"Celibato e santità del presbitero"

Libero Gerosa

Nello stupendo giardino del Palazzo papale di Castelgandolfo, la sera del 3 agosto 1980 ho avuto la grazia di accompagnare un centinaio di giovani universitari di Friburgo ad un incontro informale e fraterno con il Papa, oggi Servo di Dio, Giovanni Paolo II. Appena finito i saluti di rito, il cerchio di questi giovani seduti sull'erba, fra cui molti seminaristi e presbiteri ancora studenti, si è fatto viepiù stretto attorno alla sedia del Pontefice, che rispondeva a braccio in quattro lingue a tutte le domande, intercalando le risposte a bellissimi canti imparati da molti di noi durante il pellegrinaggio a piedi al Santuario Mariano di Czestochova. Ad un certo momento, un giovane seminarista francese, tutto pio e già vestito con l'abito talare, chiede al papa: "Santità, cosa deve fare un seminarista per diventare un santo prete?" Risponde il Pontefice:" Mah! A dire il vero non lo so!" Risata generale. "Però - continua Giovanni Paolo II - domani ricorre la memoria del Santo Curato d'Ars: chiedi a lui; lui sicuramente lo sa!" Altra risata generale. "Al di là delle battute -conclude il Santo Padre - sono convinto che ogni prete deve cercare e trovare la propria personale via alla santità, senza mai dimenticare che la stessa è segnata più da dolorose cadute ed amare sconfitte, che non da successi!" Silenzio e stupore generale. Tutti, ma soprattutto i giovani preti presenti, siamo stati "trafitti al cuore" da una paternità così affettuosa, così penetrante, da invogliare chiunque a rinnovare lo sforzo quotidiano nella ricerca di una sempre più profonda unità esistenziale fra la propria donazione personale nell'esercizio del ministero e la passione per il destino di pienezza di vita iscritto nel cuore dì ogni uomo.

Alla luce di questa testimonianza, forte ed autorevole, è davvero più facile rileggere la lezione del Concilio Vaticano II sul significato del celibato sacerdotale, confermata poi nella normativa giuridica del Codice di Diritto Canonico nel 1983. Infatti, se già San Paolo si considerava un "segregato per il vangelo di Dio" (Lettera ai Romani 1,1) allo scopo di salvare tutti, anche i Padri del Concilio sono convinti che i presbiteri possono raggiungere l'agoniata "unità di vita", sinonimo di pienezza umana o santità, solo unendosi "a Cristo nella scoperta della volontà del padre e nel dono di sé per il gregge a loro affidato", unità che "scaturisce soprattutto dal sacrificio eucaristico, il quale risulta quindi il centro e la radice di tutta la vita del presbitero" (Decreto sul Ministero e la vita dei presbiteri, 14). E "la perfetta e perpetua continenza per il Regno dei cieli ", raccomandata da Gesù e considerata dalla Chiesa Cattolica Latina come "particolarmente confacente alla vita sacerdotale" e "stimolo della carità pastorale", è confermata dal Concilio Vaticano II quale strumento affinché i presbiteri "si dedichino più liberamente a Lui e per Lui al servizio di Dio e degli uomini" (Decreto sul Ministero e la vita dei presbiteri, 16). Il Codice di Diritto Canonico del 1983 riprende alla lettera questa lezione conciliare ed afferma che i presbiteri "sono tenuti all'obbligo di osservare la continenza perfetta e perpetua per il Regno dei cieli, perciò sono vincolati al celibato, che è un dono particolare di Dio mediante il quale i ministri sacri possono aderire più facilmente a Cristo con cuore indiviso e sono messi in grado di dedicarsi più liberamente al servizio di Dio e degli uomini." (Canone 272 §1).

Giovanni Paolo II però, con l'autorevolezza affettuosa di un padre e la forza carismatica di un profeta, anticipa i principali significati esistenziali e spirituali di questa norma giuridica non solo nella citata testimonianza del 1980, ma anche e soprattutto in un testo ufficiale, ossia la lettera "Novo incipiente", da Lui inviata a tutti i presbiteri l'8 aprile 1979 (cfr AAS 71, 1979, 393-417). Qui, non solo risulta chiaro che il presbitero è un uomo "preso fra gli uomini... per il bene degli uomini" (Lettera agli Ebrei 5,1), ma anche e soprattutto che la particolare sollecitudine del prete per il destino ultimo di ogni uomo, tradizionalmente nota come "cura delle anime" e denominata da San Gregorio Magno "Arte delle arti", presuppone la rinuncia al matrimonio per il Regno dei cieli, rinuncia che si è una "ferita", che evoca quella "ferita metafisica" o desiderio di "unione mistica" (con la Bellezza e Pienezza della vita umana!) iscritto nel cuore di ogni battezzato e di cui parla il Catechismo al nr. 2014, ma anche e soprattutto un"dono straordinario", che il presbitero deve custodire con la coscienza di possedere "un tesoro in vasi di creta". Il "celibato per il Regno dei cieli", continua Giovanni Paolo II, "non è soltanto un segno escatologico, ma ha anche un grande significato sociale, nella vita presente, per il servizio del Popolo di Dio. Il sacerdote, attraverso il suo celibato, diventa l'uomo per gli altri, in modo diverso da come lo diventa uno che si lega in unità coniugale con la donna ... (e perciò)... cerca un'altra paternità, che si manifesta in tutta la sua chiarezza, quando il mantenimento della parola data a Cristo attraverso un consapevole e libero impegno celibatario per tutta la vita, incontra difficoltà, viene messo alla prova, oppure è esposto alla tentazione." (Lettera "Novo Incipiente", 8 e 9).

Gli fa eco Benedetto XVI quando afferma che il presbitero altro non è "se non un uomo convertito e rinnovato dallo Spirito" (Udienza generale del 1 luglio 2009) e come tale chiamato ad essere, sulle orme di Pietro, "pescatore d'uomini" (J. Ratzinger - Benedetto XVI, Servitori della vostra gioia. Meditazioni sulla spiritualità sacerdotale, Milano 2008, 76). Insomma, non c'è alcuna spaccatura fra la tradizione giuridica latina relativa al celibato sacerdotale e la passione per il destino ultimo di ogni uomo, che deve caratterizzare ed informare tutta la vita del presbitero. Anzi, proprio nel mondo d'oggi è vero il contrario: "... quanto più la perfetta continenza viene considerata impossibile da tante persone, con tanta maggiore umiltà e perseveranza debbono i presbiteri implorare assieme alla Chiesa la grazia della fedeltà che mai è negata a chi la chiede." (Decreto sul Ministero e la vita dei Presbiteri, 16).

 

 

 

 

 

Don Libero Gerosa

Cappellano di Sua Santità

Consultore Congregazione per il Clero

Lugano, 10 gennaio 2010 Festa del Battesimo del Signore