Chiesa di San Salvatore in Lauro
– Roma
Celebrazione Eucaristica al
termine delle Quarantore per la santificazione del Clero
Mercoledì, 20 aprile 2011
Omelia di S. Em. R. il Cardinal
Mauro Piacenza
Prefetto della Congregazione per
il Clero
X
[Is 50,4-9; Sal 68; Mt 26,14-25]
Sia lodato Gesù Cristo!
Cari amici e carissimi giovani,
Nel cuore della
Settimana Santa e alle soglie del Triduo pasquale, è per me motivo di profonda
gioia presiedere questa Eucaristia al termine del pio esercizio delle “Quaranta
Ore”, nel quale avete inteso mettere al centro della vostra preghiera
l’adorazione del Santissimo Sacramento, con l’intenzione specifica della
santificazione dei Sacerdoti e della preghiera perché molti accolgano la
chiamata del Signore a seguirLo nella via della povertà, dell’obbedienza e
della castità per il Regno dei Cieli.
È particolarmente
provvida l’intuizione di collocare una tale iniziativa alle soglie del Giovedì Santo.
Giorno mirabile, nel quale, per imprescindibile disegno della divina Provvidenza,
il nostro Signore ha istituito congiuntamente il Sacramento del santo
Sacerdozio e quello della Santissima Eucaristia. Una tale congiunta istituzione
postula la loro assoluta inseparabilità: dove c’è il Sacerdozio cattolico, là
c’è valida Eucaristia, e dove c’è l’Eucaristia, celebrata ed adorata,
fioriscono le Vocazioni al Sacerdozio.
Eucaristia e
Sacerdozio, poi, insieme, generano la Chiesa, nella quale e dalla quale, a loro
volta, sono celebrati in quella misteriosa e radicale reciprocità, che rende il
Corpo – la Chiesa – inseparabile dai suoi gesti, i Sacramenti.
Tanto è vero, che
laddove non c’è valido Sacerdozio e, pertanto, valida Eucaristia, non siamo
autorizzati all’utilizzo del termine “Chiesa”, ma dobbiamo parlare di “comunità
ecclesiali” o “comunità cristiane”.
Le Quaranta Ore di
adorazione Eucaristica, che insieme avete vissuto e che abbiamo così
solennemente concluso, rappresentano il modo più efficace per introdursi al
grande Mistero del Giovedì Santo, disponendo il cuore all’ascolto di quel soave
comando del Signore: «Fate questo in
memoria di Me». Da duemila anni, tutta la Chiesa, e in essa particolarmente
i Sacerdoti, accoglie il comando del Signore, riconoscendovi la continua
descrizione della propria storia e, soprattutto, della propria identità.
La Chiesa è il “fare
questo in memoria di Lui”; la Chiesa si identifica con l’obbedienza al comando
del Signore e con la celebrazione dell’Eucaristia, che essa vede nascere nel
suo grembo e dalla quale, tuttavia, totalmente dipende.
la santità e la centralità del
Mistero Eucaristico rendono ancora più stridenti le parole della pericope
evangelica appena ascoltata. In essa, proprio nel momento in cui Gesù consumava
l’Ultima Cena con i Suoi discepoli, si parla di un tradimento; del più grande
tradimento della storia: quello di Giuda! «Meglio
per quell’uomo se non fosse mai nato».
Il tradimento si
consuma per un drammatico errore di valutazione, nel quale si manifesta la
totale incomprensione, da parte del traditore, dell’identità e della verità del
Signore: «Quanto volete darmi perché io
ve lo consegni?». Questa domanda, è ripetuta ancora oggi in ogni tradimento
del Signore, in ogni gesto degli uomini, che scambiano Dio con ciò che non è
Dio; in ogni profanazione, mancanza di rispetto e banalizzazione della
Santissima Eucaristia! «Quanto volete
darmi perché io ve lo consegni?».
Ogni volta che
l’Eucaristia non è tenuta nella giusta considerazione, che ad Essa non è dato
il giusto posto nella Chiesa, cioè quello principale, ogni volta che
l’adorazione dovuta all’Eucaristia non è compresa, o ad essa sono introdotti ed
educati i fedeli, rischiamo di vedere pronunciate, ancora una volta le parole
del traditore: «Quanto volete darmi
perché io ve lo consegni?».
Se il tradimento è
sempre un atto personale, del quale risponde personalmente chi lo compie, ci
lascia sgomenti quanto leggiamo dall’Evangelista Matteo, che narra come i
Dodici «profondamente rattristati,
cominciarono ciascuno a domandargli: “sono forse io, Signore?”».
Di fronte alla
profezia certa del Maestro: «In verità Io
vi dico: uno di voi mi tradirà», nessuno dei Dodici si sente al riparo, ma
– afferma il testo – «cominciarono ciascuno a domandarGli».
La vera fede non può
mai essere separata da autentica e profonda umiltà. Un’umiltà tanto più profonda
quanto più riconosce che qualunque barlume di fedeltà a Dio nasce dalla Sua
grazia ed è alimentato, sostenuto e nutrito, imprescindibilmente, dalla
Santissima Eucaristia.
Il discepolo, anche
quello chiamato alla tremenda e sublime responsabilità del Sacerdozio, cioè di
consacrare il Corpo ed il Sangue del Signore e di assolvere i fratelli dai loro
peccati, si riconosce continuamente bisognoso della Misericordia del Signore e
del sostegno imprescindibile della Sua grazia. Il discepolo, perciò, è chiamato
a rinnovare continuamente il proprio “sì”, a sentirsi parte di quel Corpo, la
Chiesa, che da duemila anni compie i gesti del Suo Capo, Cristo, e, in essi e
attraverso di essi, offre all’umanità la Salvezza che Egli ci ha guadagnata.
La preghiera per la
santificazione dei Sacerdoti è quanto mai utile e necessaria in ogni tempo
della Chiesa, poiché ad essi è misteriosamente affidata la memoria e la
Presenza del Risorto attraverso il Memoriale del Santissimo Sacrificio della
Messa. La consapevolezza di una tale altissima Vocazione rende profondamente
grato il Popolo santo di Dio; grato per il dono dei Sacerdoti, grato per il
dono dell’Eucaristia, Presenza del Risorto in mezzo al Suo Popolo, e grato per
il dono della Vocazioni sacerdotali, per il “sì” libero e lieto di quanti
accolgono la divina Chiamata. Esulta il Popolo fedele con il Salmo: «Loderò il Nome di Dio con un canto, lo
magnificherò con un ringraziamento, vedano i poveri e si rallegrino; voi che
cercate Dio, fatevi coraggio».
La profonda unità tra
memoria e presenza costituisce l’imprescindibile presupposto teologico dell’adorazione
eucaristica. Se paiono ormai totalmente superate le polemiche dei decenni
passati, che volevano una prevalenza della Celebrazione sulla adorazione, tuttavia,
ancora molto cammino resta da fare per l’ulteriore, fondamentale passo che la
nostra fede ci domanda e le circostanze esigono.
Non è sufficiente il
recupero dell’adorazione accanto alla celebrazione dell’Eucaristia – che
pure è cosa doverosa e lodevole –, ma è necessario che per tutti, sia sacerdoti,
sia fedeli laici, la stessa celebrazione Eucaristica diventi adorazione.
Nel rispetto della
distinzione del momento celebrativo da quello dell’adorazione – che anche a
livello liturgico sono regolati da differenti testi –, appare evidente come il
solo modo per evitare che l’adorazione eucaristica si riduca a momenti di
spiritualità soggettiva, esposti a tutte le derive sentimentali possibili, sia
che la stessa celebrazione Eucaristica comunitaria, cioè della Chiesa, sia
compresa e vissuta come culto di adorazione a Dio.
Del resto, ben lo
sappiamo, la celebrazione Eucaristica è il culto perfetto, poiché, in Essa,
Cristo stesso rende lode al Padre, ed il Sacerdote, che agisce nella Persona di
Cristo Capo, viene tirato in questo teandrico atto di lode, che abbraccia, in
forza della communio sanctorum
battesimale, l’intero Popolo di Dio.
Celebrare e adorare
l’Eucaristia non sono allora due distinti modi di vivere il “culto eucaristico”,
ma devono, in modo progressivo ed autentico, tendenzialmente coincidere. Si
celebra l’Eucaristia, adorandola, e la si adora, celebrandola! Allontanando, in
tal modo, dalla stessa celebrazione o adorazione, ogni atteggiamento che possa
anche solo lontanamente apparire come antropo-centrico: che mette l’uomo al
centro, invece di Dio.
Un tale, prezioso
cammino di teologica e spirituale unità, tra celebrazione e adorazione della
Santissima Eucaristia, domanda il moltiplicarsi di iniziative come quella che
qui avete vissuto, e della quale ancora mi compiaccio, così come il fiorire, in
ogni dove, di veri e propri “Cenacoli di preghiera”, nei quali venire educati
da Cristo stesso al rapporto con Lui e, perciò, all’ascolto della Sua parola e
della Sua volontà, anche e soprattutto quando essa ci domandasse di seguirLo
nella radicalità della apostolica vivendi
forma, della forma di vivere degli Apostoli.
Entriamo così nel
Tempo più santo dell’intero Anno Liturgico, ringraziando la Santa Madre Chiesa,
che nella sua tenerissima ed efficace pedagogia, ci conduce ogni anno a
rivivere i Misteri della nostra fede. Misteri che, in ogni celebrazione
Eucaristica, si rinnovano, ripresentati al Popolo come autentica ed unica via
di Salvezza. Sediamo a mensa con Gesù nel Giovedì Santo e adoriamo la Sua
divina Presenza; saliamo con Lui al Calvario, unendoci alla perfezione della
Sua offerta, imitando la disponibilità al sacrificio da Egli vissuta: «Ho presentato il mio dorso ai flagellatori,
le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia
agli insulti e agli sputi» (Is
50,5); attendiamo con la fede di Maria, nel silenzio del Sabato Santo e, con
Maria, esultiamo, Domenica, nella gioia del Risorto, che ha sconfitto per
sempre la morte ed il peccato!
Proprio dall’evento
della Risurrezione, del superamento cioè dei limiti spazio-temporali del Verbo incarnato,
dipende la possibilità stessa della Sua Presenza reale nella Eucaristia: Colui
che è presente nella Santissima Eucaristia, celebrata ed adorata, è esattamente
il Risorto! Non solo il Verbo incarnato, ma il Verbo incarnato, morto e
Risorto.
Celebrando e adorando
l’Eucaristia, allora, noi celebriamo ed adoriamo il Risorto! Possiamo dire, con
gli occhi della fede, che noi vediamo Cristo Risorto, e che Egli ci attira a
Sé, fino a coinvolgerci nell’intimità della Sua Vita divina trinitaria,
attraverso la Santa Comunione.
La consapevolezza
della santità e della grandezza di tale Mistero ci fa avvertire, con tanta
maggiore drammaticità le parole del traditore: «Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni?»!
Imploriamo dalla
divina Misericordia, che, nella nostra vita, nulla, mai, per alcuna ragione
possa essere anche solo comparato alla grandezza e sublimità dell’Eucaristia, e
domandiamo, alla Beata Vergine Maria, che ha accolto nel Suo grembo il Verbo
fatto carne e che, per prima, come suggerisce la tradizione orientale, ha visto
il Figlio Risorto, di sostenerci e di accompagnarci, perché la nostra esistenza
terrena sia tutta eucaristica e cristificata; anzi, cristificata perché
eucaristica ed eucaristica perché cristificata!