Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale
Sezione parallela di Torino
XXXV Giornata Regionale dei Seminaristi
Piemontesi
Martedì, 10 maggio 2011
Intervento di S.Em.R. il Cardinal Mauro
Piacenza
Prefetto della Congregazione per il Clero
«La formazione
affettiva al sacro celibato nel tempo del Seminario»
Cari Confratelli,
carissimi Seminaristi,
Sono particolarmente lieto di essere tra voi
quest’oggi, in occasione della Giornata Regionale dei Seminaristi Piemontesi e
vi ringrazio per il cordiale invito.
Il tema che mi avete proposto è quanto mai attuale e ritengo debba
caratterizzare, in maniera sostanziale, ogni percorso formativo al Sacerdozio
ministeriale, poiché l’educazione della sfera affettiva non è mai separata, né
separabile, dagli altri ambiti della formazione intellettuale, spirituale e
pastorale.
Svolgerò questa mia relazione in due punti fondamentali e cercherò di
trarre delle conclusioni dall’analisi condotta.
1. La situazione attuale
Sarebbe quanto meno imprudente approcciare l’importante tema della
formazione affettiva, senza considerare la vera e propria rivoluzione accaduta
nella società occidentale e, per letale contagio, un po’ in tutto il mondo,
dagli anni Settanta in poi. L’aver separato, all’interno della sessualità,
l’aspetto unitivo da quello fecondo, e aver, pertanto, ridotto uno degli atti
antropologicamente più rilevanti al suo aspetto meramente istintivo, ha
prodotto conseguenze devastanti, non soltanto sul piano morale – il che già
sarebbe di inaudita gravità –, ma, con il passare dei decenni, anche sul piano
psico-antropologico.
È impensabile affrontare il tema della formazione affettiva in
Seminario, senza partire dalla lucida consapevolezza che, anche
indipendentemente dalla loro volontà, tutti coloro che sono nati dopo gli anni
Settanta-Ottanta, sono cresciuti in un clima culturale pansessualista e
iper-eroticizzato, nel quale i poteri forti del mondo, che intendono piegare la
libertà degli uomini a vari indecorosi interessi, non hanno risparmiato alcun
mezzo, inclusi i messaggi subliminari, instillati fin dalla più tenera età,
perfino in taluni cartoni animati, per ottenere la “destrutturazione”
dell’aspetto psico-affettivo della personalità umana e, con essa, la
sottomissione dell’uomo ai propri istinti.
A quella che potremmo chiamare la rivoluzione sessuale
post-sessantottina, deve essere sommata, poi, l’invadenza dei mezzi di
comunicazione sociale, soprattutto la televisione e, più recentemente,
internet, i quali hanno portato in ogni casa, anzi in ogni stanza e luogo,
immagini prima mai visibili, sconcertanti, che rimangono impresse, fin dalla
più tenera età, nella memoria, nella fantasia e perfino nell’inconscio delle
persone, le quali si ritrovano ad agire in maniera molto più difficilmente
controllata e controllabile.
Se il peccato delle origini ha reso sempre particolarmente fragile la
dimensione psico-sessuale dell’uomo, tali recenti gravi mutazioni ne hanno
determinato il vero e proprio stravolgimento, inserendosi, non più soltanto
nella sfera privata o della tentazione, ma divenendo costume diffuso, perfino
cultura condivisa, al punto da far apparire come “estraneo” al giudizio comune
ogni altro comportamento.
Tale situazione, che potrebbe, ad un primo impatto, apparire come
“apocalittica”, descrive, in realtà, non tanto gli atteggiamenti morali, quanto
piuttosto la reale situazione culturale, nella quale, anche coloro che sentono
la chiamata al celibato ed al Sacerdozio ministeriale, sono profondamente
immersi e dalla quale, in fondo, provengono.
Ancora, in tale contesto socio-culturale, è purtroppo necessario
riconoscere quella che definirei la “caduta di significato” della affettività,
in generale, e della sessualità, in particolare. Mi spiego. L’aver
artificialmente svincolato l’aspetto unitivo da quello fecondo, ha
irrimediabilmente ridotto l’ampia sfera dell’affettività al solo esercizio
della genitalità, privandolo di quel contesto di definitività che gli è proprio
e, per conseguenza, ne ha prima, semplicemente, “alleggerito” l’importanza e
oggi, ormai, l’ha decisamente banalizzate. Tale situazione è riscontrabile
soprattutto nella superficialità con cui, non di rado, vengono compiuti
determinati atti o gesti, i quali, per loro natura, presupporrebbero una
maturità ed una definitività che, nella stragrande maggioranza dei casi, non
sono riscontrabili, e ciò senza il ben che minimo turbamento delle coscienze.
Non è un mistero che, in taluni ambiti, alcuni giovani vivano un esercizio
completo della genitalità, con la disinvoltura con cui ci si può stringere una
mano, presentandosi!
Emerge con chiarezza come una tale situazione culturale esiga l’attento
discernimento dei formatori, i quali sono chiamati a distinguere, in maniera
netta, tra chi proviene da un’educazione tradizionalmente cristiana e
consapevolmente impegnata, nella retta comprensione dell’affettività e della
sessualità, e chi, invece, proviene dal mondo-mondo, vi è totalmente immerso, e
perciò non è immaginabile, pur con l’aiuto della grazia, che improvvisi
atteggiamenti radicalmente diversi.
Tale giudizio non implica necessariamente la creazione di percorsi
formativi differenziati, né comporta l’impossibilità di giungere a quello
stabile equilibrio richiesto dall’impegno celibatario, previo alla sacra
Ordinazione, ma certamente domanda una progressiva e radicale assunzione di
consapevolezza, sia da parte del candidato, sia da parte dei formatori, non
disgiunta da una buona dose di umile realismo e da un cammino quanto mai serio
ed impegnato, poiché non si tratta soltanto di vincere dei vizi e di acquisire
delle virtù, ma di combattere e vincere, in se stessi, quella che è una
struttura antropologica mutuata dalla cultura dominante e da essa continuamente
riproposta. Si crea una situazione di osmosi con tale cultura dominante e, se
non si è vigili si finisce con l’essere anestetizzati attraverso una sorta di
flebo che “goccia-goccia” mondanizza.
Un tale contesto disorientato e disorientante non ha conseguenze
unicamente nella sfera psico-sessuale, ma investe l’intero ambito relazionale
delle persone. Il crescere in un contesto iper-eroticizzato, nel quale, quasi
inconsciamente, si respira una sessualità disordinata, ha conseguenze anche
sull’agire quotidiano delle persone e sul loro ordinario relazionarsi.
Il vero dramma, poi, in questo contesto, è costituito
dal fatto che, anche gli stessi soggetti, vittime, consapevoli o meno, della
generale deriva psico-affettiva, vivono in una radicale insoddisfazione,
unicamente determinata proprio dalla distonía tra ciò per cui l’uomo è stato
creato, con il conseguente profondo significato della sua affettività, e quanto
egli attualmente vive.
Il cuore dell’uomo è fatto per la definitività.
Qualunque sia la vocazione, verginale o sponsale, a cui Dio lo chiama, è
unicamente la definitività a determinarne il reale appagamento. Immagine e
somiglianza di Dio Amore infinito, l’uomo avverte, tra i propri bisogni
elementari, quello della verità, della libertà, della bellezza, della
giustizia, dell’amore e, sintesi di tutti – oggi così poco adeguatamente
compreso, anche se tentativamente cercato, e talora perfino preteso –, quello
della felicità! Ciascuno percepisce come il soddisfacimento di questi bisogni
domandi, anzi postuli, la totalità. Nessuno accetterebbe, serenamente e
supinamente, di essere «un po’» giusto, o «un po’» libero. Ciascuno domanda che
tali bisogni antropologici universali abbiano compimento pieno, sia
esperienzialmente, sia cronologicamente parlando; tale pienezza è ciò che, nel
linguaggio condiviso, si descrive con il termine “definitività”.
La Scrittura ci insegna a resistere «saldi
nella fede» a colui che «come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare»
(1Pt 5,8-9), anche quando tale
esperienza fosse quella del nostro uomo vecchio.
La fragilità, talvolta estrema, delle unioni
matrimoniali e l’incapacità di tanti giovani ad assumere decisioni definitive,
non ha radici differenti dalla difficoltà a vivere un’affettività ordinata e a
maturare l’accoglienza serena della Vocazione verginale. Se, in ogni epoca, è
stato complesso vivere la perfetta continenza per il Regno dei Cieli ed il
conseguente celibato, a causa della fragilità della natura umana,
paradossalmente, nella nostra epoca, appare particolarmente arduo, poiché la
rete delle comunicazioni veicola un pansessualismo violento, capace di distorcere
la percezione stessa della sfera affettiva, sessuale e relazionale.
2. La formazione affettiva al
sacro celibato
Come immaginare un percorso formativo efficace per candidati al
Sacerdozio, che giungano da un tale contesto culturale? Da dove partire e verso
dove andare per evitare, per quanto sia umanamente possibile, errori, che
potrebbero rivelarsi drammaticamente fatali per il futuro sacerdote?
Dopo una premessa di metodo, articolerò questo secondo punto della
conferenza, che è quello centrale del tema assegnatomi, in tre sottopunti,
dinamicamente integrati tra loro, ma che, per efficacia didattica, preferisco
distinguere, per poi mostrarne l’intima relazione. Prenderemo in esame,
successivamente, le dimensioni: 1. della purificazione della memoria, 2.
dell’educazione del presente vissuto affettivo e, infine, 3. dell’attesa
orante del dono del Sacerdozio e della relativa grazia di stato da esso
derivante, così essenziale per vivere il sacro celibato.
Quanto fin qui detto, se ancora ce ne fosse
bisogno, ci ricorda l’importanza della formazione affettiva e la radicale
serietà con la quale essa domanda di essere affrontata.
Non è tollerabile che, nel tempo della
formazione, si censuri o si affronti, solo tangenzialmente e superficialmente,
la questione affettiva e – purtroppo devo dolorosamente riconoscerlo – non di
rado varie cause di richiesta di dispensa dagli oneri derivanti dalla sacra
Ordinazione, incluso il celibato, attestano una non sufficiente, o addirittura
inesistente, formazione a tale riguardo.
Nel rispetto più rigoroso della necessaria e
canonicamente riconosciuta distinzione tra foro interno e foro esterno, è
necessario che la dimensione affettiva sia messa a tema esplicitamente con i Superiori del Seminario e, nel
caso ciò non avvenga spontaneamente, dai
Superiori del Seminario.
Certamente ciò implica che essi siano persone
affettivamente mature, riconciliate con se stesse e con la propria dimensione
psico-affettiva, non frustrate e, perciò, almeno non tendenti a proiettare
sugli altri i propri nodi non risolti. È necessario che abbiano integrato i
propri eventuali problemi psico-affettivi, per poter accompagnare gli altri in
questo cammino di maturità. Pertanto, è necessario che la scelta dei formatori
sia particolarmente ponderata e tenga conto, non solo, delle competenze
teologiche e pastorali, ma anche, e forse soprattutto, della maturità
psico-affettiva e dell’equilibrio armonico generale della persona.
Pur nel riconoscimento dell’indispensabile
dimensione della responsabilità personale nel percorso educativo, è sempre
necessario mantenere chiara la distinzione tra educatori ed educandi, tra
coloro ai quali è stato chiesto, dal Vescovo, di occuparsi della formazione dei
futuri sacerdoti, e i candidati all’ordinazione. Ogni equivoco, in tale ambito,
sarebbe foriero di gravi conseguenze, non da ultime, l’inefficacia della stessa
azione educativa.
2.1 La purificazione della memoria
Accennavo, prima, a come sia indispensabile distinguere, tra i
candidati, coloro che provengono da una formazione motivatamente cattolica, e
dunque sono stati presumibilmente educati al reale significato dell’affettività
umana, e quelli che, totalmente immersi nel mondo e nelle sue abitudini
affettivo-sessuali, si sono improvvisamente convertiti, sono stati chiamati ed
hanno bussato alla porta del Seminario.
Per entrambi, è tuttavia necessario compiere un veritiero ed integrale
percorso di purificazione della memoria, sia dal punto di vista spirituale, sia
sotto il profilo morale e psicologico.
Non è possibile purificare la memoria, senza “fare memoria”. Evitando
il rischio di rimanere impantanati nelle paludi dei ricordi e delle conseguenti
reazioni sensibili ad essi, è necessaria, almeno nel foro interno, una
disarmata narrazione della propria storia affettiva, per presentarla a Dio,
nella sua bellezza e nella sua problematicità, nei suoi frutti e nelle sue
cadute, nei suoi errori sporadici ed accidentali, o nei suoi limiti strutturali
e reiterati.
“Fare memoria” significa favorire quel sano realismo, senza il quale è
semplicemente impossibile ogni autentico cammino di guarigione! “Fare memoria”
significa permettere, almeno al Superiore di foro interno – il direttore
spirituale –, di conoscere realmente la storia personale del candidato, di
raccogliere quanti più elementi possibile sul suo percorso, per poter impostare
un cammino spirituale davvero efficace, cioè capace di accompagnare ad una
sufficiente integrazione della dimensione affettiva e ad una presumibile
fedeltà all’impegno celibatario.
Cari amici, piuttosto che tacere aspetti fondamentali e rilevanti delle
proprie esperienze affettive, è meglio parlarne con qualcuno, anche di esterno
al Seminario, con i cosiddetti confessori invitati o con un sacerdote di
propria fiducia, i quali, se necessario, possano progressivamente aiutare a
mettere a tema, anche con i superiori, quanto, eventualmente, fosse opportuno
esplicitare, onde evitare che l’aver taciuto su elementi essenziali, arrivi ad
inficiare la stessa rettitudine di intenzione.
La purificazione della memoria, che ha una sua
fase iniziale e fondamentale nel tempo della formazione seminaristica, ma che
dura per l’intera esistenza terrena, domanda e, in certo modo, implica una
radicale umiltà. Sant’Ignazio di Loyola, nei suoi esercizi spirituali, ci è maestro
nell’arte del discernimento degli spiriti, intimamente legata alla
purificazione della memoria. Ciascuno può fare esperienza di come la fragilità
della natura umana ed il limite della memoria possano permettere, talvolta
perfino in maniera ostinata, il permanere di immagini e di ricordi, che, anche
se sottoposti al “potere delle chiavi” ed alla divina Misericordia, e perciò
distrutti da Dio, continuano ad insidiare e talvolta ad assediare la vita
spirituale.
La cultura contemporanea, poi, – come detto – tende letteralmente ad
“imbottire” i giovani di immagini, e dunque di “memorie” un tempo
inimmaginabili. È sufficiente passeggiare per le vie di qualunque città, per
essere sottoposti ad un vero e proprio linciaggio di immagini, per non parlare,
poi, della televisione e, ancor più, di internet. Dall’esperienza dello studio
delle tristi cause di dispensa dagli oneri decorrenti dall’ordinazione, mi pare
di poter evincere che, nel cattivo uso per mezz’ora di internet, si possa
vedere ciò che, in passato, nemmeno in un’intera esistenza, era dato di
incontrare!
Se i candidati al Sacerdozio provengono da questo tipo di esperienza, è
indispensabile che essi stessi scelgano e siano aiutati a compiere un taglio
davvero radicale, che può anche far sanguinare, ma che è indispensabile, anche
solo per immaginare la possibilità di una fedeltà all’impegno celibatario.
Tutte le memorie non purificate nel tempo della formazione e le cattive
abitudini non vinte, tornano al pettine, determinando seri problemi di
equilibrio psico-affettivo e, talvolta, dolorosissime situazioni spirituali,
morali e psicologiche.
La purificazione della memoria potrebbe
apparire, così, un’opera impossibile, ma noi sappiamo, cari amici, che nulla è
impossibile a Dio! In tal senso, l’opera essenziale di tale purificazione,
compiuta e fermamente perseguita dall’intelligenza, dalla libertà e dalla
volontà umane, è perfezionata dalla grazia soprannaturale, che giunge a noi
specialmente attraverso un’intensa vita spirituale e sacramentale. Ciò che potrebbe
apparire impossibile ai nostri occhi, è reso possibile dall’intervento costante
ed efficace di Dio, il Quale, se cava dei figli di Abramo anche dalle pietre,
può plasmare uomini equilibrati, integrati, riconciliati con la memoria del
proprio passato e casti, anche in questo tempo, così disorientato e
disorientante dal punto di vista psico-affettivo!
2.2 L’educazione del presente
vissuto affettivo
Coloro che giungono al Seminario certamente hanno percepito il
misteriosissimo e stupendo dono della Vocazione sacerdotale. Dico “percepito”
perché solo dopo l’attento discernimento “con” e “nella” Chiesa, si può
affermare, con ragionevole certezza, che tale dono sia stato oggettivamente
ricevuto. Carissimi Seminaristi, non si può dubitare della propria Vocazione
fino alla vigilia del Diaconato!
Anche se, comunemente, Sacerdozio e celibato sono purtroppo percepiti
non come co-essenziali, e chi riceve la Vocazione al Sacerdozio deve
successivamente quasi “accettare” il carisma del celibato, in realtà è
necessario riconoscere come, sia dal punto di vista teologico, sia sotto il
profilo spirituale, il carisma del celibato preceda la Vocazione al Sacerdozio
e, anche se esse possono coincidere, la prima radicale vocazione è quella a
testimoniare Cristo nella perfetta continenza per il Regno dei Cieli, cioè nel
modo più efficace che la storia conosca, dopo il martirio cruento. Non è un
caso che la Chiesa Cattolica di Rito latino scelga i propri sacerdoti soltanto
tra coloro che hanno ricevuto questo straordinario carisma e che, anche per
l’impegno di radicale testimonianza, sono chiamati a presiedere la comunità.
Anche i fratelli orientali, peraltro, hanno in grandissima stima il
carisma del celibato e scelgono i propri Vescovi esclusivamente tra coloro che
lo hanno ricevuto in dono.
L’Esortazione Apostolica Pastores dabo vobis, al n. 44, afferma: «Poiché
il carisma del celibato, anche quando è autentico e provato, lascia intatte le
inclinazioni dell'affettività e le pulsioni dell'istinto, i candidati al
Sacerdozio hanno bisogno di una maturità affettiva capace di prudenza, di
rinuncia a tutto ciò che può insidiarla, di vigilanza sul corpo e sullo
spirito, di stima e di rispetto nelle relazioni interpersonali con uomini e
donne». Con un linguaggio
straordinariamente realistico e, per certi versi, “nuovo” ai documenti
pontifici, il Beato Giovanni Paolo II ci ha consegnato un pilastro della
formazione affettiva al celibato.
Le inclinazioni dell’affettività e le pulsioni
dell’istinto non vengono cancellate o modificate dal carisma del celibato, il
quale – afferma il testo – le lascia intatte! È pertanto necessario educare il
proprio presente affettivo, sia nella dimensione delle inclinazioni, sia in
quella delle pulsioni, perché non accada di immaginare un futuro sacerdotale che,
sotto il profilo psico-affettivo-sessuale, sia radicalmente differente dal
proprio presente seminaristico.
È necessario perciò comprendere come l’importantissimo tempo del
Seminario sia dato anche per lavorare sul proprio equilibrio psico-affettivo,
per integrarne inclinazioni e pulsioni, e per scegliere ed affilare quelle
“armi” essenziali alla lotta, che dura tutta la vita.
La consapevolezza che il carisma del celibato è un dono soprannaturale
dello Spirito, impone che, nella formazione ad esso, si riconosca il primato
assoluto della grazia.
Se è necessario riconoscere e prudentemente utilizzare gli apporti
delle scienze umane, in particolare la psicologia, a patto che facciano
riferimento ad una concezione antropologica veramente cristiana, è doveroso
ammettere non pochi errori compiuti, in tale ambito, nei decenni passati.
Si è talvolta pensato di poter delegare alla scienze umane ciò che,
invece, competeva ai formatori, essenziali mediatori dell’azione misteriosa e
soprannaturale di Dio; si è pensato che la psicologia potesse essere la panacea
di “tutti” i mali per “tutti” i candidati al Sacerdozio, imponendo, talora
senza discernimento, indiscriminatamente a tutti, di farvi ricorso, senza la
doverosa distinzione tra le cosiddette nevrosi fisiologiche – che tutti abbiamo
– e quelle patologiche, che domandano un intervento di carattere clinico; si è
creduto di poter far internalizzare i valori evangelici, incluso il celibato,
non grazie all’incontro personale, affascinante e vivificante con Cristo – come
è ovvio –, ma attraverso vari processi di destrutturazione della personalità e
presunte, mal riuscite sue ristrutturazioni, inclusive dei supposti menzionati
valori…
Le cause di dispensa dagli oneri derivanti dalla sacra Ordinazione,
incluso il celibato, documentano questi tragici errori nell’abuso o nell’uso
errato delle scienze umane, nella formazione al Sacerdozio ministeriale.
Il dono del carisma celibatario fiorisce, è progressivamente accolto e
matura, fino a definire la stessa personalità psicologica del sacerdote,
unicamente nel rapporto intimo, prolungato, reale ed interpersonale con Gesù di
Nazareth, Signore e Cristo!
Solo l’intimità orante con il Signore, la progressiva immedesimazione
con la Sua Vita, con le Sue parole, con i Suoi pensieri – «Abbiate in voi gli
stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Fil 2,5)– permette di accogliere e di vivere il celibato, non come
un elemento estraneo alla propria persona, da sopportare faticosamente, ma come
la ridefinizione di sé, che nasce dall’incontro con Cristo e dal cambiamento e
dalla vita nuova, che tale incontro genera.
Il celibato è, per eccellenza, quel nuovo orizzonte, che forse mai
prima avevamo immaginato, e che l’incontro con Cristo ha radicalmente
disvelato.
Tra l’altro – tutti ne facciamo esperienza – alla Vocazione sacerdotale
corrisponde, misteriosamente ma realmente, una straordinaria fioritura
dell’umano. Che cosa sarebbe, infatti, la nostra umanità senza Cristo, senza la
Vocazione che Egli ci ha donato? Insieme alla Chiamata al Sacerdozio
ministeriale, il Signore permette una fioritura della nostra umanità, una sua
purificazione, un’inattesa e straordinaria dilatazione, perché essa diventi
progressivamente capace di accogliere, definitivamente, un tale straordinario
carisma e di viverlo come suprema testimonianza a Cristo, nella quotidianità
dell’esistenza ministeriale.
Il mondo – anche nel tempo drammatico degli scandali, vergognosi e
contro i quali è necessario agire con tutte le nostre forze, sia dal punto di
vista della formazione, che sotto il profilo della penitenza e preghiera
riparatoria, come pure e seriamente sotto il profilo disciplinare e penale –
non attacca il nostro agire “sociale”, né le nostre opere caritative; esso non
può tollerare la testimonianza della castità per il Regno dei Cieli e la
conseguente azione educativa, che da essa scaturisce.
Se sempre ricca di fascino è, poi, la vita monastica, quando è
veramente tale, non dimentichiamo mai, cari amici, che, paradossalmente, la
testimonianza di un sacerdote secolare, cioè immerso nel suo tempo e nella sua
società, per certi aspetti può essere ancora più dirompente. Noi non siamo
monaci separati dal mondo, ai quali guardare con occhio sentimentalista, siamo
uomini pienamente inseriti nel nostro tempo, “nel” mondo ma non “del” mondo, e
testimoniamo, con la nostra scelta celibataria, che Dio c’è, che chiama a Sé
gli uomini, che può dare significato all’intera esistenza e che vale la pena
spendere, per Lui, la nostra vita!
L’intimità divina, condizione imprescindibile della formazione
celibataria, si coltiva, innanzitutto – dicevo – nella orazione, nella quale
dobbiamo essere totalmente immersi; “Conversatio
nostra in Coleis est”; diversamente in terra ci si agita ma si realizza
nulla! Formarsi ad una radicale fedeltà alla Santa Messa quotidiana,
all’Ufficio divino, all’adorazione eucaristica, all’orazione mentale anch’essa
quotidiana, alla preghiera del Santo Rosario, che quotidianamente affida a
Maria il proprio Sacerdozio, è il “quoziente minimo” per poter anche solo sperare
di vivere il celibato. Un sacerdote che non preghi, che non avverta l’urgenza
di celebrare quotidianamente l’Eucaristia, superando le infondate teorie del
“digiuno eucaristico” e gli scandalosi “giorni liberi”, nei quali pare di
essere liberi anche dal rapporto con Cristo – che cosa triste per un sacerdote
liberarsi da Cristo! –, ben difficilmente potrà vivere serenamente ed
efficacemente il proprio celibato.
Nel tempo del Seminario è necessario formarsi a queste dimensioni
indispensabili della vita presbiterale, domandando alla grazia soprannaturale
che esse non siano soltanto delle buone e virtuose abitudini, ma divengano vera
e propria struttura psico-antropologico-spirituale, nella quale la stessa
identità personale è definita.
Il Sacerdote non solo celebra la Santa Messa, ma in essa si identifica,
poiché, progressivamente ma realmente, la Santa Messa diviene la sua vita, ed
egli “è” la Santa Messa che celebra! In questa dimensione chiaramente
soprannaturale, alla quale progressivamente ci si educa e si viene educati,
ogni pensiero, ogni parola e, ovviamente, ogni atto in distonia con la
grandezza della propria Vocazione, devono essere evitati, certamente, per la
loro valenza peccaminosa, ma anche – e direi soprattutto – per l’infelicità,
che generano nella loro totale inadeguatezza alla verità, sia del Sacerdozio,
sia delle azioni ministeriali che il Sacerdote compie.
Le scienze umane possono costituire un valido aiuto per conoscere,
almeno a grandi linee, le fondamentali dinamiche della psiche e dell’affettività,
ma il più bravo degli psicologi può dire quali problemi ci sono, ma certamente
non può risolverli. Solo Cristo ci salva!
Due elementi mi paiono ancora essenziali
nell’educazione del proprio presente affettivo: il rapporto con il mondo ed il
ruolo della formazione intellettuale.
Nel rapporto col mondo – già ampiamente descritto nel primo punto della
presente relazione –, appare con preoccupante evidenza come, troppo spesso,
nella formazione seminaristica si verifichino impressionanti ingenuità. Se
negli anni Cinquanta-Sessanta era, per certi versi e per taluni, necessario
aprirsi al mondo, o, per lo meno, mostrare nuovamente, in modo comprensibile al
mondo, tutta la bellezza del Cristianesimo, oggi si è immersi nel rischio
diametralmente opposto: quello di essere totalmente immersi nel mondo. Non si
può essere così oscurantisti da non voler vedere il cambiamento e capire che
non si può suonare sempre la stessa musica quando sono cambiate le partiture.
Ritengo che, nelle attuali circostanze, sia
semplicemente impossibile percorrere un serio ed impegnato cammino di
formazione alla perfetta castità per il Regno dei Cieli, se non si è capaci di
vivere quel taglio radicale con il mondo, che è, soprattutto e innanzitutto, un
taglio con la sua mentalità. Del resto solo così si può servire la società.
Può un seminarista avere le stesse identiche
abitudini di quando era un giovane animatore della parrocchia o un giovane
universitario nel mondo? Può, in quelle fughe che a volte diventano i tirocini
pastorali, frequentare gli stessi luoghi, con gli stessi atteggiamenti?
Non si tratta, qui, carissimi amici, di
irrigidirsi in atteggiamenti bacchettoni o incapaci di autentiche relazioni
interpersonali; si tratta semplicemente di fuggire le occasioni prossime di
peccato e di non esporre sistematicamente e reiteratamente la propria psiche,
la propria emotività ed il proprio corpo a situazioni che, inevitabilmente,
rendono ancora più difficile la perfetta continenza per il Regno dei Cieli.
L’ultimo aspetto riguarda l’importanza della
formazione teologica, anche nel cammino di educazione al celibato sacerdotale.
Una sana Cristologia, fedele al dato scritturistico, alla Tradizione e al
Magistero ininterrotto, deve porre in luce la straordinarietà dell’Umanità di Gesù
Cristo e la bellezza dell’essere configurati a Lui, e quindi anche alla Sua
Umanità perfettamente casta, con l’Ordinazione sacerdotale. Una ecclesiologia,
che non voglia tradire la verità, non può ridurre i sacerdoti a “funzionari di
Dio”, ma deve riconoscerne, all’interno di un contesto tutto soprannaturale, il
misterioso e necessario compito distinto, essenzialmente e non soltanto per
grado, da quello battesimale e in relazione alla promozione di questo.
Sono profondamente persuaso che una certa
fragilità teologica, diffusa in non pochi ambiti accademici, abbia ben gravi
responsabilità, anche nella tenuta delle Vocazioni sacerdotali, le quali, senza
adeguate ragioni – come è logico –, non reggono l’urto violento e persistente
del mondo.
E concludo questo approfondimento
sull’educazione del presente vissuto affettivo, sottolineando ancora una volta
il primato assoluto ed incontrovertibile della grazia nella formazione al
celibato. Guardiamo alla Misericordia, compresa, celebrata nel Sacramento della
Riconciliazione e continuamente invocata. Essa è la prima “medicina” per
guarire dai limiti della concupiscenza e vivere, in modo progressivamente
sempre più perfetto, quella continenza per il Regno dei Cieli, così
strettamente legata al Ministero presbiterale, tanto da indurre la Chiesa a
scegliere i suoi Sacerdoti solo tra coloro che ne hanno ricevuto il carisma.
Ciò che appare impossibile alle sole forze umane, è reso sperimentalmente
possibile dalla grazia, alla quale continuamente senza limiti, è necessario affidarsi.
2.3 L’attesa orante del Dono del Sacerdozio
La Comunità del Seminario ha il suo modello supremo nel Cenacolo di
Gerusalemme, nel quale gli Apostoli, fatta l’esperienza di Gesù Risorto e
stretti intorno a Lui, vivono in attesa orante del Dono dello Spirito, uniti
alla Beata Vergine Maria.
Se il momento dell’Ordinazione sacerdotale è l’effusione dello Spirito,
che rende capaci di parlare lingue nuove, di annunciare il Regno efficacemente,
di guarire con la potestà sacramentale e di compiere ogni altro atto di
Ministero autentico, allora il Seminario vive, si nutre, cammina e cresce come
vero e proprio Cenacolo.
Come, nel Cenacolo, tutti gli Apostoli hanno fatto l’esperienza di un
rapporto personale con Gesù e Lo hanno visto Risorto, così ciascun Seminario
deve essere una Comunità di uomini che hanno incontrato Gesù Cristo e la cui
vita è stata cambiata da quell’incontro; uomini che hanno fatto l’esperienza
del Risorto, che vivono la Chiesa come il Popolo eletto da Dio e come il Suo
vero Corpo, che oggi cammina nel tempo e nella storia.
Quel gigante di santità e anche di sapienza
umana che è San Benedetto, nella sua Regola, invita, senza dubbio alcuno, ad
allontanare dal monastero chiunque vi entrasse per ragioni diverse dalla
ricerca di Dio. Credo che la stessa chiarezza e fermezza debba essere
utilizzata nel discernimento sull’ingresso e sulla permanenza nella Comunità
del Cenacolo che è il Seminario.
Tutti i limiti possono essere abbracciati,
sopportati e supportati dalla Comunità del Seminario, che è, per sua natura,
una Comunità formativa e di transizione – anche gli Apostoli non sono rimasti
tutta la vita nel Cenacolo –, ma la mancanza di retta intenzione e il permanere
in Seminario per ragioni differenti da quella di cercare e servire Dio e la Sua
Chiesa, non può essere tollerata, perché impedisce ogni autentico cammino di
conversione e reale formazione.
La Comunità del Cenacolo, e quindi il Seminario, è una Comunità orante.
Il Sacerdote è e deve essere un uomo orante! Una Comunità seminaristica che non
avesse al proprio centro la dimensione della preghiera, ben difficilmente
riuscirebbe ad assolvere al proprio compito.
La preghiera non è un’interruzione delle cose da fare, ma, al
contrario, si interrompe talvolta la preghiera per fare delle cose, e anche
nelle altre opere è necessario custodire uno spirito orante.
La riforma del Clero, da più parti auspicata, non potrà che essere
frutto della radicale riscoperta della dimensione soprannaturale del Ministero
e del conseguente primato del rapporto orante con Dio. Primato che, nella
stessa preghiera ufficiale del Seminario, deve trasparire chiaramente: per la
fedeltà alla Liturgia, così come la Chiesa determina che venga celebrata, per
la cura di ogni gesto, atteggiamento. In ciò non ci può essere nulla di
formalistico. La giusta forma, inoltre, aiuta la custodia e la veicolazione
della sostanza.
Accanto alla preghiera della Chiesa, costituita non solo dalla Santa
Messa e dall’Ufficio divino, ma anche dall’Adorazione eucaristica, dal santo
Rosario e da ogni pio esercizio, che sostenga ed alimenti la fede, la Comunità
del Seminario è chiamata ad educare i futuri Sacerdoti anche alla preghiera
personale, al silenzio, alla meditazione ed agli spazi di reale intimità
divina.
Trattandosi di una “educazione”, essa non può essere lasciata
unicamente alla responsabilità o alla creatività personali, ma devono essere
proposti momenti di silenzio e di Adorazione eucaristica, che, pur conservando
il carattere della libertà, in ordine all’adesione, sono sistematicamente
inseriti nel cammino quotidiano o ebdomadario.
La mia personale esperienza è che l'inserimento di un’ora di adorazione eucaristica quotidiana nel percorso formativo, ha straordinari effetti sul cammino dei seminaristi, crea una consuetudine con il Signore che, nel tempo del ministero, sostiene ed aiuta ad avvertire la nostalgia dello “stare con Gesù”, sospingendo la libertà a ricercare costantemente tali momenti.
L'Attesa orante del dono del Sacerdozio, poi, orienta l'intera preghiera. Non si prega indipendentemente dalla vocazione ricevuta, ma, partendo da essa, ci si pone davanti al Signore quasi pregustando le dolcezze del ministero. Pregustando la celebrazione della Santa Messa, l'amministrazione della divina Misericordia, pregustando quell'intimità divina che, con l'ordinazione presbiterale, diviene ontologica ed alla quale siete chiamati a prepararvi interiormente.
Dal punto di vista umano nulla s'improvvisa e dal punto di vista divino nulla si anticipa. In tal senso devono essere superati quei timori, anch'essi datati anni '70, di eccessiva “prossimità” alle cose di Dio. È necessario svegliarsi, la storia è andata avanti! Se oggi c’è un autentico problema, da tenere sempre ben presente, è quello della fragilità e dell'identità sacerdotale che, anche a causa di non poche fluttuazioni teologiche, non è sufficientemente delineata e, soprattutto, solo raramente coincide con la stessa identità psicologica del candidato.
San Giovanni Maria Vianney, modello dei sacerdoti, che abbiamo imparato a conoscere meglio anche grazie all'Anno Sacerdotale, è esemplare proprio per la totale immedesimazione con il proprio ministero. Condizione - questa - dell'efficacia apostolica, ma anche della pace interiore, della serenità e, soprattutto, del senso di piena realizzazione del Sacerdote, al servizio di Dio, della Chiesa e degli uomini.
3. Conclusioni
Al termine di questo lungo percorso, possiamo trarre alcune conclusioni, che, sebbene non definitive, possono orientare il percorso della formazione affettiva nel tempo del Seminario. Per semplicità e chiarezza, le delineerò a mo’ di elenco.
1. La memoria tematizzata del proprio concreto vissuto psico-affettivo e sessuale, costituisce un elemento fondamentale di un cammino, che voglia realmente essere fruttuoso, soprattutto nella coscienza vigilante e costruttivamente critica della contemporanea, problematica situazione culturale, nella quale lo spostamento dall’oggettività della conoscenza al più arbitrario soggettivismo, con il relativismo che ne deriva, è all’ordine del giorno.
2. Nella formazione affettiva, è necessario riconoscere il primato assoluto della grazia, senza la quale non è nemmeno immaginabile una vita realmente casta. Tale primato si riconosce e si vive nel primato della dimensione spirituale, fatta di preghiera e di vita sacramentale, e nella progressiva delineazione, anche psicologica, della personalità presbiterale.
3. è necessario che la Comunità del Seminario trovi il giusto equilibrio tra l’anelito missionario, che non deve trasformarla in una comunità centrifuga, e l’essere realmente, come il Cenacolo di Gerusalemme, stretta intorno a Gesù, con Maria, in attesa del Dono dello Spirito per la missione, ma mai chiusa su se stessa.
4. L’identificazione, fin dal tempo del Seminario, con il Ministero che, a suo tempo, verrà affidato, favorisce il giusto orientamento della formazione affettiva. A differenza delle epoche precedenti, oggi il Seminarista è la figura giuridicamente più fragile dell’intero corpo ecclesiale, poiché non è chierico fino al Diaconato – per una giusta salvaguardia della sua libertà –, pur vivendo tutti i doveri di disciplina ed obbedienza propri dello stato clericale.
Tale debolezza giuridica non deve determinare una situazione d’incertezza, come se l’essere seminaristi non coincidesse già, in maniera prospettica, con un determinato stato di vita, impegnato, per lo meno, a rendere testimonianza a Cristo con l’impegno di formazione e di offerta della propria vita, nella perfetta continenza per il Regno dei Cieli.
5. La formazione teologica, ha un ruolo fondamentale anche nella formazione affettiva. Deve evitare di perdersi tra le opinioni dei vari teologi, restando fedele a quanto chiesto da Sapientia christiana, nella quale si indica lo studio delle Sacre Scritture, della Tradizione bimillenaria della Chiesa e dell’ininterrotto Magistero, come ossatura irrinunciabile del Ciclo istituzionale. Evitare il relativismo teologico e proporre la Dottrina certa, contribuisce in modo determinante alla configurazione di una stabile personalità presbiterale e, con essa, ad una motivata formazione affettiva.
Anche la corretta ermeneutica dei testi del Concilio Vaticano II, secondo quella riforma nella continuità, più volte indicata sia dal Beato Giovanni Paolo II, sia dal Santo Padre Benedetto XVI, è indispensabile fattore per una crescita ecclesiale serena e autentica, capace di superare, eliminandoli sul nascere, i motivi delle contrapposizioni (tutte mondane e politiche) tra “innovatori” e “conservatori”, che tanta infezione hanno portato e portano al corpo ecclesiale.
6. Il Seminarista di oggi sarà il Sacerdote di domani! Se è vero che, dal giorno dell’Ordinazione Sacerdotale in poi, si impara ad essere e a vivere da Sacerdoti, è altrettanto vero che, soprattutto dal punto di vista della formazione affettiva, nulla può essere improvvisato. È più prudente, e moralmente esigibile da se stessi, attendere qualche tempo in più per domandare l’Ordinazione presbiterale, piuttosto che attentare ad essa, senza aver risolto questioni fondamentali della propria affettività. In questo campo, come in quello dottrinale, occorre provata maturazione e non semplicemente assenza di impedimenti.
Affido alla Beata Vergine Maria, Madre tenerissima dei Sacerdoti, queste riflessioni, nella sicura speranza che, guardando a Lei, Esempio sublime di affettività riconciliata, capace di autentico e profondo amore, nella perfetta castità, possiamo camminare nella via splendida del Sacerdozio, che ci fa, a titolo del tutto speciale, suoi figli.