la fonte più preziosa, più efficace e
permanente di tale grazia. Nondimeno, bisogna accogliere la grazia nel contesto
di una spiritualità salda e specificamente presbiterale, come ci insegna la Presbiterorum Ordinis del Concilio.
Questa spiritualità in fondo si identifica con l’essere discepolo del Signore,
un discepolo molto speciale, che è stato configurato a Lui, Capo e Pastore
della Chiesa. Così, ogni presbitero è, in forza dell’ordinazione, capo e
pastore della comunità ecclesiale a lui affidata. Tuttavia, essere capo e
pastore, non vuol dire essere dominatore del gregge, ma servitore, guida
zelante, difensore contro il Male, pronto a dare la vita per la salvezza delle
pecore e sempre in cammino per cercare e condurre al gregge anche le
pecore lontane. Ciò richiede
un’intimità vera e adulta con il Signore, da rinnovare e rinvigorire sempre di
nuovo attraverso la lettura orante della Bibbia, soprattutto dei Vangeli, la
celebrazione quotidiana dell’Eucaristia, la preghiera personale e comunitaria,
la recita del Rosario, la frequente ricezione del sacramento della
riconciliazione e tante altre pratiche spirituali. La spiritualità ricca e
salda sarà anche il contesto necessario per vivere in modo coerente, sereno e
felice, il carisma del celibato. Sappiamo tutti quanto danno arrecano alla Chiesa
e ai fedeli le infedeltà dei ministri ordinati.
La
spiritualità, la vita e il ministero dei Presbiteri richiedono anche una forte
comunione dei Presbiteri con il Successore di Pietro, il Papa, con i loro Vescovi, tra gli stessi
Presbiteri e con le comunità dei fedeli a loro affidate. Trattasi della
comunione ecclesiale. Riguardo a questa comunione, Gesù stesso ha pregato
intensamente al Padre: “Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai
dato, perché siano una cosa sola, come noi. […] Non prego solo per questi, ma
anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano
una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una
cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che tu hai
dato a me, io l’ho data a loro, perché come noi siamo una cosa sola. Io in loro
e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo sappia che tu mi ha
mandato e li hai amati come hai amato me” (Gv 17, 11 e 20-24). Cari fratelli, questa comunione deve
costantemente essere cercata e costruita tra noi. I Vescovi hanno un ruolo
molto speciale nel promuovere e custodire l’unità, ma i Presbiteri hanno anche
il bisogno di sentirsi amati e riconosciuti dai loro Vescovi e dalla comunità
ecclesiale. I Presbiteri a loro volta non possono non essere in comunione con i
loro Vescovi ed anche manifestare il loro amore e la piena disponibilità
riguardo a costoro. Gesù ha insegnato che l’unità serve a dare credibilità al
nostro messaggio nel mondo.
Considerando
quanto sin qui esposto, vediamo che la vocazione sacerdotale è una vocazione ad
un ministero molto speciale, insostituibile e prezioso, a servizio della Chiesa
e della società, una vocazione, inoltre, che richiede la testimonianza, la
donazione della vita e, alle volte, il martirio nel senso stretto. Ma tutto ciò
sarà fonte di vera gioia, di felicità e esperienza del senso trascendente del
ministero presbiterale, al servizio di Cristo, Buon Pastore, per la salvezza
dell’umanità. Questo ci fa capire quanto sia necessaria una formazione permanente
per i Presbiteri, che dia loro le migliori condizioni possibili per vivere ed
attuare la vocazione e il ministero. Il Papa insiste su questo e chiede alle
Chiese locali di impegnarsi nella offerta di tale formazione permanente. Molto
già si fa, però sappiamo che c’è ancora molto da fare e da migliorare.
La Chiesa Universale sta celebrando ora il
150.mo anniversario della morte di S. Giovanni Maria Vianney, il quale è stato un
luminare di “Sacerdote di Cristo”, rimanendo così un esempio brillante della
“fedeltà del Sacerdote” a Cristo e alla Chiesa. Lui sarà sempre per noi un
modello da imitare fedelmente.
Concludo, augurando tanti buoni frutti da
questo congresso e che Dio benedica tutti noi. Grazie!
Cardinale Cláudio Hummes
Arcivescovo Emerito di São
Paulo
Prefetto della Congregazione
per il Clero