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Beata Vergine Maria Addolorata – B

 

Citazioni:

Hebr 5,7-9:                         www.clerus.org/bibliaclerusonline/it/9ak0rne.htm       

Lc 2,33-35:                    www.clerus.org/bibliaclerusonline/it/9btaa5b.htm          

 

 

Per il Mistero insondabile della Volontà divina, alla via della salvezza non è estraneo il dolore umano; anzi, assunto pienamente da Cristo, il dolore è divenuto addirittura “salvifico”. Dopo la Croce di Cristo, infatti, non solo il dolore e la sofferenza non costituiscono più un ostacolo alla realizzazione dell’uomo, ma ne sono, in certo modo, l’ineludibile presupposto.

Ciò, però, non avviene in modo automatico, indipendentemente cioè dall’intelligenza e dalla volontà umane. Non è il dolore, in quanto tale, che diviene salvifico, ma solo il dolore in quanto “obbedienza” a Gesù, che, «reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono» (Eb 5,9b). Per questo, la Chiesa ci invita oggi a contemplare la Beata Vergine Maria Addolorata, alla Quale è stato dato di vivere, sotto la Croce, quella “perfezione” del dolore, che l’arte cristiana ha rappresentato con l’immagine del cuore trafitto dalla spada, secondo la profezia di Simeone: «Anche a te una spada trafiggerà l’anima» (Lc 2,35).

Ma come può il dolore divenire obbedienza a Cristo e, così, strumento di salvezza? Anzitutto, lasciandoci guidare da Maria Santissima, possiamo individuare tre generi di “dolore”, e, con Lei, imparare e viverli nella via dell’obbedienza.

In primo luogo, vi è una forma di dolore, che è propria della condizione creaturale, perciò, ben nota a tutti gli uomini: è il dolore causato dalla “privazione”, ingiusta o meno, di qualcosa a noi caro. Esso sopraggiunge al venir meno della persona amata, o per la mancata realizzazione di un progetto, o con la privazione di un bene materiale. Questo genere di sofferenza è, di per sé, “indifferente” alla nostra salvezza eterna; anzi, qualora il cuore rimanga attaccato al bene perduto, potrebbe diventare addirittura causa di allontanamento da Dio. Tuttavia, se affidato e offerto a Cristo, diviene mezzo di salvezza.

Infatti, poiché autenticamente umano, questo dolore è stato assunto e, perciò, redento dal Figlio di Dio; basti pensare alle lacrime che versò per la morte dell’amico Lazzaro. E, certamente, questo dolore non fu estraneo a Maria di Nazareth, la Quale, prima della Crocifissione del Figlio, fu chiamata a vivere la morte di San Giuseppe, suo castissimo Sposo.

Imploriamo, fin d’ora, carissimi fratelli, la grazia di riconoscere come l’unico Bene, che il nostro cuore davvero desidera, sia il Figlio di Dio e come, in Lui, ogni vero bene ci venga restituito. Domandiamo di offrire sempre a Lui questo genere di sofferenze per quanto ci possano sembrare, talvolta, poco nobili. Egli, infatti, non disdegna nulla di quanto è nostro, nemmeno il peccato, che, anzi, ci invita a consegnare alla Sua Misericordia, per trarne occasione di grazia e di salvezza.

Vi è, poi, un secondo genere di dolore, che è quello che precede il pentimento per il peccato commesso. San Paolo, lo definisce la «tristezza secondo Dio», la quale «produce un pentimento irrevocabile che porta alla salvezza, mentre – aggiunge l’Apostolo – la tristezza del mondo produce la morte» (2Cor 7,10). Questa tristezza non è estranea a quanti sono in cammino sulla via della salvezza: per costoro – laici, consacrati e sacerdoti –, la debolezza ed il peccato, affidati a Dio, divengono occasione di umiltà e di più radicale appartenenza a Cristo. La Chiesa stessa ci invita sempre a questo pentimento, quando, all’inizio di ogni Celebrazione Eucaristica, ci fa dire, nel Confiteor: «mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa».

Questo secondo genere di dolore è del tutto estraneo a Maria Immacolata, la Quale però, continuamente, implora e ottiene per noi la grazia del pentimento.

Vi è, infine, un ultimo genere di dolore, squisitamente soprannaturale, che nasce dall’amore per Cristo, dalla piena adesione a Lui, e che, per quanti giungono a tale perfezione spirituale, raccoglie in sé ogni umana sofferenza. È un dolore ben noto ai Santi e del quale la Beata Vergine Maria Addolorata rimane insuperabile modello. È il dolore di chi, totalmente immedesimato col pensiero e con i sentimenti di Cristo, condivide ogni Sua gioia ed ogni Suo patimento: desidera e gioisce per la salvezza dei fratelli e, invece, soffre quando il Suo Amore non viene corrisposto. Così, immerso con cuore indiviso nell’Amore di Cristo, tutto vive dentro il rapporto con Lui, dove il dolore diviene obbedienza, amore e perciò vero strumento di salvezza.

Maria Santissima, che, sul Calvario, fu perfettamente associata all’opera della Redenzione, dal Paradiso, quale nostra Madre, continua a vivere questo dolore “divino” e, incessantemente, implora e dispensa le grazie della conversione. Guardiamo a Lei e preghiamo che ci dia di “stare” con Lei sotto la Croce, di associarci al Suo pianto e di ottenerci, nell’ora della nostra morte, la gloria del Paradiso. Amen!