ORDINAZIONI SACERDOTALI

CHIESA DI S. MARIA IN VALLICELLA

 

Associazione Clericale “Opera di Gesù Sommo Sacerdote”

 

Omelia del Cardinale Mauro Piacenza

Prefetto della Congregazione per il Clero

 

 


 

         Cari confratelli nel Sacerdozio, ordinandi presbiteri, seminaristi e fedeli laici, siamo qui in questa splendida Chiesa dove la magnificenza artistica è descrittiva della santità di Dio e dell’incanto dell’incontro fra Dio e di quel palpitante Appuntamento fra Lui e gli uomini che è Maria Santissima, Icona della Chiesa. Fra poco qui – a Dio piacendo – accadrà qualcosa di indescrivibilmente solenne e di commovente tenerezza: l’ordinazione sacerdotale.

 

         Per prepararci, proviamo intanto a rispondere a questa domanda: qual’è la grandezza del sacerdozio, qual’è la sua capacità di contribuire alla felicità e all’umana realizzazione delle persone che lo vivono?

Intanto pensiamo ad un fatto: Dio mi ha chiamato al sacerdozio per rivelarmi il volto con cui mi ha pensato dall’eternità, come mi ha immaginato e voluto con il corpo che ho, con le particolarità di temperamento che mi caratterizzano, attraverso i genitori che sono stati strumenti per la mia nascita, nei tempi e nei luoghi della concretezza quotidiana. Per Dio il sacerdozio è da sempre il mio volto!

Molte delle grandi figure di uomini chiamati da Dio che la Bibbia ci presenta esprimono questa acuta consapevolezza. Ecco per esempio il dialogo con il Signore in cui il profeta Geremia riceve la sua vocazione: «Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti o stabilito profeta delle nazioni». Risposi: «Ahimé, Signore Dio, ecco io non so parlare, perché sono giovane». Ma il Signore mi disse: «Non dire: sono giovane, ma và da coloro a cui ti manderò  e annunzia ciò che io ti ordinerò» (Ger 1, 5-7). Ed ecco la convinzione di Isaia: «Il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fin dal grembo di mia madre ha pronunziato il mio nome. Ha reso la mia bocca come spada affilata, mi ha nascosto all’ombra della sua mano, mi ha reso freccia appuntita, mi ha riposto nella sua faretra» (Is 49, 1-2).

In altri termini, Dio mi ha pensato assieme al compito che mi avrebbe affidato, al posto che mi avrebbe assegnato nella sua Chiesa. San Paolo sapeva di essere stato scelto fin dal seno di sua madre e di essere stato chiamato con la sua grazia perché annunziasse Gesù in mezzo ai pagani (cfr. Gal 1, 15-16).

E Davide pregava: «Sei Tu che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di mia madre… Tu mi conosci fino in fondo. Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi… I miei giorni erano fissati, quando ancor non ne esisteva uno» (Sal 139, 13-14.16).

Se questo è dunque il volto con cui Dio da sempre mi ha pensato, non c’è altra scelta ragionevole che aderirvi con intelligenza, chiedendo cosa Dio vuole da me, e con passione, chiedendo cioè quella libertà creativa che è la caratteristica dell’amante conquistato. La strada al sacerdozio è allora quella della mia felicità, se è la strada della libertà, ovvero dell’impegno intelligente, continuo, appassionato, sacrificato, gioioso con Cristo. «Venite e vedrete» (Gv 1,39): questo metodo che Gesù indica nel momento stesso in cui chiama a sé è anche l’unico adeguato per riconoscere la verità della chiamata al sacerdozio.

Dio sceglie per mandare! Ogni vocazione ha la missione di testimoniare al mondo che senza Cristo non c’è ragione di vita e che questa vita è preziosa e si offre a tutti gli uomini attraverso il popolo santo della Chiesa. San Paolo scrive: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi (cioè tutta la vostra vita) come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio» (Rm 12, 1).

In questa offerta nuova ogni esistenza, in tutti i particolari che la costituiscono, affetti e lavoro soprattutto, vive già il mondo definitivo e grida agli uomini: venite anche voi, se volete incontrare una umanità vera, proprio dentro alla fragilità umana!

Ma Paolo aggiunge: «Noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo [eppure] abbiamo doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi» (Rm 12, 5-6). Qual è dunque il dono che ci è affidato per il ministero sacerdotale? Essere chiamati a parlare continuamente di Gesù, della sua vita sulla terra, delle grandi cose che ha detto e fatto, per far conoscere che la sua vita continua nel presente, che quelle opere ci sono ancora (cfr. Gv 14, 12). È ben altro privilegio essere i profeti, gli annunciatori, gli evangelizzatori, coloro che parlano non sommando parole vuote, ma per dire ciò che hanno visto e udito (cfr. At 4, 20; 1Gv 1, 3)). «Io ritenni di non sapere altro in mezzo a voi – dice Paolo – se non Gesù Cristo, e questi crocifisso» (1Cor 2,2).

Perché ciò accada occorre silenzio, purezza di sguardo, passione di comunicare. Gesù vi affida questo compito, cari ordinandi; non avrete alcuna occupazione che possa esonerarvi da ciò. Quando anche tutte le voci tacessero, almeno la vostra dovrà levarsi chiara e netta, motivata e convincente. Per questo il Buon Pastore vi ha scelti, preparati e ora vi manda.

Parlate a tempo opportuno, ma anche nei momenti non opportuni, perché a breve non ci saranno più momenti opportuni (cfr. 2Tim 4, 2-4).

Andate, siate la mia voce – vi dice Gesù – siate la mia voce non solo in chiesa, ma dovunque, dai tetti ai sotterranei delle città e dei paesi (cfr. Mt 10, 27).

Non abbiate paura, sarà lo Spirito a suggerirvi quello che dovrete dire, soprattutto quando sarete maltrattati o derisi a causa mia (cfr. Lc 12, 12-12).

Cari ordinandi, fra poco, oltre che gli annunciatori, sarete i servitori del Corpo di Cristo attraverso il dono dei sacramenti; fra tutti, in particolare della Confessione e della Santissima Eucarestia. Di fronte a ciò, non solo la mente ma l’animo intero, tutta la nostra persona si sprofonda nella confusione. Ma perché proprio io? Chi sono io, povero uomo, per essere chiamato ad essere servo privilegiato della misericordia di Cristo che questi due sacramenti, nati dalla sua croce e risurrezione, manifestano nel modo più alto? Proprio qui sta la sublime grandezza del mistero che la Santa Madre Chiesa ci affida: essere fragili portatori di un tesoro che ci è stato affidato perché sia trasmesso (cfr. 2Cor 4, 7).

Eppure senza uomini che dicano: “Io ti assolvo”, che dicano “questo è il mio corpo”, uomini preparati per questo dalla Chiesa, quell’incommensurabile tesoro resterebbe non consegnato e non trasmesso!

Tocchiamo così, ancora una volta, l’affetto, la predilezione che Gesù ha per i suoi amici più cari, i sacerdoti della sua Chiesa, per coloro che distribuiscono i beni più preziosi che Egli ha lasciato ai suoi. Allora lo sgomento diventa commozione ed esaltazione. Se Tu, Gesù, hai scelto noi che ben conosci, è dunque perché ritieni così importante la celebrazione dei sacramenti  la guida della preghiera, il ponte tra il cielo e la terra realizzato nel sacerdozio; e non solo non ti ferma la nostra indegnità, il nostro limite, anzi ti invoglia a prendere proprio noi poveri peccatori perché appaia con maggiore chiarezza che siamo soltanto i canali di un perdono e di una grazia che sono assolutamente tuoi.

Infine, oltre che annunciatori e dispensatori della celebrazione dei sacramenti della sua vita, Gesù ci ha chiamati ad essere educatori, cioè padri. Dal Papa all’ultimo ordinato, noi che non avremo figli naturali, siamo voluti come padri!

Il mondo ha bisogno di padri e Cristo ci vuole”padri”, con una preoccupazione prioritaria: essere riflesso di Colui che ci ha donato l’esistenza e la luce per viverla, per comprenderla, di Colui che ci ha salvati dal nulla e ci ha dischiuso le porte della più grande avventura, quella dell’essere perdonati!

Siamo chiamati ad incontrare gli uomini dovunque e senza paura, per essere compagni di strada, per donare quello sguardo senza il quale tutto appare buio e opaco. Siamo chiamati a quella capacità di abbraccio che non si ferma di fronte al malato, al vecchio, all’abbandonato, al morente, al peccatore, perché sa che comincia da lì la rivoluzione della vita gloriosa che non passa.

Cristo non ci ha affidato solo se stesso. Come sacerdoti ministeriali noi abbiamo ogni potere sul corpo reale di Cristo; nella consacrazione, alle nostre parole, Egli si rende presente nel suo Sacrificio. Noi lo amministriamo ai nostri fratelli, lo comunichiamo al mondo nella verità della sua parola, noi abbiamo ogni potere su di Lui! Ma Dio ci ha dato ogni potere sul mondo, e ce l’ha dato per la salvezza del mondo. Se abbiamo questa coscienza, allora sentiamo quella responsabilità che è propria del sacerdozio nei confronti di tutti gli uomini. Non possiamo salvarci da soli!

Non possiamo salvarci che nella salvezza di tutti. Non possiamo salvarci che nella misura in cui la nostra azione apostolica raggiunga gli estremi confini della terra e dei cuori, ridoni alle anime una speranza una certezza, insomma, ridoni alle anime Dio!

Responsabilità universale dunque nei confronti del mondo intero! Miei cari, non sono i politici che salvano il mondo! Ma ne abbiamo coscienza? Se abbiamo veramente fede, il destino dell’umanità si gioca nella nostra dedizione a Dio, nella nostra fede che ci impone il peso e la responsabilità dell’umanità intera.

A noi il Signore ha detto: “Voi siete la luce… voi siete il sale”; a noi il Signore ha detto: “A coloro ai quali rimetterete i peccati saranno rimessi, a coloro ai quali li riterrete, saranno ritenuti”. A noi il Signore ha detto: “fate questo in memoria di me”.

Egli, dunque, è ancora presente per mezzo nostro; ancora agisce, ancora realizza la salvezza dell’universo per mezzo nostro. E – ricordiamolo – non c’è altro salvatore che Cristo Signore! Ci crediamo? Talvolta il mondo ci considera spazzatura ma noi dobbiamo sollevare questo mondo fino a Dio! Ecco il nostro impegno! Carichiamoci di questo peso; la carità divina ha la potenza di sollevarlo, se in noi vive questa carità.

 

Tutto quanto vi ho detto fin qui sono solo parole? Sono solo parole fintanto che non siamo dei santi! Per questo dobbiamo chiedere la santità, proprio per questo dobbiamo impegnarci per la santità, diversamente le nostre parole diventano retorica, eloquenza vuota; peggio, divengono condanna per noi.

“Non avete bisogno che io vi condanni. La parola che vi ho detta, questa vi condannerà”. Potrebbe condannare me, potrebbe condannare voi!

Perché questa parola non debba essere di condanna per alcuno, ciascuno l’accolga dentro di sé con la disposizione di abbandono con la quale un giorno una giovane accolse la parola straordinaria dell’Arcangelo Gabriele: «lo Spirito scenderà su di te e colui che nascerà da te sarà santo e chiamato Figlio di Dio».

Se voi, carissimi amici ordinandi, l’accogliete con la stessa disposizione di Maria, si continuerà lo stesso mistero. Allora le disposizioni sono quelle. « Ecce ancilla Domini, fiat mihi secundum verbum tuum». Sono pronto, sono qui, sono tutto per Te, mi abbandono totalmente alla potenza della tua parola.

Non si tratta di essere “buoni” sacerdoti; si tratta di essere SACERDOTI, che è molto di più! Buoni vuol dire dare un carattere di moralità alla nostra vita. Si tratta invece di renderci pienamente consapevoli di essere inseriti nel mistero di Cristo, per renderlo veramente presente nel mondo di oggi.

Ecco quello che il Signore vi chiede! Ecco cosa chiedo al Signore, per la intercessione della Vergine del “si”, oggi qui, con tanto amore, per voi.