IV Domenica Tempo Ordinario

 

Continuando la lettura del Vangelo di Marco, in questa domenica ci viene narrata la cosiddetta “giornata-tipo di Gesù” a Cafarnao. In questo capitolo cioè, di cui oggi ascoltiamo solo una prima parte, Marco mette insieme, nella stessa giornata, alcune attività di Gesù, in particolare insegnare e guarire, per darci un’idea della Sua missione e di quell’azione messianica di cui è protagonista dopo aver annunciato che il Regno di Dio è arrivato ed è vicino agli uomini.

 

Il primo aspetto da cogliere è proprio questo: in Gesù, Dio si fa vicino all’umanità, scegliendo di “stare al centro” della nostra vita. Da Nazareth e dal fiume Giordano in cui è stato battezzato, Gesù sceglie adesso di stabilirsi a Cafarnao, un porto di mare in cui si commercia il pesce e che, quindi, è un centro di incontri, di affari, di passaggio per molta gente. La notizia del Regno che si è fatto vicino, qui può circolare. E la notizia è Ma Gesù stesso, manifestazione di un Dio che non vuole restare distaccato ma sceglie di stare in mezzo alla gente e ai traffici umani. Il suo “stare in  mezzo”, il suo insegnare e guarire, è segno dell’interesse e della cura che Dio ha per l’uomo. Ieri come oggi, tuttavia, questo avvicinarsi di Dio, questo Suo “stare in mezzo” con una Parola che ha la forza di toccare realmente la vita dell’uomo trasformandola, è una realtà che disturba tutti coloro che, invece, vogliono vivere “senza Dio”. Non solo i non credenti o gli indifferenti ma, in modi talvolta impercettibili o semplicemente trascinati dalla vita quotidiana e dalle cose del mondo, tanti di noi ripetono a Gesù le parole dello spirito impuro: “cosa vuoi tu da me”?

 

Gesù entra nella sinagoga e inizia a insegnare , destando stupore. La gente resta meravigliata perché quel Maestro insegna con un’autorità diversa da quella degli scribi. Gli scribi insegnavano semplicemente ripetendo quello che avevano imparato per la trasmissione di una tradizione; il loro rischiava di diventare un monito morale per l’osservanza della legge, e spesso si trattava di un richiamo delle cose da fare, senza magari che queste fossero vissute in prima persona da chi le predicava. Gesù ha un’autorità tutta diversa e tutta personale. Egli può permettersi di raccogliere la tradizione interpretandola, di leggere la Parola nell’oggi della vita delle persone e, soprattutto, di realizzarla; Egli non si limita a fare la predica ma, piuttosto, realizza concretamente quello che predica. Fatti e non solo parole. Annuncia una vicinanza di Dio e la mostra attraverso gesti di liberazione dell’uomo. La sua autorità dipende dal fatto che Egli “fa quello che dice”, realizza la Parola che pronuncia. Così, la Sua è una Parola che crea qualcosa di nuovo.

 

Ciò è evidente dal legame che Marco opera tra l’insegnamento e la guarigione dell’uomo posseduto da uno spirito impuro. Quest’uomo è il simbolo di tutti coloro che, da religiosi o meno, sanno o pensano di sapere chi è Dio ma non vogliono “metterlo in mezzo”: che cosa vuoi tu da noi? Cosa c’entri? Io so chi sei, ma non ti vogliamo! Gesù ha il potere di ordinare a quello spirito di uscire da quell’uomo. Lo sgrida e quell’uomo, dopo essere stato straziato, viene liberato e guarito. La folla si apre allo stupore: siamo dinanzi ad un Maestro che non si limita a “ripetere” la Parola, ma uno che realizza nei fatti quello che dice. Egli realizza la Parola, cioè è Lui stesso la Parola che adesso viene a toccarci, risanarci, liberarci, trasformare la nostra esistenza.

Già al popolo di Israele, così come leggiamo nella I Lettura, Dio aveva concesso di ascoltare la Sua Parola per mezzo di Mosè, ma anche promettendo di inviare altri profeti in Suo nome. La vita e la crescita del popolo dipende dall’ascolto di questa Parola ma, trattandosi appunto di una Parola vivente che intende trasformare la vita, ascoltare qui non significa semplicemente prestare orecchio. Infatti, si può essere anche persone che ascoltano e poi dimenticano. Significa accoglierla e viverla: “Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori” (Gc 1,22).

 

A volte, può capitare che Dio, la Sua Parola, le espressioni della fede e della vita della Chiesa, possano andarci bene fin quando non ti toccano in profondità e restano un po’ sulla superficie; quando però viene messo in crisi il nostro sistema, le nostre idee e il nostro agire, la nostra vita quotidiana fatta di relazioni, di scelte, di gestione delle cose, allora Dio diventa una provocazione, un elemento di disturbo dinanzi al quale è forte la tentazione di dire: Cosa vuoi tu da noi? Cosa c’entra adesso la mia fede con questo? Lo spirito impuro, che letteralmente dice a Gesù “Che cosa c’è tra te e noi?” è un po’ il simbolo di una ricorrente tentazione: separare la presenza di Gesù da quella della nostra vita quotidiana, separare Dio dall’umano e la fede dalla pratica della vita. E succede nel luogo sacro della sinagoga perché, a volte, possiamo essere proprio noi, i credenti e gli uomini religiosi, a confinare Dio nella devozione personale o nelle liturgie del tempio, senza metterlo al centro della vita, senza che la Sua Parola diventi carne nella nostra carne, senza che parole, sentimenti e azioni prendano davvero il sapore del Vangelo. Così, a furia di tenere Dio separato dal quotidiano, dal lavoro, dalle relazioni, dalla gestione dei beni, dalla società, dall’impegno civile e politica, ne abbiamo fatto un reperto da museo o da sacrestia, invece che una Presenza di rinnovamento e di liberazione. Gesù scaccia lo spirito del male dall’uomo e, così, inaugura il tempo messianico della liberazione e del rinnovamento del cuore umano. Ma noi, siamo disposti a metterlo in mezzo e a “farlo entrare”?

 

Gesù, il maestro, ci parla ancora oggi. Egli realizza per noi la Parola di Dio rinnovando la nostra vita, scaccia via da noi il male inaugurando l’Esodo della salvezza. Egli è capace di realizzare in noi qualcosa di nuovo. La Sua Parola è viva ed è per me oggi. Ascoltiamola.