XVI Domenica del Tempo
ordinario
Domenica
scorsa, Gesù ha raccontato la parabola del seminatore. La Sua narrazione
continua, in questa domenica, con altre tre parabole del regno: il grano e la
zizzania, il seme, il lievito.
La
parabola del grano e della zizzania si pèone in continuità con quella del
seminatore. Dio semina sempre e con pazienza – ci ha detto Gesù – ma il frutto
di questa semina premurosa dipende anche dalla disponibilità del terreno, dalle
sue radici costanti, dalla sua fertilità. Oggi, ancora una volta Gesù ci mette
dinanzi alla situazione reale del campo di Dio: in esso, il Figlio dell’Uomo
semina il seme buono e, tuttavia, vi cresce anche la zizzania.
Questo
campo è anzitutto il cuore di ciascuno di noi ma è anche la Chiesa a cui l’evangelista
Matteo sta dicendo, in fondo, di non
peccare di perfezionismo: nella comunità, infatti, abitano i desideri più
spirituali degli uomini insieme alle loro debolezze e vi sono discepoli
autentici, veri e generosi insieme a discepoli dal percorso più complesso o che
vivono maggiori difficoltà o, ancora, che mascherano con una religiosità
apparente ed esteriore, il negativo che davvero abita il loro cuore. E’ così,
semplicemente perché così è il cuore di ciascuno di noi: slanci e desideri
positivi, propositi spirituali, profondità nella preghiera, fortezza evangelica
nelle scelte sono tutte cose che possiamo vedere mescolate a momenti di
stanchezza, ad aridità interiore, alla fatica di abbracciare e vivere con
coerenza il Vangelo fino ad arrivare, talvolta, a vedere in noi pensieri,
desideri e scelte che, consapevolmente o meno, sono addirittura una chiusura a
Dio e alla Sua Parola.
Quale
atteggiamento dinanzi a questa situazione ambigua, paradossale e delicata? Il
Vangelo ci fa vedere una certa impazienza quasi fanatica degli apostoli – che
credono ancora in una comunità di “soli perfetti” – e la pazienza
misericordiosa e benevola di Dio che continua a seminare il bene nel suo campo
e offre il tempo necessario perché questo grano buono cresca e prevalga. Gesù
ci fa vedere che il cuore dell’uomo, la vita della Chiesa e il grembo della
storia sono ancora impastati di bene e male, di aperture verso l’alto insieme a
fragilità e decadimenti; ma ci mostra anche, che Dio è paziente, sta dentro
questo campo lottando al nostro fianco perché prevalga, in ogni cuore,
situazione o circostanza, il grano buono e offre il tempo necessario perché chi
è caduto possa pentirsi, lasciarsi trasformare e rialzarsi. Solo alla fine, ci
sarà la mietitura. In tal senso, Gesù ci offre un bellissimo annuncio: il regno
di Dio non è autoritario, non è violento, non vuole soldati allineati e
perfetti, non conosce la fretta di chi vuole solo strappare e sradicare; è
invece mite, paziente, piccolo. Cresce come il seme buono, invisibile e
piccolo, eppure capace di far sorgere alberi che danno ristoro agli uccelli. O
come un lievito che sta nella pasta della vita quotidiana, delle nostre frette,
dei rumori delle nostre città, delle battaglie che sosteniamo e perfino dei
nostri errori: il lievito c’è e riesce a portare a maturazione la nostra vita,
a farla crescere, a elevarla.
E’
una Parola domenicale che ci annuncia alcune cose fondamentali per la nostra
vita di cristiani e per il nostro essere Chiesa.
La
prima è: il campo è di Dio, il regno ha i Suoi tempi e nessuno può
impadronirsene forzando i tempi e le situazioni. Nessuno può e deve giudicare
nulla prima del tempo né, tantomeno, essere un ostacolo all’azione paziente di
Dio.
La
seconda riguarda la pedagogia spirituale da usare anzitutto verso noi stessi.
In noi convivono sempre grano buono e zizzania e, tante volte la presenza e
l’azione di Dio, sembrano invisibili e nascoste come un piccolo seme o un po’
di lievito. Non dobbiamo essere duri, violenti e impazienti verso di noi ma
impegnarci a coltivare il bene perché il Vangelo cresca in tutto ciò che
viviamo, sapendo che lo Spirito santo fa lievitare in noi l’opera di Dio.
La
terza è una considerazione pastorale: che apostoli siamo? A volte siamo giudici
severi e implacabili, guardiamo con intolleranza le situazioni con la fretta di
sradicare, non riusciamo ad essere pazienti verso i fratelli, pensiamo che
dobbiamo imporci con la forza nelle situazioni di questo mondo. L’invito,
invece, secondo le belle parole di papa Francesco è quello di diventare una
comunità evangelizzatrice gioiosa e feconda che “Si prende cura del grano e
non perde la pace a causa della zizzania. Il seminatore, quando vede spuntare
la zizzania in mezzo al grano, non ha reazioni lamentose né allarmiste. Trova
il modo per far sì che la Parola si incarni in una situazione concreta e dia
frutti di vita nuova, benché apparentemente siano imperfetti o incompiuti. Il
discepolo sa offrire la vita intera e giocarla fino al martirio come
testimonianza di Gesù Cristo, però il suo sogno non è riempirsi di nemici, ma
piuttosto che la Parola venga accolta e manifesti la sua potenza liberatrice e
rinnovatrice” (EG. 24).