Spiritualità sacerdotale di don Dolindo,
aspetto morale
P. Massimiliano Pio M. Maffei, fi
1.
Il Sacerdote Dolindo Ruotolo
Prima
di addentrarci nel tema interessante e nuovo un po’ per tutti, giova dare
qualche cenno sulla figura di questo “santo” Sacerdote. Chi è don Dolindo
Ruotolo?
“A soli 3 – 4 anni al più, stando in piedi e
poggiato sulle ginocchia materne le dicevo: Io sarò sacerdote”.[1] “Io
non ho desiderato mai né carriera, né onori, né elevazioni, ho desiderato di
essere un umile Sacerdote, tutto Sacerdote, solo Sacerdote”.[2]
Bastano queste ultime parole riportate da una lettera alla mamma, per farci
subito comprendere con che tempra di uomo e sacerdote abbiamo a che fare. Nasce
in uno dei posti più poveri di Napoli, in Vico Carbonari a Forcella, 12, il 6 ottobre 1882, da una famiglia povera
ma dignitosa. Il papà era ingegnere e professore, nonché autore di due libri,[3]
la mamma, discendente da una nobile famiglia, era casalinga. Fu il quinto di
undici figli, di cui i tre maschi tutti consacrati nel sacerdozio, mentre le
sorelle erano tutte consacrate laiche e nessuna di esse si era sposata,
votandosi completamente ai tre fratelli sacerdoti.
Nell’anno
Sacerdotale non si poteva fare a meno di mettere in rilievo e nella giusta luce
la figura poliedrica di don Dolindo, un Sacerdote tutto d’un pezzo, fatto
mitezza, umiltà, amore per la verità, a costo di rimetterci tutto. La sua è una
figura “dinamica”, che non si arrende facilmente, schiacciato, distrutto come
uomo e come Sacerdote, condannato alla peggiore delle condanne che possa
colpire un Sacerdote: la sospensione a
divinis, (in totale per circa diciannove anni e sei mesi!), non si arrende,
il suo amore per la Chiesa è talmente forte, prorompente, che non gli lascia
respiro alcuno, si dà alla gloria di Dio attraverso la musica, componendo e
suonando all’organo e accompagnando i pezzi con la sua voce di baritono.
La
sua vita è costellata di sofferenze, di incomprensioni; più lui cerca di fare
chiarezza nelle vicende che lo riguardano, più la sua vita si complica. A
riguardare alcuni momenti della sua vita travagliata si vede proprio la mano
pesante di satana, che confonde le carte, che fa apparire cose inesistenti, che
crea una cortina nebulosa, piena di ombre e di accuse. Un’altra persona meno
dotata di forte spiritualità, di pazienza eroica, diciamolo pure con
franchezza, di santità, avrebbe mollato, avrebbe mandato tutto all’aria, invece
don Dolindo tiene duro, si difende magari a denti stretti, non per se stesso,
ma esclusivamente per amore della verità. Il sacrificio è l’inizio di ogni
grande causa e dopo il Calvario è la conclusione di ogni opera divina e tutto
questo viene vissuto da lui fino all’immolazione completa di sé; infatti la
sera del 9 giugno 1910, innanzi al SS. Sacramento, don Dolindo giurò
solennemente la sua totale dedizione e s’immolò a Lui come vittima per la
Chiesa e per tutti i Sacerdoti.
Due cose difende a spada tratta: la Chiesa,
per cui darebbe la vita, senza pensarci nemmeno un istante e il Sacerdozio, che
per lui rappresenta la punta di diamante nella Chiesa. Il carisma che illuminò
la missione che il Signore gli aveva assegnato sulla terra è stato l’amore,
cioè l’amore a Dio, alla Madonna, alle anime, alla Chiesa, per la quale immolò
tutta la sua vita, e infine l’amore per i Sacerdoti. C’è una pagina molto bella
ed espressiva tra i suoi scritti, è una lettera alle figlie spirituali, che qui
di seguito riporto e che è un vero e proprio inno alla Chiesa.
«O santa Chiesa di
Dio, come sei una, santa, cattolica e apostolica nella tua vita liturgica e nel
canto del tuo amore! Questo è il fiore profumato e il frutto ubertoso della tua vita; qui
non c'è macchia né ruga, poiché qui la tua fede è piena, la tua speranza è fulgida,
la tua carità è ardente, la tua unione con Dio è completa. Questi canti sono le tue voci di pellegrina, i
gemiti della tua prova sulla terra, i sospiri del tuo cuore all'eterna gloria dal luogo dove i tuoi figli sono purificati
per le eterne nozze, i canti del tuo amore trionfante!
Chiesa di Dio, io
piccola anima pellegrina mi unisco alla tua dolce penetrante, immensa voce, e mi armonizzo a te come povero
strumento che si accorda coi suoni ideali per non stonare. Pregando e
cantando mi libero di
me,
perché prego e canto con te;
sono come arpa tua, tua cetra, tuo salterio, tuo cembalo, tuo flauto, tuo
organo salmeggiante nella luce della verità e nella fiamma dell'amore!
O Chiesa Cattolica, o
santa Chiesa di Dio, qui non hanno luogo le caliginose incertezze della
povera scienza umana, perché tutto è fede e perciò tutto
è
verità. Qui non penetra la presunzione dell'orgoglio, perché tutto è
dedizione di umiltà. Qui non hanno luogo le passioni umane, perché tutto è calma
serena. Qui non risuonano le note della povera musica terrena, che tenta armonizzare
le disarmonie del dolore e dei sensi, e grida come una sconsolata senza meta. Qui tutto è
vita soprannaturale, tutto è anima vivificata dalla grazia, che cantando
s'alleggerisce dal peso del corpo, diventa diafana, e s'immerge nello splendore
della tua luce, o Dio di amore, lodandoti e amandoti con la stessa voce del tuo Verbo e la stessa fiamma
del tuo Infinito Amore!
O colombe di Gesù, o
anime vivificate dal suo amore eucaristico, cantate con la Chiesa al Signore il
canto dell'amore che vive e della vita che ama. Sia vostra eredità il canto
della Chiesa, che vi affido come mio testamento, figlie mie, e vostra premura nella solenne
orazione vespertina, far sentire al mondo dai vostri nidi il dolce tubar dell'amore che riposa
nell'Infinito Amore. Vi benedico tutte +++
Il povero Sac.
Dolindo Ruotolo (Dain Cohenel)»[4]
Un
Sacerdote che ama in modo così profondo la Chiesa, non poteva non essere la
perla nascosta di cui parla il Vangelo. Egli è trasparenza di Dio, è riflesso
dell’amore immenso del Padre. Bisogna leggere la presentazione
dell’autobiografia di don Dolindo da parte del Venerabile Padre Allegra, per
poter afferrare un poco in più della personalità di questo Servo di Dio:«Don Dolindo è l’interprete vivo di tale
obbedienza evangelica. Egli, come il Servo, non solo non contestò mai, ma
neppure si difese – come altri Santi hanno pur fatto -, ma unicamente obbedì,
affidò a Dio la sua causa e obbedì sino all’annientamento, alla distruzione di
se medesimo. Si trattava del medesimo calice, che il Padre celeste aveva
dapprima offerto al suo divin Figliuolo, il Redentor nostro: come avrebbe
potuto Egli – il servo del Servo – rifiutarlo?»[5]
2.
Il Sacerdozio nelle parole di Don Dolindo Ruotolo
Cerchiamo
di cogliere alcune riflessioni sul Sacerdozio negli innumerevoli scritti del
Servo di Dio Dolindo Ruotolo, scritti,
che hanno una caratteristica davvero
singolare,
quella dello stile dell’Imitazione di Cristo.
“Tu
es Sacerdos in aeternum” parole di fuoco, di amore bruciante, che vengono a
scolpirsi o meglio a incidersi a caratteri d’oro nell’anima dell’Ordinato
Sacerdote, un sigillo di fuoco, ovvero un carattere indelebile nell’anima con
l’Ordine Sacro. «Lo Spirito Santo che
formò il corpo al Verbo Umanato, nel seno di Maria, rendendolo vittima e
Sacerdote, si comunica talmente all’uomo nell’atto dell’Ordinazione, da
formarne quasi una novella creatura».[6]
La vita del novello Sacerdote cambia
connotati, prende una nuova strada, «Il
Tempio, la casa di Dio diventa la sua dimora, il posto di guardia che il
Redentore gli ha assegnato nella sua reggia per essere mediatore delle anime,
per vigilarle, per salvarle».[7]
«Sei
Sacerdote, sei la creatura più privilegiata, perché l’anima tua è ricca di me»[8]… e ancora: «Il Sacerdote non può dire: Io sono un uomo come gli altri, se è Gesù
vivente».[9]
Altrove scrive: «Da Maria presi il corpo
umano, dal Sacerdote prendo il Corpo mistico, che è formato dall’apostolato
sacerdotale».[10]
«Il
Sacerdote deve essere un altro Gesù, non solo per l’altissima dignità della
quale è rivestito, ma anche per la vita santa, tutta modellata su quella del
Redentore. Il demonio prende di mira specie i Sacerdoti, e li tenta con
maggiore furia, proprio per sfigurare in essi l’immagine di Gesù Cristo».[11]
«Il
Sacerdote non perde la natura di uomo, ma per la grazia del Sacramento
dell’Ordine è trasfigurato; egli è come immerso in Gesù Cristo, è un altro
Gesù, agisce in suo nome, parla con la sua parola, opera con la sua potenza».[12]
La
definizione più consone e più bella che don Dolindo dà del Sacerdote è ancora
questa: «Egli è mediatore tra Dio e il
popolo con la preghiera, ed è messaggero di Dio al popolo con l’apostolato».[13]
Quanto sono vere queste parole, sembrano scolpire nel marmo il volto vero del
Sacerdote, di Colui che è alter Christus.
Il Sacerdote forma il corpo di Cristo e lo dona al popolo di Dio, è una
continua corrente di amore, di carità che fluisce dal Sacerdote verso le anime
in contatto con lui. Il tesoro più grande per il Sacerdote è proprio la S.
Messa, durante la quale egli stesso s’immola con Gesù sull’altare per placare
la giustizia di Dio. Don Dolindo afferma anche che il Sacerdote è come trasfigurato
in un’altra creatura, non è più un uomo, è superiore agli Angeli, è un altro
Gesù Cristo. Se tanti Sacerdoti
comprendessero questa grande verità, non abdicherebbero alla grandezza della
loro missione e del dono ricevuto.
I
Sacerdoti sono i testimoni di Cristo, devono portare Cristo agli altri. Anche
l’abito ha la sua importanza, perché è un segno di appartenenza totale a Dio,
un segno distintivo. Purtroppo oggi non si usa più, ed è un guaio, perché ci si
può facilmente confondere tra gli altri, perdendo la propria identità e cadendo
nella rete della tentazione. “L’abito non
fa il monaco, è vero, scrive don Dolindo, ma lo rivela e possiamo dire anche che lo aiuta a farlo internamente”.[14]
E altrove scrive: “Il Sacerdote deve
essere santo, non può essere del
mondo”.[15]
La sua vita deve essere riflesso del Volto di Cristo, deve essere l’immagine
purissima di Dio. Fino alla fine della sua vita Don Dolindo ha mantenuto sempre
fede al suo Sacerdozio, spendendo ogni istante della vita per onorare Dio e
mantenendo fede agli impegni presi il giorno dell’Ordinazione. Di sacerdoti
come lui ce ne vorrebbero tantissimi.
La figura sacerdotale negli scritti di don
Dolindo è portata in primo piano e risalta in tutto il suo fulgore, in tutta la
sua magnificenza.
La
vita sacerdotale, secondo don Dolindo, ha tre tappe:
· Sorge nella luce della vocazione;
· Splende nella luce dell’apostolato;
· Tramonta nella luce del sacrificio e
dell’immolazione.[16]
3.
Caratteristiche del Sacerdote
Una
caratteristica che il Sacerdote deve ricercare è l’unità tra l’interiorità e
l’esteriorità, tra l’azione e la contemplazione, un programma di vita, che nel
caso di
don
Dolindo è vita vissuta. Tali caratteristiche sono la cartina di tornasole
dell’autenticità di una vita spesa tutta per amore della chiesa.
Seguendo
l’insegnamento di san Francesco di Sales nella vita devota: la perfezione è per
tutti senza confusione di ruoli, per cui il sacerdote vive la carità pastorale,
il laico la sua dimensione di impegno nel mondo, il religioso la sua ricerca
della vita eterna. La perfezione è, quindi, un perfetto equilibrio fra le forze
fisiche, le occupazioni e i doveri del proprio stato[17].
Tale descrizione ci consente di osservare il sacerdote nelle sue relazioni
sociali ed ecclesiali, nella sua crescita spirituale totale e nei suoi limiti e
peccati. La lezione di san Francesco di Sales è stata recepita dal Concilio
Vaticano II che indica la via della santità come sviluppo battesimale dei doni
che ogni credente ha ricevuto (LG 40-41). La perfezione del Padre celeste è lo
sfondo di ogni vocazione (Mt 5, 48). Quella sacerdotale si muove nella sinfonia
delle altre vocazioni alla santità. Ci si salva insieme per accedere al Regno celeste.
La
santità mostra un cammino di unificazione spirituale in cui ogni dimensione è
armonicamente unita alle altre. Nel sacerdote ciò significa che tutte le sue
azioni sono il frutto di un lavoro serio di discernimento in cui Dio è il
partner principale. Bisogna impostare una vita pastorale in cui il punto di
riferimento sia la santità di vita per se stesso e per il popolo a cui è stato
affidato. Vi è una ecclesialità della santità da vivere nella vita religiosa,
importante al fine di edificare tutta la chiesa: «in realtà - scrive il Papa
Giovanni Paolo II - porre la programmazione pastorale nel segno della santità è
una scelta gravida di conseguenze. Significa esprimere la convinzione che, se
il Battesimo è un vero ingresso nella santità di Dio attraverso l'inserimento
in Cristo e l'inabitazione del suo Spirito, sarebbe un controsenso
accontentarsi di una vita mediocre, vissuta all'insegna di un'etica
minimalistica e di una religiosità superficiale. Chiedere a un catecumeno:
“Vuoi ricevere il Battesimo? “ significa al tempo stesso chiedergli: “Vuoi
diventare santo?”»[18].
Se
la perfezione è armonia fra le parti, la conseguenza è che la vita morale,
quella spirituale e quella tipicamente teologica sono fortemente unite. Spesso
noi le consideriamo l’una dopo l’altra o l’una opposta all’altra, ma
nell’esperienza di don Dolindo e particolarmente nei suoi scritti ci accorgiamo
che sono un’unica realtà. Ad esempio non si può scindere il trasfigurasi in
Cristo dalla pratica delle virtù. Anzi,
il primo è il fondamento, per cui possiamo parlare di una vita morale
del prete. Il trasfigurarsi è un vero atto dello Spirito che trasforma il
sacerdote in Cristo. Nel mondo orientale si parla di divinizzazione. Con il
Concilio di Trento nella sezione sulla giustificazione si sostiene che il
credente è in cammino di santità. La grazia santificante svolge un duplice
ruolo: la remissione del peccato e la santificazione. Il peccato non distrugge
la natura, ma la indebolisce: «la giustificazione non è soltanto la remissione
dei peccati, ma anche la santificazione e il rinnovamento dell’uomo interiore
per mezzo dell’accoglimento libero della grazia e dei doni, per cui l’uomo da
ingiusto che era diventa giusto, da nemico di Dio diventa amico»[19].
E poi «riceviamo da Dio la giustizia come dono che ci rinnova nell’intimo della
nostra mente; non solo siamo considerati giusti, ma veramente tali siamo
chiamati e tali siamo quando riceviamo in noi la giustizia, ciascuno secondo la
misura che lo Spirito Santo elargisce come vuole e secondo la disposizione e
cooperazione del singolo»[20].
Vi è una cooperazione dell’uomo che con la grazia santificante si incammina per
le strade della perfezione. Il Sacerdote, come gli apostoli che Gesù Cristo si
scelse, deve praticare tutte le virtù e particolarmente la carità, che è alla
base del suo apostolato.
Don
Dolindo è categorico su questa virtù. «Se
un sacerdote è cieco su questi precetti di carità e non li osserva, porterà il
popolo alla rovina, e formerà delle anime senza carità. Non vale la scusa che
si giudica per deplorare e si è severi verso il prossimo per ottenere il suo
miglioramento, perché colui che trasgredisce la legge della carità non propugna
il bene vero, che deve cominciare da sé, ma osserva la pagliuzza nell’occhio
del suo fratello, trascurando la trave nel proprio occhio. Il sacerdote deve
stabilire il suo apostolato sulla roccia della carità. E’ questa la grande
risorsa dello zelo per condurre a salvezza le anime, perché noi siamo stati
redenti dalla carità di Gesù Cristo, e solo nel suo amore possiamo continuare
la conquista dei cuori a Lui, fino al termine dei secoli».[21]
Don
Dolindo continua: «Quando, dopo la debita
preparazione, si viene in più immediato contatto con le miserie corporali e
spirituali del popolo, si sente di più il dovere di santificarsi e di operare.
Il contatto stesso di anime più buone, avide della divina Parola, sollecite del
loro miglioramento ed umili nelle loro colpe o debolezze, concorre a suscitare
nel cuore l’emulazione della virtù e il timore di poter arrecare scandalo».[22]
Dicevo
all’inizio di questo capitoletto: unità tra interiorità ed esteriorità. Il
sacerdote dovrebbe essere esteriormente quello che è interiormente, nell’abito,
nel comportamento, nelle parole, dovrebbe essere, cioè, nell’atteggiamento
esteriore uno specchio fedele della
sua vita interiore. Don Dolindo vestiva sempre la talare, il rosario tra le
mani e l’immancabile borsa piena di pietre, per fare penitenza, ecco l’aspetto
esteriore che denunciava, in profondità,
una vita di preghiera, di penitenza, di raccoglimento.
Anche
per quanto riguarda l’azione e la contemplazione, don Dolindo è stato un
vulcano sempre pronto ad esplodere. Se si ha, infatti, l’anima piena di Cristo, se si ha in petto
il sacro fuoco dell’amore di Dio, si sente giocoforza l’impeto, il furore di
trasmettere agli altri questo amore, questo fuoco divorante. Padre Matteo
Crawley, l’apostolo della consacrazione delle famiglie al Sacro Cuore, traduce
esattamente il pensiero di S. Tommaso:“L’apostolo è un calice ricolmo della vita
di Gesù Cristo, la cui sovrabbondanza trabocca, riversandosi sulle anime”.[23]
Chautard
nel suo libro “L’anima di ogni apostolato” usa un esempio molto tenero a questo
proposito: la madre può allattare il suo figlioletto solo se alimenta se
stessa; così don Dolindo, poteva
incendiare le anime perché alimentava la sua anima al fuoco dell’Amore, alla scuola
della Croce. La sua vita era scandita da orari quasi assurdi: dormiva
all’inizio solo tre ore e mezzo, di notte, ma dopo un esorcismo in cui il
demonio gli promise che non gli avrebbe fatto terminare il libro che stava
scrivendo sulla Madonna, egli ridusse ancora di un’ora il sonno. Non pensiamo,
però, che dormisse su un soffice
materasso, quando si coricava, faceva uso di tre tavole e di un pagliericcio,
che ancora si conservano, ma il più delle volte si coricava sulla nuda terra,
su dei fogli di giornali, per penitenza. Prima di celebrare la S. Messa alle
ore 7, pregava e dopo la preghiera scriveva. I suoi scritti denotano una grafia
sempre uguale, ordinata, senza sbavature, senza cancellature, come sotto
dettatura. Oggi un tipo di vita come la conduceva don Dolindo, potrebbe far
sorridere più di un benpensante, ma per questo sacerdote santo era una
questione di coerenza di vita, di una dimostrazione di amore per Dio. Egli non
si concedeva sconto alcuno, era sempre sulla breccia.
Chautard
scrive ancora che la vita interiore e la vita attiva si chiamano a vicenda. Con
la vita contemplativa il santo attinge direttamente nel Cuore di Dio quelle
grazie che poi con l’azione distribuisce. La vita interiore è quindi sorgente
della vita attiva.
Altre
virtù necessarie nel Sacerdozio sono indicate da don Dolindo: purezza, povertà,
semplicità, fiducia in Dio o meglio abbandono alla sua infinita misericordia. I
tre voti contratti alla professione semplice – come lazzaristi - e ratificati
nella professione perpetua li ha mantenuti fino alla morte. Per quanto riguarda la povertà, in modo
particolare, ha mantenuto una fedeltà assoluta, fino a fare voto di non
accettare elemosina alcuna per la celebrazione delle S. Messe, voto che il
fratello gli fece togliere dal Santo Padre, dato che viveva assieme alla
famiglia in una situazione di povertà che rasentava l’indigenza più assoluta.
Non era tenuto al voto della povertà e agli altri due voti, perché era stato
messo fuori dall’Istituto dei Lazzaristi e agiva come sacerdote semplice nella
diocesi di Napoli, eppure ha sempre
tenuto fede ad essi.
L’abito
suo abituale è stato, però quello della purezza fino all’ultimo istante della
vita, che traspariva dalla sua persona, dal suo comportamento riservato e
dignitoso.
Incuteva
rispetto in tutti coloro che lo avvicinavano e molti monasteri anche di
clausura lo invitavano, proprio per la sua profonda correttezza, a tenere
ritiri ed esercizi spirituali.
Era
in sintonia spirituale anche con la carmelitana Beata Suor Giuseppina dei Ponti
Rossi di Napoli.
Proprio
per la sua correttezza morale Sua Eminenza il Cardinale di Napoli Alessio
Ascalesi lo mandava a fare apostolato nell’ospedale della Pace fra le donne,
che conducevano il mestiere più antico del mondo, che erano ricoverate e
sebbene all’inizio fosse bersagliato dai motteggi di queste donne egli con la
sua delicatissima carità riuscì ad ottenere la conversione di moltissime di
esse.
Ecco
cosa scrive nel commento a S. Paolo, seconda lettera ai Corinzi:[24]
«Il sacerdote deve vivere con purezza, castamente, come un angelo». E
altrove[25]:
«Sii sano tu nella purezza e nella
fedeltà alla tua vocazione, per dare agli altri la salute dell’anima».
In
una lettera del 10 febbraio 1960 a Mons. Cicconardi, don Dolindo[26]
scrive a proposito della fisionomia morale del sacerdote: «Il sacerdote deve essere santo, non può avere contatti col mondo: ogni
contatto lo avvelena, è per lui un’infezione, lo rende tubercolotico. Il
televisore, il cinema, le amicizie mondane, la dissipazione dei giuochi e dei
divertimenti, sono colture di microbi patogeni, sono lue che lo rendono
infecondo, anzi infetto, e non può dare che infezioni».
In
un articolo, Ascetica sacerdotale,
comparso su una rivista,[27]
Don Dolindo è ancora più incisivo: «Il
sacerdote è un angelo; l’angelo viene dal Cielo, custodisce le anime, ma non le
attira a sé. E’invisibile. Il sacerdote deve vivere di Dio, deve custodire le
anime e per loro essere invisibile alla natura». Più oltre in questo stesso articolo esprime ancora meglio il
ruolo del sacerdote: «Il sacerdote deve
raccogliere le ricchezze del Cuore di Gesù e deve darle alle anime, queste a
loro volta debbono essere come trombe aspiranti, debbono vuotarsi della loro
materialità e della loro vanità affinché possa in loro rifluire la vita divina.
Inutilmente le anime stanno di fronte all’azione sacerdotale, se sono piene di
sé».
La
spiritualità di don Dolindo manca, nel senso più assoluto, di malinconia, era
sempre sereno e gioioso, perché viveva in costante unione con Gesù.
C’è infine nelle parole di don Dolindo una
necessità prioritaria: il contatto continuo con Gesù Sacramentato per dirGli
tutto. Quando ferveva la lotta contro di lui, spesso apriva il Tabernacolo e
cominciava a parlare con Gesù e piangendo, raccontava tutta la piena del suo
cuore sacerdotale. Oggi, il sacerdote, soprattutto nella parrocchia, preso da
mille impegni burocratici, non ha nemmeno il tempo del ringraziamento dopo la
S. Messa e si trascura spesso dal punto di vista spirituale.
La
fecondità del sacerdozio di un santo Curato d’Ars o di un don Dolindo è dovuta all’intensità della
preghiera, alla purezza e alla frequenza del contatto con Gesù Sacramentato.
Don
Dolindo, infatti, afferma: «La purezza
nel Sacerdote è segreto della fecondità spirituale, perché con questa virtù
egli dona veramente Gesù Cristo e lo forma nelle anime». [28]
4.
Vita morale e vita eucaristica
La
trasfigurazione del sacerdote ha il suo apice nella vita eucaristica. Possiamo
ben dire che nel sacerdote la vita
morale è legata all’eucaristia. Nella riflessione di don Dolindo è centrale
l’esperienza dell’Eucaristia come fonte e culmine della vita morale del
sacerdote. Si può scorgere una morale tutta intrisa di eucaristia, in cui tutta
l’azione del sacerdote parte ed arriva al cuore della vita trasformata in
Cristo, cioè: il rendimento di grazie. L’Eucaristia vissuta si traduce in una
forte valenza morale che non scade mai nel moralismo presente spesso in certe
omelie. La vita morale del sacerdote è esperienza concreta di rendimento di
grazie. Partecipando alla vita di Cristo nell’Eucaristia, il sacerdote viene
invaso dalla grazia sacramentale che lo illumina circa il proprio peccato e i
suoi allontanamenti dalla presenza di Dio.
Il
Papa Benedetto XVI sottolinea questa dimensione della morale: «La
trasformazione morale, implicata nel nuovo culto istituito da Cristo, è una
tensione e un desiderio cordiale di voler corrispondere all’amore del Signore
con tutto il proprio essere, pur nella consapevolezza della propria fragilità»[29].
Il cammino di trasformazione in Eucaristia del sacerdote prevede una coscienza
forte del proprio peccato, come apertura alla grazia sanante e trasformante.
Don Dolindo ha fatto dell’eucaristia il centro della sua vita, ha scritto
tanto, anche se a noi l’opera principale sull’Eucaristia, “In candore animae”, è giunta monca e non siamo riusciti a capire il
perché. Un’ipotesi molto probabile è che i ladri abbiano potuto asportare
alcuni mobiletti, dove potevano esserci anche dei quinterni dell’opera, probabilmente
estrapolati dall’opera per una ragione che sfugge.
In don Dolindo il processo è caratterizzato
da un’ascesi continua, sostenuta sempre dalla grazia divina. L’estinguere i
vizi è possibile solo, quando brucia il fuoco dell’amore. La sua riflessione si
tinge di agostinismo: solo l’amore
produce nel cuore dell’uomo una sete inestinguibile di vita eterna, per cui si
cerca Dio sopra ogni cosa, liberandosi dal peso dei peccati[30].
L’itinerario
mistico che don Dolindo traccia per la via della santità, passa
obbligatoriamente per l’Eucaristia
divenendo un itinerario possibile e stupendo per un sacerdote desideroso di
avanzare nella vita santa. La vera felicità è raggiungere il possesso di Dio.
L’avanzamento è delineato dalla luce di trasfigurazione che inonda il cuore del
sacerdote. Chi riceve Cristo nel suo sangue e nella sua carne si apre alla
conoscenza di se stesso. Gesù presente nelle specie eucaristiche dialoga con il
sacerdote, mostrandogli il cammino da compiere nella sua vita. È un colloquio
personale, intimo, unico che si indirizza al bene del sacerdote stesso. In
questa realtà Dio stesso chiarisce la personalità del sacerdote; ne rende
evidente i limiti; ne evidenzia il valore. In questo modo il sacerdote scopre
il suo amore per Dio e percepisce che il suo amore è ancora trattenuto nel
fango del peccato.
La
riflessione di don Dolindo segue l’itinerario carmelitano. Riconoscimento del
peccato per essere aperto a Dio che vuole abitare nella sua interiorità. A
questo livello bisogna sviluppare le varie virtù che Dolindo descrive e i doni
di grazia che riceve. L’incontro eucaristico è trasformante, perché lo Spirito
di Dio lo fa partecipe del mistero della santificazione. Anche il sacerdote
entra nel mistero della santità di Dio e si può realizzare infine il matrimonio
mistico durante l’Eucaristia. Ciò significa che la dimensione sacramentale è
fondamentale per la vita morale. L’unione con Dio si realizza nella generosità
di una vita spesa per Dio e per il prossimo. Possiamo notare come il cammino
mistico sia segnato dai sacramenti. Non dimentichiamo l’aspetto della
riconciliazione come sacramento. Il proprio peccato viene trasformato dalla
grazia in forza e in potenza di Dio.
Il Santo Padre Giovanni Paolo II, nella
visita pastorale in Campania,[31]
nell’incontro con i sacerdoti, i religiosi e i seminaristi sottolinea due
aspetti della vita sacerdotale: la coerenza della fedeltà e il coraggio
della testimonianza, due momenti particolarmente importanti e
significativi; due espressioni molto forti, che ben si adattano ai Sacerdoti e
in particolare al sacerdote don Dolindo, che le ha vissute entrambe a prezzo di
sangue, testimoniando fino alla morte il suo amore alla Chiesa, al sacerdozio e
alla verità. Don Dolindo, infatti, pur perseguitato, pur incompreso, ha
mantenuto sempre fede alla coerenza di vita e alla testimonianza a 360 gradi,
con la sua croce vissuta e accettata. Possiamo affermare, quindi, senza timore
di essere smentiti, che, in don Dolindo sia la fedeltà che la coerenza portano
entrambe alla testimonianza, non solo con le parole, ma anche e soprattutto con
la vita. In altri termini si tratta di assumere in sé la Chiesa e renderla
viva, presente nel popolo di Dio.
Il
Santo Padre Giovanni Paolo II, nello stesso discorso, invita i sacerdoti, i
religiosi e i seminaristi a nutrirsi della parola di Dio: «Voi siete inviati da Cristo stesso, come operatori di verità e
testimoni intrepidi del suo Vangelo. Siate in mezzo al vostro popolo anzitutto
testimoni della presenza e della santità di Dio. Sull’esempio del Signore Gesù
che era in continuo dialogo col Padre, e con la forza dello Spirito Santo,
siate uomini di vita interiore. La meditazione assidua e fervorosa della Parola
di Dio, la celebrazione del mistero eucaristico che “è posto nelle vostre
mani”, l’esperienza frequente e rigenerante del sacramento della Penitenza, la
fedele preghiera della Liturgia delle Ore e la tenera e filiale devozione alla
Vergine Maria, diano consistenza concreta al primato di Dio nella vostra vita.
La fedeltà a Cristo non può essere separata dalla fedeltà alla sua Chiesa…».
E’questa una sinfonia sempre in crescendo, che culmina nell’amore alla
Vergine Maria.
Leggendo
queste parole sembra di leggere don Dolindo, ma continuiamo a meditare ad alta
voce con questo sacerdote napoletano: «La
S. Messa è l’azione centrale dell’attività del Sacerdote; è il grande mezzo
della sua santificazione, la predica più viva che può fare al popolo, la
preghiera più solenne. Il sacerdote deve ponderare che all’Altare ha in mano le
sorti del mondo, poiché la Messa è il sacrificio di adorazione, di
ringraziamento, di espiazione e di preghiera che supplisce l’umana
insufficienza e fa piovere sulla terra la misericordia e la pace».[32]
E
ancora don Dolindo prosegue: «Il
Sacerdote può sentirsi come coperto dei peccati di tutti, pensando che è
mediatore di misericordia, e la sua Messa diventa tutta condita di umiliazione
profonda e di riparazione; può sentirsi accorato per le sofferenze del prossimo e la sua Messa diventa una
supplica ardente per sollevarle; può sentirsi come ammantato di tenerezza e
carità nella sua paternità spirituale, e considerare il popolo come sua
particolare famiglia, conducendolo al Cielo con l’esempio e con la preghiera,
quasi fosse per lui novello Mosè nel pellegrinaggio terreno».[33]
Il
Sacerdote deve trasfigurarsi in Gesù, essere realmente alter Christus, deve essere riflesso di Cristo, specchio dell’Amore
infinito del Padre. Un diamante più è puro e più riflette l’immagine del
cercatore. Il Sacerdote deve essere il diamante della Chiesa. L’Altare è il monte della mia trasfigurazione, afferma Don Dolindo. Le
parole di don Dolindo sono talmente significative e tutte intrise di amore, che
davvero dovremmo leggere tutti questo libro meraviglioso che parla del
Sacerdote e del Sacerdozio. Libro che dovremmo meditare tutti con calma, anche
se ha un grosso difetto: la carta si è ingiallita, ha infatti 70 anni, il
carattere è molto piccolo etc, ma dall’altra parte è un libro eccezionale per i
contenuti e molto utile per entrare nello spirito di don Dolindo, nella
profondità del suo pensiero, nella bellezza delle sue riflessioni e nella
grandezza della vita sacerdotale. Spero che al più presto riusciremo a
ripubblicarlo in veste moderna e agevole nella lettura.
5.
Aspetto mariano della vita morale
La
vita morale del sacerdote ha un aspetto mariano fondamentale. La lotta contro
le tentazioni, la dirittura di vita di ogni giorno devono essere messe sotto il
manto di protezione della Madonna. Più si è mariani e più si è certi di poter
proseguire nel mondo indenni, quasi del tutto, dal male. La marianità del
sacerdote è uno degli aspetti più
trascurati, anche se molto importante, del sacerdozio, perché
l’Immacolata opera Lei laddove si è carenti, insufficienti e poco santi. Lo
scopo dell’Immacolata è anzitutto quello di santificarci per poi poter portare
a Dio e quindi santificare tutti coloro che riusciamo ad avvicinare.
Don
Dolindo non mostra la Vergine solo come modello che il sacerdote deve imitare,
ma parla di una vera e propria esperienza mariana. Qual è il segreto della vita
del sacerdote? Vivere di Maria, imitare Maria, operare con Maria, ecco il gran
segreto! Potrebbe sembrare un ricalcare san Luigi Grignion de Montfort, o san
Massimiliano M. Kolbe, in realtà da buon napoletano e alla scuola di
Sant’Alfonso delinea una dimensione mariana della fede del sacerdote[34].
La via mariana è vita sotto l’azione dello Spirito; è vita morale vissuta in un
continuo relazionarsi con fatti che ci spingono a decidere sempre e comunque
per Dio.
Cerchiamo
di rileggere la vita morale del sacerdote alla luce di Maria SS. Bisogna
meditare tutta la storia del Figlio e confrontarla con la propria per giungere
a decisioni importanti per la nostra vita di sacerdoti. Quando si parla di vita
morale, si deve giungere a riflettere sul ruolo del discernimento nelle vicende
di ogni giorno, in cui si attua e si deve attuare l’opzione fondamentale, in
cui, poi, ritrovare la ragione dell’essere mariani.
Bisogna
ricercare sempre una concretezza dell’esistenza del sacerdote alla luce di
Maria SS. nelle diverse circostanze della vita. Operare con Lei significa porre
lo Spirito santo come artefice principale della propria vita. La testimonianza
diventa continuità della vita morale e di quella spirituale.
Don
Dolindo, che ha amato la Madonna di un amore tenerissimo, tanto da dedicarLe
molti suoi scritti, di cui, purtroppo, alcuni non ancora pubblicati, afferma: «Il sacerdote non può rispondere alla
chiamata di Dio e ai doveri della sua vocazione, se non ricorre a Maria SS..
Essa, splendore riflesso e immacolato dell’Eterno splendore, candor lucis
aeternae, come canta la Chiesa, essendo Madre vera dell’Eterno Sacerdote fatto
uomo, è madre di tutti i sacerdoti. Non si forma Gesù Cristo nel cuore e nella
vita dei sacerdoti senza Maria SS.; Colei che generò il modello divino, deve
formarne le immagini vive, Colei che donò al redentore il corpo
dell’immolazione, deve dare ai sacerdoti la grazia di formare della loro vita
una perenne immolazione».[35]
E
ancora don Dolindo prosegue: «Chi non si
sente attratto a Maria, Madre del Redentore Divino, considerando la
magnificenza della sua maternità? Chi, chiamato da Dio al sacerdozio, non
riconosce in quella splendente grandezza la propria mamma, Colei che deve
generarlo a Gesù Cristo e generare in lui Gesù Cristo? Essa, immacolata e
purissima, si raccolse tutta in Dio e visse in un profondo annientamento
interiore di arcana umiltà». [36]
Bisognerebbe
sentire con Maria, essere una sola cosa con Maria, essere un tutt’uno in lei, essere un giglio di purezza, avere
un’immacolatezza profonda con cui vivere il rapporto con Maria e solo così il
sacerdote può comprendere la grandezza del ministero a lui affidato.
6.
Conclusione
Ci
sarebbe ancora tantissimo da dire su don Dolindo e i vari punti che abbiamo trattato,
ma è bene concludere e lo facciamo con Maria SS. Leggiamo cosa scrive don
Dolindo:
«La devozione filiale a Maria non è per il
Sacerdote un semplice atto di pietà, non è accidentale alla sua vita, è un
dovere ed una necessità imprescindibile per santificarsi, per essere fecondo
nel suo ministero, per essere fedele ai suoi doveri sino alla morte. Egli,
infatti, come Sacerdote compie gli uffici di Maria verso il Verbo Umanato, e
può solo da Lei imparare a trattarlo con delicato ed adorante amore, quando
quasi lo genera sull’Altare e nelle anime».[37]
E
ancora, più oltre, scrive: «Maria ama
immensamente Gesù, ama perciò chi gli
appartiene, chi gli somiglia, chi vive in Lui e forma come una sola cosa con
Lui, e per questo, logicamente, ha un amore materno per il suo Corpo Mistico,
un amore particolarissimo per i suoi Sacerdoti».[38]
Possiamo
racchiudere in cinque tappe fondamentali il cammino del sacerdote nei confronti
di Maria SS.:
1 tappa: conoscenza, don Dolindo ha cercato con
tutte le sue forze, con tutto se stesso di studiare, di approfondire il mistero
di Maria SS. Nella sua ultima opera sulla Madonna racconta quanta fatica gli è
costato scrivere, perché già toccato dalla paralisi al lato sinistro; ha
studiato un’opera Summa aurea de
Laudibus, B.V. Maria, di J. C. Trombelli, tutta in latino, e ha scritto ben
tre volumi sulla Madonna, per il momento non ancora pubblicati.
2 tappa: imitazione, don Dolindo ha tentato con
tutto se stesso di imitare l’Immacolata, soprattutto nel fiat,
nell’accettazione della croce, nella purezza e nella castità.
3
tappa: morte
mistica, don Dolindo si è completamente annullato, fino a morire a se
stesso e risorgere in Cristo, diventando un’altra Maria.
E’
molto interessante leggere un saggio del prof. don Francesco Asti, che spiega
molto bene il concetto di mistica, che è: « Lo
sviluppo della vita battesimale fino alla pienezza della comunione trinitaria
raggiunta nella vita eterna.[39]
Ogni credente è mistico, in quanto vive
la santità di Dio nella sua vocazione».[40]
E don Dolindo non possiamo inserirlo tra i mistici? La sua vita è stata uno
specchio fedele della santità di Dio, vissuta, realizzata pienamente
nell’annullamento completo di se stesso, fino a scomparire per far comparire
soltanto Maria e il sacerdozio.
4 tappa: transustanziazione,
don Dolindo è riuscito a immedesimarsi talmente nell’Immacolata, da
trasformarsi in Lei, nel vivere in Lei, nell’essere Lei, possiamo dire che ha
vissuto in pieno il Voto mariano, anche senza conoscerlo!
5
tappa: il magnificat, il dolore, le sofferenze, le incomprensioni, le
persecuzioni, le sospensioni a divinis invece
di inasprirlo lo fanno esclamare: Magnificat
anima mea.
Il
cammino finale, dopo le quattro tappe, quindi, si conclude nel magnificat, che
Egli illustrò in oltre 150 commenti diversi. Il magnificat rappresenta il
ringraziamento, la risurrezione nella gloria di Dio. Don Dolindo, infatti,
afferma che l’anima del sacerdote deve avere come modello il Cantico di Maria,
che deve essere cantato come ringraziamento per il dono del Sacerdozio ricevuto
e prorompe, sulle orme della Madonna, in un cantico del magnificat del
sacerdote, sullo stile dell’Imitazione di Cristo:
«L’anima
mia glorifica il Signore, ed esulta il mio spirito in te, Gesù, mio Salvatore.
Hai
guardato la mia piccolezza, e mi hai fatto grande, donandomi la tua potenza; mi
vuoi santo, perché tu sei santo.
Ti
ringrazio, sono beato in te, mi debbono chiamare beato fra tutte le genti,
vedendomi beato nell’amarti e nel servirti.
Sono
strumento della tua misericordia, per il mio ministero, e la tua misericordia
passa per me nei cuori contriti.
Tu
hai operato nella potenza del tuo braccio, disperdesti i superbi, gli Angeli
ribelli, nei pensieri del loro spirito, e deponi i superbi del mondo, i potenti
che si levano contro di te, esaltando gli umili. Umiltà fu quella di San
Michele con gli Angeli fedeli: Chi è come Dio? Umiliazione dei superbi del
mondo è lo sfasciarsi della loro potenza.
Mi
hai fatto braccio della tua potenza contro l'inferno, grazie mio Gesù.
Mi
hai fatto umiliazione dei superbi del mondo, ai quali resisto anche morendo per
te. Hai fatto il Sacerdozio supremo, il Papa, la Chiesa, potenza che schiaccia
i potenti del mondo apostata: grazie Gesù!
Grazie
Gesù per la Chiesa di cui sono ministro, grazie per il Papa di cui sono servo
nella mia pochezza, povero collaboratore, col mio ministero e i miei uffici.
Per
il mio ministero tu riempi di grazia chi ha fame di te, e per me tu lasci vuoti
quelli che disprezzano i tuoi doni, credendosi ricchi. Per me ricevi le anime
che formano il Regno tuo, effondendo la tua misericordia, per me compi le tue
promesse, consolando le anime con la tua grazia.
Le
anime sono la generazione promessa ad Abramo e alla sua discendenza nei secoli;
moltiplicale come le stelle del cielo, moltiplicando i Santi, e come le arene
del mare, raccogliendo gli smarriti nella tempesta della vita.
Grazie,
Gesù, venga il tuo Regno.
Grazie
Maria, siimi mamma - Amen».[41]
*****************************
[1]
Sac. Ruotolo Dolindo, Amore,
Dolindo, Dolore. Pagine
autobiografiche, Napoli 2007, p. 5.
[2]
Sac. Ruotolo Dolindo, Epistolario. Lettere ai familiari,
Napoli, vol. 3, p. 133 .
[3]
Ruotolo Raffaele, Sapienza perpetua nella vita privata e
pubblica, Napoli 1895; Idem, Corso di Topografia e sue applicazioni,1891.
[4]
Sac. Dolindo Ruotolo, Lettera alle figlie spirituali del 6
gennaio 1942.
[5]
Sac. Dolindo Ruotolo, Fui chiamato Dolindo che significa dolore,
Apostolato Stampa, Napoli 1989, vol.1°, p. 415.
[6]
Sac. Dolindo Ruotolo, Nei raggi della grandezza e della vita
sacerdotale, Napoli 1940, p. 31-32.
[7]
Sac. Dolindo Ruotolo, o. c. p. 2.
[8]
Sac. Dolindo Ruotolo, Sei sacerdote, sei la creatura più
privilegiata perché l’anima tua è ricca di me, Apostolato Stampa, Napoli 1997, p. 3.
[9]
Sac. Dolindo Ruotolo, o. c. p. 6.
[10]
Sac. Dolindo Ruotolo, o. c. p.
12.
[11]
Sac. Dolindo Ruotolo, Nei raggi della grandezza e della vita
sacerdotale, 1940, p. 49.
[12]
Sac. Dolindo Ruotolo, o. c. p.
44.
[13]
Sac. Dolindo Ruotolo, o. c. p. 59.
[14]
Sac. Dolindo Ruotolo, Nei raggi della grandezza e della vita
sacerdotale, 1940, p. 55.
[15]
Sac. Dolindo Ruotolo, Sei
sacerdote, sei la creatura più privilegiata perché l’anima tua è ricca di me,
Apostolato Stampa, Napoli 1997, p. 11.
[16]
Sac. Dolindo Ruotolo, Lettere a sacerdoti, Apostolato Stampa,
Napoli 2003, vol. 2, p. 99.
[17]
Cfr. San Francesco di Sales, Filotea. Introduzione alla vita devota, Edizioni Paoline, Milano 19989, p. 27.
[18]
Giovanni Paolo II, Lettera
Apostolica, Novo millenio ineunte, n.
31.
[19]
Denzinger Enchiridion Symbolorum, n.
1528.
[20]
Denzinger Enchiridion Symbolorum, n.
1529.
[21]
Sac.Dolindo Ruotolo, I
4 Vangeli, Apostolato Stampa, Napoli 2006, p. 1144-1145.
[22]
Sac.Dolindo Ruotolo, I 4
Vangeli, Apostolato Stampa, Napoli 2006, p. 1205.
[23]
Riportato in: J. B. Gustave Chautard, L’anima di ogni apostolato, Luci
sull’Est, Roma. 2000, p. 73.
[24]
Sac. Dolindo Ruotolo, Lettere di S. Paolo, Apostolato Stampa,
Napoli 2008, p. 1001.
[25]
Sac. Dolindo Ruotolo, Gesù al Cuore del Sacerdote, Apostolato Stampa, Napoli 2002, p. 29.
[26]
Sac. Dolindo Ruotolo, Sei sacerdote, sei la creatura più
privilegiata perché l’anima tua è ricca di me, Napoli 1997, p. 11.
[27]
Sac. Dolindo Ruotolo, Ascetica sacerdotale, in “Palestra del
Clero”, n. 45 del 6.11.1930, p. 547.
[28]
Sac. Dolindo Ruotolo, Nei raggi della grandezza e della vita
sacerdotale, Napoli 1940, p. 358.
[29]
Benedetto XVI, Esortazione
apostolica, Sacramentum Caritatis, n.
82.
[30]
Cfr. Sant’agostino, Le
Confessioni, Edizioni Piemme, Casale Monferrato 19973.
[31] Incontro di Giovanni Paolo II con i sacerdoti, i religiosi e i seminaristi, Napoli, 10.11.1990
[32]
Sac. Ruotolo Dolindo, Nei raggi della grandezza e della vita
sacerdotale, Napoli 1940 , p. 179.
[33] Sac. Ruotolo Dolindo, o. c., p. 183.
[34]
Cfr. Alfonso M. De Liguori, Le glorie di Maria, Valsele Tipografia,
Napoli 1987; L. M. Grignion di Montfort,
Trattato della vera devozione a Maria
Vergine,Edizioni Monfortane, Roma 1977.
[35]
Sac. Dolindo Ruotolo, Nei raggi della
grandezza e della vita sacerdotale, Napoli 1940, p. 151.
[36]
Sac. Dolindo Ruotolo, o.c. p.
151.
[37]
Sac. Dolindo Ruotolo, o.c. p.
224.
[38]
Sac. Dolindo Ruotolo, o.c. p.
225.
[39]
Sac. Francesco Asti, Teologia della vita mistica, LEV, p. 26.
[40]
Sac. Francesco Asti, o. c., p.
27.
[41]
Sac. Dolindo Ruotolo, Sei sacerdote, sei la creatura più
privilegiata perché l’anima tua è ricca di me, Napoli 1977, p.13